FIGURA DEL CUSTODE IN FRANCIA E GERMANIA
3. Esiti generali della ricerca all’esito dell’indagine comparatistica.
3.5 La conferma nei tentativi di armonizzazione del diritto in Europa.
3.5.1 I Principles of European Tort Law.
I primi (in acronimo PETL), presentati a Vienna nel maggio del 2005207, costituiscono il frutto di una lunga ma entusiasmante collaborazione messa in atto da un gruppo di
200
M. SERIO, La responsabilità civile in Europa: prospettive di armonizzazione, cit., p. 2.
201
Quali la violazione di doveri fondamentali, il risarcimento del danno, il nesso di causalità, per edificare su di essi la nuova “casa comune”, secondo l’indicazione (già rinvenibile nella sua relazione del 1998) di C. VON BAR, Tort Law: National Variety and European Perspective, cit., p. 338.
202
Senza la quale, secondo quanto osserva V. SCALISI, Il nostro compito nella nuova Europa, in Europa e dir. priv., 2007, 2, p. 5 (anche in questo caso la numerazione di pagina seguirà – per questa citazione e per quelle successive – il documento in formato word estratto dalla Banca Dati De Jure, da cui si è attinto il lavoro che, nella Rivista citata, è rinvenibile alle p. 239 ss.), “neppure l'Europa della moneta unica avrebbe prospettiva di lunga vita, e di sicuro finirebbe per ridursi a mera zona economica di libero scambio”.
203
Iibidem.
204
Vedi, sul punto, la raccomandazione del Parlamento europeo contenuta nella risoluzione del 26 marzo 2006, che invita a rispettare “le tradizioni e gli ordinamenti giuridici diversi”.
205 L’espressione è di S. MAZZAMUTO, il contratto europeo nel tempo della crisi ed ecco venire un grande
vento di là dal deserto (Giobbe 1, 19), Europa e dir. priv., 2010, 3, p. 601.
206
Iibidem.
207 E pubblicati con il commento dei vari collaboratori del gruppo: EUROPEAN GROUP ON TORT LAW,
Principles of European Torst Law – Text and Commentary, Sprinter, 2005. Il testo integrale dei Principles è presente nell’originaria lingua inglese (unica versione effettivamente “votata” dall’assemblea plenaria degli studiosi) e in varie traduzioni (tra cui quella italiana curata da Giovanni Comandè e Francesco Donato busnelli) anche sul sito <http://www.egtl.org/Principles/index.htm>.
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accademici di altissimo profilo208, riunitisi già dal 1993 grazie alla felice intuizione del Prof. Jaap Spier, docente presso l’Università di Tilburg, città che diede inizialmente il nome al gruppo. Il Tilburg Group divenne presto European Group on Tort Law, la cui istituzionalizzazione avvenne nel 1999 con la fondazione dell’European Centre of Tort
and Insurance Law (ECTIL): il proficuo dialogo scientifico sui limiti della responsabilità
civile portò, dopo oltre dieci anni di lavoro, alla formalizzazione dei “Principi di diritto europeo sulla responsabilità civile”209.
Questi si sostanziano in disposizioni con previsioni facoltative e aperte all’operatività della singola norma di diritto interno, in quanto unicamente in grado di ottenere un consenso ampio, passando il vaglio della definitiva formalizzazione: ciò si giustifica in ragione delle differenze di cultura giuridica tra i vari Paesi, che incidono su molti aspetti del settore della responsabilità civile.
Il linguaggio utilizzato, pertanto, presenta più un taglio descrittivo che tecnico, in quanto “volto al superamento delle ingombranti secche dogmatiche nazionali ed alla più agevole circolazione ed applicazione dello strumento normativo proposto.”210
Direttamente connesso a tale approccio è l’accentuazione dei profili rimediali211
e l’inevitabile effetto espansivo di tutela che l’utilizzazione le formule ampie comporta. Caratterizza l’impostazione del progetto dei Principles212
, infatti, la qualificazione del
208 Provenienti da tredici paesi europei, oltre che dagli USA, da Israele e dal Sud Africa. 209
Il percorso di ricerca prodromico alla pubblicazione dei PETL fu avviato da un questionario iniziale, grazie al quale i rappresentanti degli Stati potevano predisporre i c.d. country reports; questi consentivano poi una prima approfondita indagine di taglio comparatistico sul tema specifico della responsabilità extracontrattuale: si mettevano in luce le affinità e divergenze tra le singole discipline nazionali. Successivamente, una prima formulazione di massima di principi di diritto veniva sottoposta alla discussione plenaria (l’assemblea era costituita dai singoli rappresentanti nazionali), ad esito della quale si perfezionavano le regulae sulle quali il consenso degli studiosi riusciva a convergere.
210
Così M. SERIO, cit., p. 7. Critica tuttavia uno stile simile di armonizzazione V. SCALISI, Il nostro compito nella nuova Europa, cit., p. 7, secondo il quale, mettendo da parte “ogni tentazione massimalista”, andrebbe scartata “l'ipotesi di un uniforme diritto civile europeo, teso a soffocare o a sostituire i diritti particolari dei singoli ordinamenti nazionali. Sarebbe imperdonabile atteggiamento da inammissibile pensiero unico. I differenti diritti nazionali costituiscono un'insostituibile ricchezza della civiltà giuridica europea, che è e deve restare fondamentalmente plurale.”
211
Peraltro tipici dei sistemi di common law, avulsi da tendenze astrattizzanti. Cfr. G.B. FERRI, Riflessioni sul diritto privato europeo, in Europa e dir. priv., 2011, 1, p. 16.
212 Rispetto ad essi, invero, M. SERIO, cit., p. 14, ritiene che il gruppo di lavoro guidato da Von Bar (orientato
all’elaborazione dei Principles of European Law) sia stato maggiormente in grado di “rompere” il “telaio tradizionale dell’istituto della responsabilità civile”, dal momento che i Principles of European Tort Law sembrerebbero essere stati (pur lodevolmente) “impiegati nello sforzo di avvicinare due estremi separati dall’oceano delle controversie dei conflitti dogmatici”. Diversamente, i Principii relativi alla Non-contractual liability for damage caused to another212, sarebbero stati “coraggiosamente meno disposti a compromessi con una tradizione che, se interamente preservata, non avrebbe che potuto decretare l’aborto del progetto conditorio o il suo fallimento prematuro.”
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danno come “lesione materiale o immateriale di un interesse giuridicamente protetto”213
(art. 2: 101): può essere risarcito un danno solo se connesso alla lesione di una situazione soggettiva ritenuta meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico214
.
Si tratta di una soluzione mediana rispetto ai due estremi rappresentati dalla clausola generale del neminem laedere e da un elenco tassativo di diritti tutelati: i conditores hanno così optato per un sistema di illeciti tipici, dotato al contempo di una certa elasticità215. Attorno a detta “soluzione mediana” ruota la configurazione dei PETL, suddivisi in titoli, capi, sezioni e articoli. Ogni singolo titolo è dedicato ad uno dei capisaldi del sistema conditorio immaginato216. L’intera struttura dell’illecito è incentrata sul rapporto triadico che lega: una condotta (dolosa o colposa) ovvero, alternativamente una relazione di un soggetto con una specifica fonte di pericolo; il danno risarcibile, secondo la rilevanza giuridica di cui si è poc’anzi dato atto; il nesso di causalità tra i due precedenti elementi217
.
213
Nell’originale versione inglese la disposizione ha il seguente tenore: “Damage requires material or immaterial harm to a legally protected interest.”
214
In sintonia con gli approdi attuali anche del nostro diritto interno. L’attenzione è più rivolta alla sfera giuridica della vittima (da riparare) che non a quella del trasgressore (da sanzionare).
215
Così come desumibile dall’impostazione diffusa degli ordinamenti vigenti europei. Approfindendo la questione, M. SERIO, cit.., p. 4, sulla “questione della precostituibilità della figura degli illeciti extracontrattuali, come contrapposta ad una norma-manifesto di affermazione di responsabilità civile al ricorrere di condizioni diversificate a seconda degli ordinamenti”, individua “l’alternativa più netta [...] tra modelli scanditi da stretti contenitori, simili a quelli disposti per ordinare gli oggetti su un’ampia scrivania (pigeon-hole), accreditati nel common law inglese ed irlandese e sistemi governati dalla clausola generale di responsabilità per i danni con colpa cagionati ad altri (con esempi tratti da ordinamenti continentali, eccettuato quello tedesco).” Rappresentano una posizione mediana tra i due poli “esperienze come quelle portoghese e tedesca, rispettivamente incentrate sul necessario concorso, ai fini dell’affermazione della responsabilità civile, della lesione di un diritto assoluto e della violazione di un dovere primario di condotta, e, in aggiunta a questi elementi, sulla contrarietà della condotta oggetto di scrutinio agli ordinari criteri delle azioni umane e sull’intento dannoso.”
216
Il primo titolo contiene la norma base sui macro-criteri di imputazione del danno giuridicamente rilevante; il titolo II ha ad oggetto le condizioni generali della responsabilità; il III contiene la previsione delle fonti della responsabilità; il IV individua le cause di esclusione o limitazione della responsabilità; il V si occupa del problema della pluralità di danneggianti; infine, il titolo VI è dedicato alla far dell’attuazione degli effetti, con la previsione dei rimedi idonei a far valere il risarcimento.
217
Critico sotto questo profilo è V. SCALISI, Il nostro compito, cit., p. 5, che vede nei PETL una certa attenzione nella “determinazione [...] delle condizioni soggettive e oggettive di punibilità del danneggiante (più note come criteri di imputazione del fatto illecito), come tali determinanti ai fini dell'insorgere della responsabilità come pure della delimitazione del suo ambito di operatività”; per contro, sarebbe stato senz’altro trascurato, a dire dell’a., il problema dei “criteri di legittimazione del danneggiato al risarcimento (emblematicamente riassunti dal codice civile italiano nella clausola della ingiustizia del danno), [...] come tali essenziali alla fondazione stessa della pretesa risarcitoria”. I dubbi dell’a. sorgono in considerazione del fatto che i due profili indicati affrontano “questioni tra loro strettamente e intimamente connesse e correlate, sicché solo dalla regolamentazione congiunta di entrambi [...] può scaturire un coerente e modernamente attrezzato statuto della responsabilità civile.” Le critiche trovano origine nell’interrogativo ben più profondo riguardante l’effettivo cammino di ricerca, da parte della “Europa prossima futura”, sull’identità cultura e giuridica che vuole dare a proprio volto.
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Proprio a quest’ultimo riguardo, il Titolo II, Capo 3 dei Principles dedica ben 7 articoli (da 3: 101 a 3: 106, oltre al 3: 201), suddivisi in due Sezioni, al tema della causalità. Oltre alla regola generale della conditio sine qua non, sono disciplinate anche le ipotesi delle cause concorrenti, nonché di quelle alternative, potenziali e della “causalità incerta parziale”. Di particolare rilievo per l’oggetto della nostra indagine è però l’art. 3: 106, secondo cui “la
vittima deve sopportare il danno nella misura corrispondente alla possibile incidenza di un’attività, evento o altre circostanze riferibili alla propria sfera di influenza”. Si tratta di
una disposizione che conferma come, tra i Paesi rappresentati dagli studiosi cui si deve la paternità dei PETL, vi sia convergenza – senza cui non si sarebbe potuta giustificare una simile formalizzazione espressa – circa la configurabilità della colpa del danneggiato come ipotesi idonea ad escludere il risarcimento del danno subito; l’ipotesi della condotta del terzo, cui è affiancata anche la forza maggiore, sono invece annoverate tra le “cause di esonero dalla responsabilità [solo] oggettiva”.
Quest’ultima constatazione consente di evidenziare l’aspetto di nostro maggiore interesse: i
Principles corroborano l’idea di una diffusa tendenza delle norme sulla responsabilità
civile in Europa all’affrancazione dall’unicità del criterio d’imputazione della colpa218
, operata attraverso l’oggettivazione della stessa, ma anche la previsione di ipotesi di inversione dell’onere probatorio e soprattutto l’affermazione del criterio della responsabilità oggettiva, che induce i soggetti non solo a tenere “lo standard di condotta ottimale” ma anche “un livello di attività [...] socialmente ottimo”219.
Invero, la lettura della “Norma fondamentale” dei PETL (art. 1: 101) rivela come, tra i fatti condizionanti il danno risarcibile, siano annoverate ipotesi esclusivamente riconducibili, a livello fenomenologico, al comportamento umano: una condotta, un’attività, un fatto degli ausiliari. Non è previsto un fatto non umano, che nel nostro ordinamento configura tendenzialmente la proposizione condizionante il sorgere degli effetti risarcitori in caso di responsabilità oggettiva.
218
Cfr., sul punto, C. CASTRONOVO, Sentieri di responsabilità civile europea, in Europa e dir. priv., 2008, p. 808.
219
G. SMORTO, Il criterio di imputazione della responsabilità civile. Colpa e responsabilità oggettiva in civil law e common law, in Europa e dir. priv., 2008, p. 438. Un’argomentazione simile trova conforto nella compresenza esplicita del momento riparatorio del danno subìto insieme allo scopo di prevenzione (in funzione di deterrence) nella previsione d’apertura del Titolo VI dei PETL (10:101). Manca invece un riferimento esplicito al momento sanzionatorio, che evidentemente non rappresenta (o forse non rappresenta più) una finalità della responsabilità civile condivisa dagli ordinamenti coinvolti nel progetto in esame. La quasi totalità dell’attenzione è rivolta, ormai, alla sfera giuridica del danneggiato, come dimostrano paradigmaticamente i numerosi articoli che si occupano di qualificare e quantificare in maniera dettagliata le situazioni di danno astrattamente verificabili.
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Tuttavia, proseguendo oltre nella disamina del progetto normativo, il Capo 5 del Titolo III scioglie ogni dubbio circa la presenza di ipotesi di responsabilità oggettiva. L’art. 5:10, infatti, ne enuncia espressamente l’operatività, restringendo tuttavia il campo dei fatti rilevanti per il suo sorgere alla sola “attività straordinariamente pericolosa”, indicata come presupposto condizionante della responsabilità oggettiva insieme alla previsione del rischio, che si ritiene possa costituire un’esplicitazione della ratio di tutela, intesa quale fondamento normativo.
Ora, l’interprete deve domandarsi cosa abbia voluto intendere il plenuum degli studiosi laddove ha previsto, al par. 2, che “un’attività è straordinariamente pericolosa se: a) crea un rischio particolarmente significativo e prevedibile di danno” nonostante una condotta accorta; “b) non corrisponda a pratiche di uso comune”.
Tentando un riscontro rispetto al nostro diritto vigente, non è semplice individuare quali fatti siano sussumibili nell’alveo della suddetta fattispecie e a quali norme essa sia assimilabile. Il riferimento alla pericolosità sembrerebbe riconducibile all’art. 2050 c.c.; sennonché, tale ultima fattispecie, sebbene ormai interpretata in senso fortemente restrittivo220, comunque prevede una prova liberatoria consistente nella dimostrazione, da parte del potenziale responsabile, “di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno.” Viepiù – e al di là delle altre differenze in punto di previsione del fatto rilevante – scioglie ogni dubbio circa la non assimilabilità all’art. 2050 c.c. della norma in esame la presenza, sub art. 4: 202, di una ipotesi “tipica” di “responsabilità di impresa”: quest’ultima si riferisce, tra gli altri, ad “apparecchiature tecniche” e a “standard di condotta”, consentendo in tal modo, sia pur con le opportune cautele, di essere paragonabile ai “mezzi adoperati” e alle “misure idonee” di cui parla l’art. 2050 c.c.221
. Risulta, in definitiva, alquanto arduo riuscire a discernere se e quale sia la fattispecie di diritto interno paragonabile all’art. 5:101 dei PETL, ma ancor prima quali siano le fattispecie concrete ad essa riconducibili, se si eccettuano le ipotesi di rischio di impresa. La sua formulazione, al contempo generale (ove non generica) e “tortuosa”, alimenta le fatiche ermeneutiche222 . Per di più, il suo ambito di operatività è ulteriormente ristretto (ovemai fossero individuabili i margini) da una sorta di espressa “clausola di residualità”
220
Cfr. i riferimenti (anche bibliografici) sul punto al Cap. I, passim.
221 In realtà la fattispecie è riconducibile anche alla responsabilità da prodotti difettosi, ove si consideri che il
par. 2 si premura di definire il “difetto” dell’impresa come quella “deviazione dagli standard che possono ragionevolmente pretendersi dall’impresa o dai suoi prodotti o servizi”.
222 Evidentemente frutto dei tipici compromessi giuridico-culturali che hanno portato all’elaborazione dei
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contenuta nel par. 4, che esclude l’applicabilità dell’articolo alle ipotesi di attività per le quali operi un’altra previsione di responsabilità oggettiva degli stessi PETL ovvero altra legge nazionale o convenzione internazionale.
Infine, siffatte difficoltà di sussunzione e interpretazione si amplificano ancora già ad una semplice lettura dell’articolo successivo, il 5:102, rubricato “altre fattispecie di responsabilità oggettiva”, che per la nostra ricerca rappresenta un elemento cruciale di riferimento, idoneo a confermare quanto le indagini comparatistiche hanno già messo in evidenza.
Esso, infatti, sembrerebbe qualificabile come una sorta di “fattispecie-contenitore”: al par. 1 consente al diritto nazionale di “prevedere altre ipotesi di responsabilità oggettiva per attività pericolose”223. La limitazione costituita dall’univoco riferimento all’attività viene
tuttavia contemperata dalla previsione del par. successivo: vi è innanzitutto contenuta una “clausola di salvaguardia” per le altre e diverse ipotesi di responsabilità oggettiva previste dal diritto nazionale, per poi esplicitarsi che “ipotesi ulteriori di responsabilità oggettiva
possono essere individuate in analogia con altre fonti di rischio di danno comparabili”.
In questa unica e densa norma si rinviene così la porta d’ingresso per tutte le altre fattispecie note di responsabilità oggettiva224, siano esse derivanti da comportamento altrui225 o da fatto non umano226.
Tra queste vi è senz’altro la responsabilità da cose in custodia, desumibile dalla fattispecie aperta in questione anche qualora non espressamente disciplinata dal diritto nazionale. Tuttavia, il fatto che nei Principles, pur essendo previste diverse fattispecie tipiche di responsabilità (da impresa, per fatto di minori, incapaci, ausiliari ecc.), non sia inclusa una norma assimilabile all’art. 2051 c.c., testimonia l’assenza di una fattispecie simile in qualcuno degli ordinamenti protagonisti del progetto inaugurato dal Prof. Spier un ventennio fa.
Se si considera la genesi dell’apparato “normativo-progettuale” dei PETL e il modus
operandi per la loro elaborazione, connotato da una peculiare e graduale individuazione
223
E ciò “anche se l’attività non è straordinariamente pericolosa.”
224 Laddove altre fattispecie di imputazione dei danni derivanti da comportamento non proprio,
riconducibili sostanzialmente agli artt. 2047 e 2048 c.c., sono inserite agli artt. 6:101 e 6:102, facenti parte del Capo 6 (“Responsabilità per fatto altrui”), già topograficamente escluso nei PETL dall’operatività della responsabilità oggettiva (circoscritta al Capo 5).
225
Come per la responsabilità dei padroni e dei committenti di cui all’art. 2049 c.c.
226
Si pensi, per rimanere nell’ambito del codice civile, ai danni cagionati da animali (art. 2052), da immobili o edifici (art. 2053) o da vizi dei veicoli a motore (art. 2054, IV comma); si veda comunque più ampiamente, sul punto, il Cap. V, Sez. II, Par. 1.
180
del minimo comun denominatore dei diritti interni, quanto rilevato risulta di più agevole comprensione. Evidentemente, il confronto comparatistico ha rivelato una non incisiva presenza dell’ipotesi di danno da “cose” nei sistemi dei Paesi coivolti nell’European
Group of Tort Law, così che essa non è stata espressamente inserita nel progetto
conditorio. D’altra parte, la sua non completa estraneità alla struttura di fondo dei
Principles, anzi la sua piena compatibilità con il sistema immaginato, ne consente un pieno
diritto di cittadinanza grazie alla clausola di cui all’art. 5:102, par. 2.
Si corrobora, così, quanto lo studio comparatistico ha evidenziato, con particolare riguardo all’assenza, nel diritto tedesco, di una fattispecie tipica di danno “da cose in custodia”, cui però fanno da contraltare alcune figure soggettive, previste in altre disposizioni (come il
tierhalter), cui viene imputata la responsabilità sulla base degli stessi presupposti di
rilevanza riscontrati per il gardien francese, ovverosia il potere di controllo e il governo per conto proprio.
Ma oltre alla responsabilità specifica per “danni da cose”, dall’apparato dei PETL, a ben vedere, restano espressamente escluse – quantunque implicitamente compatibili con il sistema immaginato227 – fattispecie di responsabilità extracontrattuale come i danni cagionati da animali, ovvero da rovina di edifici, o ancora da vizi di costruzione o difetto di manutenzione di veicoli a motore.
Si potrebbe pensare che esse non appartengano, nelle loro peculiarità strutturali, ad un mondo giuridico condiviso dai vari Paesi europei (soprattutto quelli appartenenti all’Unione), sicché in fase di indagine comparatistica siano stati esclusi dal panorama delle norme comuni da far trasmigrare, interamente e senza notevoli adattamenti, in sede di progetto normativo.
Sennonché, pur potendo valere un ragionamento simile per i Principles of European Tort
Law appena passati sinteticamente in rassegna, esso viene sconfessato ove si volga
l’attenzione ad un altro prodotto della scienza giuridica in prospettiva di armonizzazione tra gli ordinamenti europei.