E DANNI DERIVANTI DA COSE
2. La Lex Aquilia de damno.
2.1. Entrata in vigore e i “tria capita” Caratteri e struttura della Lex.
Le Lex Aquilia de damno è un plebiscito che, sin dalla sua entrata in vigore, innovò
20 Così L. BOVE, voce Danno, cit., p. 143. 21
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radicalmente la disciplina dei delitti privati, prevedendo un sistema generale di responsabilità da illecito.
La sua notevole influenza non fu limitata al solo sistema giuridico romano in cui la nuova legge operò, ma andò ad incidere più in radice sull’intero pensiero giuridico del mondo occidentale, antico e moderno22, tanto da rappresentare un’autentica pietra miliare per gli attuali sistemi di responsabilità civile23.
Detto provvedimento legislativo rappresentò un novum nel sistema giuridico in cui fu inserito, poiché prevedeva una vera e propria disciplina generale24 delle azioni per il risarcimento del danno.
In precedenza, le XII Tavole disciplinavano solo alcune ipotesi particolari in cui venivano riconosciute azioni per illeciti produttivi di danno25, ma mancava una vera e propria azione generale di risarcimento26. Il sopra richiamato testo decemvirale poteva al più contenere “una specie di norma di chiusura, che completasse la casistica dei danni dati a cose come la norma sull’iniuria completava quella dei danni alle persone”27
.
Quanto alla data di adozione della Lex Aquilia, non v’è convergenza tra gli studiosi sull’individuazione di un anno specifico28
. Certamente, essa era nota a Cicerone29 nel 76 a.
22
C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia e la sua portata originaria, in AA. VV., La responsabilità civile da atto illecito nella prospettiva storico-comparatistica, atti del Convegno di Madrid 1993, a cura di L. Vacca, Giappichelli, 1995, p. 25 pone l’accento sull’evidenza che tutto il pensiero giuridico ha da sempre dovuto fare i conti con la lex Aquilia.
23 Ancora oggi è diffuso nel linguaggio giuridico l’aggettivo aquiliana come sinonimo della responsabilità
extracontrattuale, a testimonianza dell’origine degli istituti attuali dall’antico provvedimento plebiscitario.
24
Secondo B. ALBANESE, voce Damnum iniuria datum, in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1961, p. 110 , la Lex Aquilia non abrogò le precedenti disposizioni cui si accennava, ma le rese in pratica di scarsa importanza in età avanzata.
25
Come l’incendio doloso di casa, il pascolo abusivo, il taglio di alberi.
26
Per G.I. LUZZATTO, voce Colpa penale (diritto romano) in Enc. Dir., VII, Milano, 1960, p. 615, le XII Tavole contemplavano solo alcune ipotesi particolari, non vi era un’azione generale di risarcimento. Secondo C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia e la sua portata originaria, cit., p. 28 è improbabile che le dodici tavole contenessero una norma generale sul risarcimento dei danni, nella quale la fattispecie sanzionata venisse descritta con l’impiego del verbo ru(m)pere o del suo derivato rupitiae.. Inoltre, il testo decemvirale prevedeva numerosi casi sistematicamente indipendenti l’uno dall’altro ovvero, nel forse unico caso in cui una connessione è certa, legati secondo un criterio diverso da quello successivo: alludo alla regola di tab. 8, 3 sull’os fractum, che considerava insieme l’ipotesi della frattura alla persona libera (per il diritto classico un caso di iniuria) e allo schiavo (per il diritto classico un caso di danno aquiliano)..
27
Ivi, p. p. 30. L’a. aggiunge che “in un simile contesto, quel che si potrebbe astrattamente ammettere è che le dodici tavole contenessero non una norma generale in materia di danno dato, ma una specie di norma di chiusura, che completasse la casistica dei danni dati a cose come la norma sull’iniuria completava quella dei danni alle persone. […] Ma una simile ipotesi [l’a. si riferisce alla ricostruzione del Voigt: si rupitias faxit vel alienum servum quadrupemve pecudem occelsit, noxiam sarcito, n.d.r.] è arbitraria.”
28
Il periodo d’entrata in vigore dovrebbe collocarsi all’incirca nel III secolo a.C.: v’è chi, mantenendo ampi margini temporali, individua un terminus post quem nei provvedimenti in materia di danno successivi alle XII tavole, presuntivamente collocabili intorno al IV secolo a.C.; terminus ante quem potrebbero considerarsi le commedie plautine di fine III-inizio II secolo a.c. Rimane, quindi, un arco temporale alquanto
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C. ed ancor prima al giureconsulto M. Giunio Bruto nel 150 a. C.30, ma è comunque probabile che la sua adozione risalga al III secolo a.C.31.
La legge constava di tre capi, dei quali il primo e il terzo contemplarono il delitto di danneggiamento (damnum iniuria datum).
Nel primo capo32 era previsto il delitto dell’uccisione di un altrui schiavo o quadrupede appartenente alla categoria dei pecudes33. Veniva punito chi fosse obiettivamente l’autore
del danno34 con una pena pari al maggior valore che il servo o l’animale aveva avuto entro l'ultimo anno precedente al delitto.
Nel terzo capo35 era previsto il delitto di chi ferisse il servo o il pecus, uccidesse o ferisse
ogni altro animale, o in genere bruciasse, spezzasse, danneggiasse cose altrui, punendolo con l’obbligo del pagamento del massimo valore della cosa negli ultimi trenta giorni anteriori al delitto36.
Il secondo capo, nel tempo caduto in desuetudine37, si riferiva invece al fatto dell'adstipulator(creditore aggiunto a una stipulazione principale) che avesse rimesso (acceptilatio) il debito in fraudem stipulatoris, obbligandolo a pagare il valore della
prestazione mancata38.
La Lex Aquilia disciplinava il damnum iniuria datum, ovverosia “la più importante figura di danneggiamento prevista dall’ordinamento giuridico romano”39
: si trattava di un delitto
ampio per la collocazione della votazione della Lex Aquilia. Per questa tesi, vedi M.F. CURSI, Iniuria cum damno, Giuffrè, 2002, p. 163.
29
Pro Tull., 9.
30
Cfr. Dig. IX, 2, ad Legem Aquiliam, p. 27.
31 Cfr. in tal senso anche B. ALBANESE, voce Damnum iniuria datum, cit., 110. 32
Ricostruito nei seguenti termini da M.F. CURSI, Iniuria cum damno, cit., p. 180: Si quis servum servamve alienum alienamve quadrupemve pecudem aliena miniuria occiderit, quanti id in eo anno plurimi fuit, tantum aes dare ero damnas esto.
33
Hominem alienum alienamve quadrupedem, quae pecudum numero sit. Erano da annoverarsi tra i pecudes i bovini, gli equini, gli ovini, i caprini, i suini.
34 Ed anche se il danno non era stato volontariamente cagionato. Cfr. G. PUGLIESE, op. cit., p. 470. 35
Che, stando alla ricostruzione di M.F. CURSI, op. cit., pp. 207-208, aveva il seguente tenore: ceterarum rerum praeter nomine et pecudem occisos si quis alterum damnum faxit, quod usserit fregerit ruperiti iniuria, quanti ea res fu(er)it in diebus triginta proximis, tantum aes domino dare damnas esto.
36
L'una e l'altra pena raddoppiavano se il convenuto, in luogo di accettare un arbitro per la valutazione della cosa, avesse negato il delitto, costringendo l'attore a darne la prova (adversus infitiantem).
37 Cfr. G. PUGLIESE, op. cit., p. 471. 38
Si è invano tentato di spiegare come mai una tale disposizione, del tutto avulsa rispetto al criterio del damnum corpore corpori datum, abbia potuto insinuarsi fra le altre due. Si può forse ipotizzare che il capo III abbia origine posteriore, e si sia fuso coi primi due (per un nuovo atto legislativo o per opera della giurisprudenza) come in un testo unico. Secondo M.F. CURSI, op. cit., p. 208, la Lex Aquilia presentava una struttura articolata, constando, oltre alle tre norme sostanziali appena esaminate, anche di due clausole processuali, che completavano il quadro normativo, rendendolo una struttura articolata e complessa.
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privato di ius civile. L’illecito eventualmente posto in essere, in quanto produttivo di danno – nell’accezione di diminuzione patrimoniale sopra meglio individuata40
– avrebbe prodotto gli effetti dell’obligatio in capo al soggetto danneggiante.
Lo stesso Gaio individua i presupposti dell’esperibilità del rimedio ex lege Aquilia nel
damnum, inteso come lesione del patrimonio altrui, e nell’iniuria, sulla quale ci si
soffermerà meglio oltre.
Quanto al danno, esso avrebbe dovuto trovarsi in rapporto di stretta causalità con il comportamento illecito, essendo il primo conseguenza evidente del secondo.
Secondo l’originaria concezione delle fonti, infatti, per attribuire il fatto lesivo ad una persona, bastava constatare l’esistenza di un nesso causale tra comportamento esterno e fatto dannoso41.
Non veniva preso in considerazione, nel delitto di danneggiamento, un eventuale fatto omissivo42; inoltre, elemento costitutivo ineludibile dell’illecito aquiliano consisteva in ciò che il danno fosse arrecato corpore corpori, “cioè prodotto fisicamente in pregiudizio fisico dell’oggetto sul quale l’attività dell’autore del delitto si estrinsecava”43
.
Questa originaria interpretazione restrittiva della lex indurrebbe a ritenere non solo che non venissero contemplate ipotesi di danneggiamento derivante da omissione, ma anche che non fosse oggetto di valutazione il comportamento positivo dell’agente secondo il profilo dell’elemento soggettivo, cioè (quantomeno) della colpa modernamente intesa.
In ogni caso, un’eventuale considerazione dell’imputabilità sotto il profilo del contegno subiettivo dell’agente passa dall’analisi dell’elemento dell’iniuria, quale altro termine identificativo dell’illecito, su cui ci si soffermerà a breve. Di certo, una sua sicura accezione era quella di contrarietà dell’azione al diritto; connotazione, questa, che insieme al damnum costituiva presupposto indefettibile della responsabilità aquiliana.
40 Osserva L. BOVE, op. cit., p. 143, che nella lex Aquilia il termine damnum (testualmente attestato soltanto
nel c. III) indica ugualmente la perdita subita dal proprietario e non il danneggiamento materiale dell’oggetto, allo stesso modo di quanto accade nelle altre ipotesi di danneggiamento estranee alla disciplina aquiliana: in particolare si pensi al damnum infectum ed alla operis novi nuntiatio..
41
G. CRIFÒ, voce illecito, cit., p. 155, osserva che questo era il damnum iniuria datum, almeno nel suo più antico atteggiarsi: non si poteva parlare di colpa omissiva né si considerava la prevedibilità dell’evento dannoso e la diligenza posta nell’evitarlo.
42
Cfr. G.I. LUZZATTO, voce Colpa penale (diritto romano), cit. p. 615. Anche G. PUGLIESE, op. cit., p. 470 conferma la tesi, osservando come inizialmente interpretazione della lex era alquanto restrittiva in proposito.
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A questi caratteri si aggiungevano altri, comuni alle fattispecie contenute nella Lex
Aquilia44. Tra questi, merita di essere puntualizzata la sicura connotazione penale degli illeciti privati (si trattava di ipotesi di delicta), il che indica chiaramente la “tenacia dell’antica concezione totalitariamente penalistica, afflittiva, dell’illecito privato nel diritto romano”45.
È verosimile che, pur non essendo mai messa in discussione la sua natura penale, soprattutto in età classica la giurisprudenza iniziò a sovrapporre al suddetto carattere anche quello reipersecutorio46, attribuendo quindi una funzione risarcitoria alla poena legis
Aquiliae. La relativa actio, pertanto, veniva considerata dallo stesso Gaio come mixta47. Il suo carattere penale è facilmente desumibile dalla nossalità48, dall’intrasmissibilità ereditaria passiva, dall’esperibilità cumulativa contro più responsabili e dalla possibilità di concorso con altre azioni. Il carattere sostanzialmente reipersecutorio si manifesta invece nel concorso esclusivo di azione aquiliana e azione contrattuale (o altra azione reipersecutoria)49.
Per i caratteri sin qui accennati, l’interpretazione nel corso del tempo della Lex Aquilia condusse gradualmente “verso il concetto di una pena risarcitoria: all’idea ormai prevalente di risarcimento, infatti, essa congiunge tenaci aspetti afflittivi”50, sebbene occorra osservare come l’azione penale non potesse avere come fine principale quello del risarcimento del danno51.
44
In particolare, l’azione compiuta iniuria poteva essere perseguita solo su iniziativa del dominus della cosa danneggiata; inoltre, se il convenuto negava la sussistenza dell’illecito poi effettivamente accertato, la condanna avveniva in duplum, diversamente dall’ipotesi di confessione immediata, che conduceva ad una condanna in simplum; infine, era prevista anche un’azione esecutiva contro il danneggiante, cioè la manus iniectio. Cfr. per una loro breve rassegna, B. ALBANESE, voce Damnum, cit., p. 110.
45 Così ID, voce Illecito (storia), cit., p. 63-64. 46
La tesi è sostenuta da C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia, cit., p. 34-35.
47 Qualche dubbio in merito nutre M.F. CURSI, op. cit., p. 213-214, secondo cui “il carattere misto
dell’azione non si accorda con l’originaria configurazione penale della stessa: “dovremmo in altre parole ritenere che l’actio ex lege Aquilia fosse reipersecutoria in simplum e mista in duplum. Ma una simile conclusione - nonostante qualche isolato consenso - non può essere accolta. Ad essa si oppone la fondamentale natura penale dell’azione, concordemente testimoniata dai giuristi classici, che capovolge il tradizionale rapporto tra finalità reipersecutoria e penale propria delle azioni miste.”
48
L’azione vedeva come legittimato passivo il padre o il padrone del danneggiante, se quest’ultimo era filiusfamilias o servo. In tal caso, il convenuto avrebbe potuto scegliere se subire la condanna o consegnare l’autore del danno al danneggiato. Cfr. B. ALBANESE, voce Damnum, cit., p. 110.
49
Per C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia, cit., pp. 34-35, si tratta di una “soluzione raggiunta dalla giurisprudenza, che costruì propriamente, in proposito, una deroga al principio del concorso tra azione penale e azione reipersecutoria, basata sull’idea che l’azione aquiliana rei persecutionem continet.”
50
B. ALBANESE, voce Illecito, cit., pp. 63-64. L’a., in particolare, si serve di questo argomento per sostenere la tesi, illustrandone il fenomeno, della creazione pretoria di azioni penali in simplum.
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Ci si domanda, a questo punto, quale motivazione abbia spinto i prudentes romani ad indirizzare la loro interpretazione del plebiscito aquiliano in questo senso. Presumibilmente, si sceglieva di ricorrere alla poena ex lege Aquilia proprio per soddisfare il danneggiato, non già per punire il reo. Tuttavia, non essendo reperibile nel sistema un’azione esclusivamente reipersecutoria, e non potendosi cionondimeno obliterare l’originario (e ben saldo nella cultura giuridica) carattere penale del rimedio aquiliano, si ricorreva comunque a questo strumento52: esso venne gradualmente adattato, senza mai perdere la sua natura originaria.
Tale itinerario ermeneutico non sorprende, se si pone mente al fatto che simili interpretazioni avvenivano ad opera di giuristi dal forte senso pratico quali i Romani: “più urtante, ad una mentalità progredita, doveva apparire la concezione penale, afflittiva, via via sempre intollerabile di fronte ad una costante interpretazione giurisprudenziale tendente a farne uno strumento di generale risarcimento del danno.”53
Il cammino evolutivo descritto, tuttavia, potrà meglio essere compreso alla luce dell’analisi del requisito dell’iniuria, rispetto al quale, come già si è anticipato, si pone la questione cruciale d’una eventuale sfumatura di definizione dell’illecito aquiliano in chiave soggettivistica.
2.2. Iniuria come qualificazione del danno ed elemento soggettivo (originario o