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DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.

2. La nozione di cosa.

2.1. Cose e beni.

Tuttavia, un giurista positivo, sempre alla ricerca di un approccio sistemico nell’inquadramento delle fattispecie, ben potrebbe chiedersi se e dove il legislatore utilizzi il termine cosa in altre disposizioni. L’attenzione non può che essere rivolta al Libro Terzo del nostro Codice Civile, che inizia proprio con una norma che parla di “cose”: l’art. 810 c.c., al Titolo I “Dei beni”, Capo I “Dei beni in generali”, prevede espressamente che “sono beni le cose che possono formare oggetto di diritti.”

Nelle norme successive il legislatore provvede a definire i beni, nonché a distinguerne varie categorie, ma non fa più riferimento alle cose; di queste non sembra rinvenirsi una definizione chiara neanche in questa parte del codice.

Eppure, dalla scarna ma importantissima disposizione richiamata, possiamo trarre utilissimi elementi d’indagine. È infatti possibile desumere che, se “bene” è una cosa che costituisce oggetto di diritto, allora non tutte le cose sono beni.

Tuttavia, per aderire alla formulazione opposta, cioè che non tutti i beni sono cose, occorre un’ulteriore riflessione, che prende le mosse dall’adesione alla tesi secondo la quale121

, per trovare affinità e divergenze tra il concetto di cosa e quello di bene, occorre guardare al dato normativo, ma secondo la precipua prospettiva dell’interesse.

L’ordinamento giuridico è infatti un “prodotto” della cultura umana122

che tutela interessi ritenuti meritevoli; pertanto una “cosa” può essere presa in considerazione dal diritto non in sé, ma in quanto possa “servire all’attuazione di un interesse umano, individuale o collettivo”123, divenendo così oggetto d’indagine in quanto “cosa in senso giuridico”.

Detto altrimenti, “la nozione di cosa è pregiuridica e neutra”124

ed inquadra un “entità naturale, […] una parte del mondo esterno”, dotata di materialità. Tale porzione di realtà materiale125, se viene ritenuta idonea a realizzare un interesse umano, allora viene considerata dal diritto, ma non per questo inquadrata e definita automaticamente quale bene, piuttosto quale “elemento materiale del concetto giuridico di bene, attraverso

121

Si tratta della nota tesi rinvenibile in S. PUGLIATTI, Beni e cose in senso giuridico, Giuffrè, 1962, sistematizzata in ID, voce Beni (teoria generale), Enc. dir., Milano, 1959, V, ma soprattutto in ID, voce Cosa (teoria generale), Enc. dir., Milano, 1962, XI.

122

Cfr. A. FALZEA, Introduzione alle scienze giuridiche, parte I: il concetto del diritto, Milano, Giuffrè, 1975, p. 5 e ss..

123 Così S. PUGLIATTI, voce Cosa (teoria generale), cit., p. 19. 124

Ivi, p. 20.

125

Cfr. Ivi, p. 27, il quale osserva in proposito che “nell’ambito della vasta categoria delle cose in senso giuridico, può rientrare qualunque cosa materiale nel senso comune dell’espressione, qualunque prodotto materiale della natura.”

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l’interesse che l’ordinamento tende a tutelare, attribuendo al soggetto un determinato diritto.”126

La tesi appena descritta, dunque, ordina sistemicamente i concetti di cosa, interesse, bene e diritto in questi termini: la cosa è un’entità materiale del mondo che, se si presenta idonea a realizzare un interesse, diviene sostrato (materiale appunto) del concetto giuridico di bene, il quale a sua volta è l’oggetto di tutela dell’ordinamento, attraverso la previsione e il riconoscimento di diritti (o, più in generale, di situazioni giuridiche soggettive)127.

I concetti menzionati si combinano tra loro in maniera dogmaticamente coerente, influenzandosi reciprocamente ma mai sovrapponendosi; inoltre, essi risultano in sintonia con le disposizioni vigenti, anzi, si rivelano utili strumenti per la loro interpretazione128. In definitiva, “cosa in senso giuridico può significare ciò che nel linguaggio comune si designa come cosa, in quanto però costituisca termine di riferimento di una qualsiasi relazione giuridicamente qualificata”129

; diversamente, bene giuridico in senso stretto è la “sintesi tra il particolare interesse tutelato e la situazione soggettiva predisposta dall’ordinamento giuridico come strumento di tutela destinata ad un soggetto particolare”130

. Tali definizioni di sintesi ci consentono di cogliere al meglio la differenza tra i due concetti: “il bene, infatti, non è la cosa, bensì l’oggetto della tutela giuridica attuata mediante il diritto soggettivo sulla cosa”131

.

Dunque, per essere un bene, una cosa deve consentire ad un soggetto di trarre l’utilità legata all’esercizio del diritto che l’ordinamento gli riconosce; possono allora esservi delle cose che non sono beni: ciò in quanto non suscettibili di utilizzazione, come ad esempio i corpi celesti o i giacimenti sotterranei posti a profondità proibitive (tipici esempi della

126 Ivi, p. 20. 127

A proposito dei beni, ID, voce Beni (teoria generale), cit., p. 170, individua in ciò il criterio discretivo tra i beni in senso giuridico e i beni in senso economico: mentre i primi sono distinguibili sotto il profilo della tutela da parte dell’ordinamento, i secondi si caratterizzano per l’utilità e l’utilizzabilità da parte degli uomini. L’a. sintetizza l’assunto in questi termini: “i beni della vita, mercé la tutela giuridica, diventano beni in senso giuridico”. Ed infra (pp. 173-174) aggiunge che “bene giuridico è l’oggetto del diritto (o della situazione giuridica soggettiva più in generale) attribuito ad un soggetto […] è quindi l’oggetto della tutela giuridica.”

128

Si rimanda per un’approfondita trattazione dell’argomento alle voci citate: S. PUGLIATTI, voce Beni (teoria generale), cit.; ID, voce Cosa (teoria generale), cit. Quest’ultimo scritto, in particolare, merita attenzione nella parte relativa ai caratteri di limitatezza ed individuazione delle cose, che consentono di cogliere l’utilità che esse rappresentano per l’uomo, divenendo così la base materiale del bene giuridico.

129 S. PUGLIATTI, voce Cosa, cit., p. 25. 130

S. PUGLIATTI, voce Beni, cit., p. 174.

131

S. PUGLIATTI, voce Cosa, cit., p. 87, che aggiunge: “rileviamo qui, a conclusione, che le cose (immobili) in quanto siano oggetto di proprietà o di altro diritto reale (immobiliare), come ad esempio l’usufrutto, danno luogo a beni diversi”.

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manualistica classica132); ovvero in quanto soggetti ad un’utilizzazione “diffusa” e non suscettibile di limitazione ed individuazione, come ad esempio le res communes

omnium133.

Al tempo stesso, la realtà giuridico-sociale manifesta con evidenza l’esistenza di beni che non sono cose, in quanto entità immateriali che tuttavia formano oggetto di diritti134.

La parentesi d’indagine sin qui svolta ci consente di affermare che non tutte le cose sono beni, ma anche che non tutti i beni sono cose.

A questo punto si pone un interrogativo forse ancora più rilevante ai fini della presente ricerca: visto che non tutte le cose sono beni, il riferimento dell’art. 2051 c.c. alle “cose” è generico, o si riferisce solo alle “cose che sono beni”?

Volendo rimanere coerenti alla tesi appena prospettata, dovrebbe ritenersi che la disposizione citata si riferisca alle cose che sono beni, in quanto è solo queste ultime che l’ordinamento prende in considerazione, attesa la loro rilevanza giuridica.

Ma vi sono anche altri argomenti a sostegno di quanto affermato. Infatti, senza necessariamente scomodare i casi concreti posti al vaglio degli organi giurisdizionali nel corso del tempo, è sufficiente anche un semplice esperimento mentale135 condotto sul rapporto tra bene e danno per rendersi conto che l’art. 2051 c.c. si riferisce a “cose-beni” e che, conseguentemente, è inimmaginabile che una cosa, insuscettibile di essere inquadrata quale (elemento materiale del concetto giuridico di) bene, possa causare danni dei quali debba rispondere chi l’abbia in custodia.

132

Cfr. A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di diritto privato, XVIII Ed., Giuffrè, 2007, p. 166.

133

Cfr. S. PUGLIATTI, voce Cosa, cit., p. 28, che osserva come “la scienza economica e la tradizione romanistica hanno fissato il carattere della limitatezza come distintivo della cosa in senso giuridico. Perciò si esclude, normalmente, che siano da considerare cose in senso giuridico le res communes omnium (aer, aqua profluens, mare), che nelle fonti romene erano qualificate res extra commercium. Ma, secondo l’opinione comune, esse possono divenire cose in senso giuridico ove siano appropriate per parti.”

134

Si pensi, su tutti, ai diritti della personalità, che sono beni immateriali e tuttavia considerati diritti assoluti, al pari dei diritti c.d. “reali”, che più degli altri manifestano un legame con le cose. Cfr. in tal senso, Ivi, p. 35 dove a tal proposito si osserva: “L’interpretazione (logico-sistematica) proposta conduce a considerare come beni (in senso giuridico) le cose e le entità immateriali che possono formare oggetto di diritti; sicché si avranno due categorie di beni, materiali e immateriali, a seconda che abbiano come termine di riferimento oggettivo cose (materiali) o entità (immateriali); ma non si avranno cose materiali (o corporali) e cose immateriali (o incorporali). La distinzione, in altri termini, in base ad una più adeguata interpretazione delle norme positive e ad una corrispondente rigorosa analisi concettuale, si sposta da uno dei termini oggettivi (la cosa) all’oggetto nella sua integralità e nella sua posizione formale (tecnico- giuridica), cioè al bene in senso giuridico; e d’altra parte i termini oggettivi sono presentati nella loro distinzione dicotomica, anziché in una equivoca unità terminologica.”

135 Per la validità nel diritto dell’esperimento mentale, cfr. A. GORASSINI, Per un’etica giuridica fondante, in

La Chiesa nel tempo, 2007, p. 73. Fu Einstein per primo a diffondere la pratica dell’esperimento mentale, allorquando dovette sostenere la sua Teoria della relatività. Nel tempo la pratica dell’esperimento mentale si è sempre più diffusa: cfr. M. COHEN, Lo scarabeo di Wittgenstein e altri classici esperimenti mentali, Sfere, 2006.

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Il mondo del diritto, quale prodotto eminentemente umano, trae concetti e categorie proprio dalla cultura dell’uomo, in particolare dall’etica, dalla logica, dalla semantica. Essendo veicolato dal linguaggio, senza il quale non esisterebbe nemmeno, esso ne assorbe anche le strutture: tra queste, grande importanza rivestono le categorie dei sinonimi e dei contrari e più in generale delle contrapposizioni-dualità tra concetti e valori. Ebbene, la categoria del bene giuridico necessiterebbe di un concetto ad essa opposto-contrario. Tuttavia, nel mondo del diritto non esiste il “male”; tale nozione, infatti, appartiene esclusivamente ai campi semantici della sfera etica. Se non esiste il male giuridico, volendo ricercare il concetto adeguato per contrapporsi al bene giuridico, lo stadio evolutivo dei nostri sistemi giuridici ci porta ad individuare tale concetto nel “danno”. Nel diritto, il contrario del bene non è il male, ma il danno.

A ben vedere, il danno è proprio l’elemento del fatto al verificarsi del quale l’art. 2051 c.c. fa sorgere l’effetto risarcitorio in capo al custode del bene-cosa.

Sulla base delle considerazioni appena sviluppate, nonché delle definizioni più autorevoli e consolidate, emerge la conferma che le “cose” di cui all’art. 2051 c.c. si riferiscono a quelle porzioni di realtà materiale che, in quanto servono all’attuazione di un interesse umano, costituiscono il sostrato materiale di beni giuridici e, pertanto, possono formare oggetto di diritti.

L’ordinamento sembra, con la previsione normativa della responsabilità da cose in custodia, ammonire i consociati circa il fatto che i beni, al verificarsi di determinate circostanze, possano essere non solo fonte di utilità e strumenti di attuazione di interessi per i titolari di diritti di cui quei beni sono oggetto, ma anche fonte di danno per qualcun altro. E il sistema giuridico reagisce a questa situazione, prevedendo gli effetti della responsabilità136.

Il motivo per il quale il codice non menzioni espressamente i beni, ma le cose, potrebbe forse essere legato all’esigenza di porre l’accento, da un lato, sulla materialità137, dall’altro,

sul fatto che tali cose debbano essere inanimate138.

136 La tentazione di inferire logicamente l’emersione del criterio sotteso al noto brocardo cuius commoda,

eius et incommoda è forte. Ma ciò comporterebbe una presa di posizione – alquanto prematura – circa la ratio e il fondamento della fattispecie di responsabilità oggetto di indagine. La suggestione del principio del rischio, che qui semplicemente si adombra, verrà adeguatamente approfondita oltre.

137

Si rammenta, infatti, che la dottrina sopra richiamata distingue due categorie di beni: materiali e immateriali. Solo per la prima categoria l’elemento naturale del bene è costituito da “cose” per come sono state definite; la seconda categoria, invece, ha alla base entità immateriali, che non sono cose. Cfr. S. PUGLIATTI, voce Cosa, cit., p. 35.

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In ogni caso, la categoria delle “cose” è estremamente ampia e variegata, rientrandovi qualunque elemento inanimato, mobile o immobile, allo stato solido, fluido o gassoso139. Non è necessario che la cosa abbia particolari caratteristiche: non reggono, di fronte al tenore testuale della norma, le concezioni che presuppongono una precipua attitudine della

res.

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