DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.
1.3. Rapporti con il “danno ingiusto” di cui all’art 2043 c.c.
Le osservazioni poc’anzi svolte ci conducono alla terza questione, relativa al rapporto tra il danno previsto dall’art. 2051 c.c. e quello “ingiusto”, così come qualificato nell’ipotesi d’apertura della disciplina codicistica della responsabilità aquiliana e di cui ci siamo occupati poc’anzi.
L’interrogativo su cui soffermarsi è perché nell’articolo citato non si parli di danno ingiusto – come nell’ipotesi ex art. 2043 c.c. – ma ci si riferisca più semplicemente al (solo) danno.
Naturalmente, non si può sostenere che il danno cui fa riferimento l’art. 2051 c.c. non deve intendersi come lesione di una situazione giuridica tutelata dall’ordinamento; diversamente, ci troveremmo di fronte ad una grave incongruenza sistemica.
Chi sostiene che la fattispecie d’apertura sull’illecito aquiliano contiene la previsione di tutti gli elementi strutturali che, ove non derogati da previsioni espresse in altre tipologie di responsabilità extracontrattuale, devono intendersi sussistenti quali elementi costitutivi anche delle altre fattispecie di responsabilità111, sosterrà agevolmente che l’ingiustizia è qualificazione necessaria del danno anche nell’ipotesi di cui all’art. 2051 c.c.: pertanto, anche nella responsabilità per danno da cose in custodia dovrà fornirsi prova dell’ingiustizia del danno. Non è necessario provare la condotta colpevole del custode, ma non l’ingiustizia del danno112
.
110 Ibidem: “questa forma di attribuzione giuridica di un obbligo ad un soggetto non è necessariamente
condizionata dall’esistenza, nel soggetto stesso, di una libertà di scelta: tale questione si porrebbe solo quando si volesse risolvere il problema intorno a chi sia effettivamente autore di un determinato fatto, non già quando si vuol più semplicemente far carico a qualcuno dell’obbligo di risarcire le conseguenze dannose.”
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Ivi, pp. 178-179. L’a., nella parte del lavoro dedicata proprio al danno da cose in custodia, osserva che l’art. 2043 c.c. è “la più completa di tutte [le norme, n.d.r.], poiché indica tutti gli elementi dell’illecito.” A tale considerazione aggiunge che può sorgere il dubbio, in virtù di quanto appena sostenuto, che per le altre norme “che non richiedono la colpa, previste anche in leggi speciali essa [cioè la colpevolezza n.d.r.] resti la regola, mentre la preposizione (art. 2049 c.c.), l’esercizio di un’attività pericolosa (art. 2050 c.c.), la custodia (art. 2051 c.c.), la proprietà (art. 2052 c.c.), la circolazione di veicoli (art. 2054 c.c.) costituiscano le eccezioni.”
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In questo senso, G.G. GRECO, Responsabilità da cose in custodia della struttura alberghiera; rilevanza del rapporto di causalità ed onere della prova, cit., p. 580, riprendendo quanto statuito dalla decisione in commento, osserva come “i giudici di legittimità, nello sposare l’interpretazione in termini oggettivi della
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Secondo un’ulteriore impostazione, l’interprete dovrà accertare solo la sussistenza del danno conseguenza ed in relazione a ciò determinare l’an e il quantum risarcitorio113
; ciò non comporta, tuttavia, la mancanza di rilievo della prima accezione di danno, dal momento che anche nell’ipotesi in esame non può darsi risarcimento ove manchi la lesione di una situazione giuridica soggettiva tutelata dall’ordinamento. Solo che si ritiene sussistere per questa ipotesi “una sorta di naturale tipicità in re ipsa del danno”114: vengono valutate le sole conseguenze dannose ritenute causalmente riconducibili al fatto della cosa ed identificabili nelle lesioni a persone e/o a cose, sulla base dell’idea per cui l’ordinamento avrebbe già effettuato ex ante la scelta di meritevolezza e di preminenza dell’interesse del (potenziale) danneggiato rispetto al custode della cosa. In altri termini, il fatto di una cosa che arrechi un danno alla persona o al patrimonio è ritenuto ex se lesivo di una situazione giuridica soggettiva meritevole di tutela, in quanto la possibile relazione che s’instaura viene previamente configurata quale ipotesi di danno-evento. Quest’ultima accezione di danno – che costituisce in realtà la prima, necessaria ma non sufficiente, nel giudizio sull’ingiustizia dello stesso ex art. 2043 cc. – viene così non già elisa, bensì solo considerata implicitamente sussistente: il “contatto sociale” che si crea viene ricondotto quasi ad un “inadempimento […] che va oltre il tipico rapporto obbligatorio”, in un osmotico travalicamento “della rigida griglia concettuale ricavabile da un esame topografico delle fattispecie”115. La responsabilità civile, in questo caso, viene a considerarsi unitariamente: il concetto di inadempimento, tipico della responsabilità contrattuale, viene mutuato per giustificare l’operare di una fattispecie di responsabilità aquiliana.
Questa tesi ha il pregio di fornire una giustificazione e un’interpretazione dogmaticamente coerente del concetto di danno di cui all’art. 2051 c.c.116
, senza sminuire la qualificazione
responsabilità de qua, evidenziano di conseguenza che - ai fini del risarcimento del danno - l’attore danneggiato deve semplicemente fornire la prova del nesso causale fra la cosa custodita e l’evento, ossia la derivazione del danno dal fatto della cosa, oltre, ovviamente, al fatto costitutivo ed all’ingiustizia del danno, senza necessità di provare altresì - come richiederebbe, invece, l’azione di danni ex art. 2043 c.c. - la condotta (colpevole) del custode produttrice del danno.”
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La tesi è rinvenibile in A. GORASSINI, F. TESCIONE, Per un quasi commento sulla responsabilità per l'esercizio di attività pericolose, in Resp. civ., 2012, p. 255. Essa è formulata con riferimento esplicito all’ipotesi di responsabilità per esercizio di attività pericolose (art. 2050 c.c.), ma ritenuta valida anche per la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c.
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Ibidem, riprendendo e riformulando la tesi di F. GIARDINA, Responsabilità contrattuale e responsabilità extracontrattuale - Significato attuale di una distinzione tradizionale, Milano, 1993, p. 255.
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Ibidem.
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Un’interpretazione simile, ma con sfumature diverse, è sostenuta da M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 38, secondo il quale l’ordinamento non compie una valutazione in re ipsa del danno evento, ma individua il danno evento nello stesso fatto della cosa che si verifichi. La prova di tale assunto, secondo l’a., risiede nella
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d’ingiustizia, che fornisce al sistema la chiave per l’operazione di selezione degli interessi, tramite la valutazione delle situazioni giuridiche in gioco117.
Il danno cui si riferisce l’art. 2051 c.c., in definitiva, non diverge strutturalmente dal danno ingiusto di cui all’art. 2043 c.c.; la differenza tra i due risiede in ciò che nell’ipotesi di responsabilità da cose in custodia l’interprete potrà limitarsi ad accertare le conseguenze dannose prodottesi per il fatto della cosa, dando per assunto il danno evento inteso quale lesione di un interesse meritevole di tutela; è l’ordinamento stesso che ha già effettuato questa operazione (di pre-selezionene degli interessi) nella previsione della fattispecie. Costituiranno il danno, pertanto, quelle conseguenze pregiudizievoli che incidono sulla sfera personale e patrimoniale di un soggetto, determinate dal fatto prodotto dalla cosa in custodia.
Agli elementi costitutivi di tale fatto occorrerà adesso volgere l’attenzione, prendendo le mosse dalla cosa, che è alla base del fatto stesso118, quindi degli effetti risarcitori condizionati al suo verificarsi.