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Attori e poteri nel ‘campo’ sanitario: il livello macro

Da quanto fin ora esaminato è evidente come la tensione registrata a tutti e tre i livelli verso la partnership sia contrastata e controbilanciata da spinte uguali e contrarie. Per poter

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Feidson, nel suo ultimo lavoro (2001), propone il professionismo come un ideal-tipo in senso weberiano, una terza logica di organizzazione sociale della divisione del lavoro (non solo sanitario) alternativa sia al mercato, dominato dal consumerismo che alla burocrazia razionale-legale dominata dalla gerarchia e fondata sulle creden- ziali professionali. Questa tesi viene giudicata da Giarelli “debole” e “nostalgica”, quasi anacronistica “in quello stesso mondo postindustriale in cui sempre più a confrontarsi non sono tanto i professionisti in quanto singoli a t- tori individuali quanto le grandi organizzazioni, in cui peraltro i professionisti stessi ormai quasi sempre operano. Organizzazioni in misura crescente in grado di incorporare saperi in forme standardizzate che tendono a rendere sempre più irrilevante il ruolo e le funzioni stesse del professionista, oltre che a dettarne le regole contrattuali ed i confini giurisdizionali.” (Giarelli 2004a: 122)

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Adottare la partnership come cifra relazionale in ambito sanitario consentirebbe: a livello micro nel rapporto con il paziente di rispondere alla crisi di fiducia che la sfida consumerista (Giarelli 2003: 95-102) ha prodotto, ripensando la dimensione clinica non semplicemente in un’ottica di razionalizzazione, ma di empowerment del paziente stesso, considerato come co-produttore della prestazione sanitaria erogata. In secondo luogo, di una partnership con il management che cerchi da una parte di superare la crisi di alienazione prodotta dalla sfida del- la iperspecificità (ivi: 76-81) crescente dei servizi sanitari, ripensando la dimensione organizzativa del lavoro sa- nitario in un’ottica di integrazione pluralista che coinvolga, oltre che il settore primario, secondario e terziario dei servizi biomedici, anche le medicine non convenzionali e il settore informale senza snaturane le caratteristiche; dall’altra, di fondare tale nuova divisione del lavoro sanitario su di un diverso assetto giurisdizionale in grado di superare la crisi di efficacia del vecchio paradigma biomedico che la sfida epidemiologica (ivi: 102-117) ha mes- so in evidenza. Infine, di una partnership con lo stato che consenta di affrontare la crisi di legittimazione che la sfida inflattiva (ivi: 82-95) ha innescato prima sul piano fiscale (con il problema della scarsità e del razionamento delle risorse) e poi sul piano più generale del mandato di legittimazione (Field 1973) che sancisce istituzional- mente il riconoscimento della funzione sociale del sottosistema sanitario.

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procedere nella nostra disamina riteniamo opportuno soffermarci ad analizzare l’ambito in esame come campo45, all’interno del quale si confrontano attori diversi che interagiscono al- lo scopo di massimizzare la loro posizione all’interno di questo specifico campo (Bourdieu 1993; 1999). Nel campo sanitario il possesso di elevati livelli di capitale culturale e simboli- co da parte di professionisti della salute ha consentito loro di esercitare il potere, attraverso l’istituzionalizzazione del capitale in loro possesso in strutture decisionali.

Tuttavia anche quello sanitario, come qualsiasi altro campo di potere, è uno spazio dina- mico in cui vi è una continua lotta tra gli attori sociali per massimizzare la prpria posizione attraverso l’accumulazione del capitale. Se negli ultimi anni la legittimità delle richieste dei pazienti e del pubblico al potere hanno guadagnato terreno (Kennedy 2001) è altrettanto vero che più frequentemente di quanto appaia queste rivendicazioni vengono utilizzate dai tradi- zionali detentori del potere decisionale per rafforzare la loro posizione. Non essendo una lot- ta aperta sorgono in una certa misura, dalle relazioni di ‘misconoscimento’ che tanto caratte- rizzano il settore della sanità (Bourdieu 1999).

Analizzare il campo sanitario come campo di potere impone allora di individuare gli atto- ri coinvolti e le possibili relazioni di forza che tra questi possono instaurarsi.

Per farlo ricorriamo in primis, come suggerito da Giarelli (2003: 158), al concetto di pote- ri controbilanciati, di pesi e contrappesi proposto da Donald Light (1995) che presenta il van- taggio di individuare gli attori focalizzando l’attenzione “sulle interazioni in termini di poteri degli attori sociali collettivi operanti in un determinato campo” (Giarelli 2003: 158). Appli- cato al campo dei sistemi sanitari il modello di Light individua quattro categorie di attori principali: la professione medica, i cittadini nel ruolo di pazienti, lo stato e il complesso sani- tario-industriale.

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Definiamo l’ambito sanitario come campo mutuando il concetto da Bourdieu “In termini analitici, un campo può essere definito come una rete o una configurazione di relazioni oggettive tra posizioni. Queste posizioni sono definite oggettivamente nella loro esistenza e nei condizionamenti che i pongono a chi le occupa, agenti o istit u- zioni, dalla loro situazione (situs) attuale e potenziale all’interno della struttura distributiva delle diverse specie di potere (o di capitale) il cui possesso governa l’accesso a profitti specifici in gioco nel campo, e contemporanea- mente dalle relazioni oggettive che hanno con altre posizioni (dominio, subordinazione, omologia …)” (Bourdieu 1992: 67).

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Fig. 1.2: Esemplificazione grafica del modello di poteri controbilanciati di Light (Giarelli 2003: 161)

Se uno degli attori diviene dominante, il suo potere crescendo produce degli eccessi che inducono delle reazioni, più o meno latenti, da parte degli altri attori volte a riequilibrare la situazione a loro vantaggio. (…) Il modello concettuale di Light può essere rappresentato da un tetraedro in cui ogni angolo costituisce un caso di possibile dominanza da parte di una delle parti, mentre le linee costi- tuiscono stati relativi di conflitto/cooperazione tra coppie di attori.” (ivi: 159).

L’area interna del tetraedro definisce invece il campo organizzativo in cui si realizza il bi- lanciamento dei poteri.

Secondo Light ciò che rende interessante l’epoca contemporanea è la fine della dominanza medica, per quanto riguarda i paesi dell’Europa Occidentale e gli Stati Uniti, e della domi- nanza statale, nei paesi dell’Europa Orientale e dell’Unione Sovietica. La fine di questi siste- mi di dominanza apre il campo a nuovi equilibri e a nuovi sistemi di dominanza che Giarelli definisce, in relazione all’attore dominante nel sistema di pesi e contrappesi che caratterizza tale sistema relazionale, quando l’attore dominante è rappresentato nella professione medica, a dominanza professionale, quando sono le grandi organizzazioni orientate al profitto del complesso sanitario-industriale, a dominanza manageriale, quando invece è lo stato, inteso come apparato politico-amministrativo nelle sue diverse articolazioni, a dominanza burocra-

tica, e, infine, quando l’attore dominante è rappresentato dalla comunità dei cittadini a livello

locale a dominanza societaria.

Ipotizzando che i lati del tetraedro definiscano lo stock di potere man mano che ci si allon- tana da un vertice il relativo attore perde una quota di potere pari a quella dell’attore del verti- ce opposto verso il quale il cursore si avvicina. Rebus sic stantibus la quantità di potere è data (e definita dal volume della figura), e quindi la somma di poteri e zero (un attore perde una quota di potere esattamente pari a quella guadagnata dall’altro, o dagli altri, nell’ipotesi in cui ci si muova non solo lungo uno spigolo del tetraedro ma lungo i piani da questo definiti), solo una variazione delle forze estrinseche può dilatare (e ipoteticamente ridurre) l’area del tetrae-

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dro, favorendo una somma di poteri positiva46. Variando l’area complessiva, e quindi le di- mensioni del tetraedro è possibile che tutti gli attori guadagnino potere senza che questo com- porti una diminuzione del potere altrui. Questo esempio, per quanto banale, ci consente di porre in evidenza il concetto di potere che sottende a tale impostazione: per quanto le dimen- sioni assolute del solido possano variare, l’attenzione è posta sulle distanze relative. Se quindi in termini assoluti è possibile un aumento del potere di tutti gli attori sociali coinvolti, in ter- mini relativi questa variazione potrà o meno incidere sullo stock di potere di ciascun attore all’interno del sistema (in un sistema perfettamente equilibrato ciascun attore dovrebbe pos- sedere ¼ del potere, il valore assoluto definito da tale rapporto viene definito dalla dimensio- ne del solido, al variare della sua dimensione varierebbe solo il valore assoluto di questa por- zione ma non la proporzione interna). Le combinazioni di potere non sono quindi infinite ma determinate dallo spazio definito dal tetraedro. In termini relativi resta quindi vero che la per- dita del potere di un attore determina l’aumento del potere di uno o più attori.

Ritornando alle teorizzazioni di Bourdieu infatti le relazioni di potere all’interno di un campo possono essere individuate attraverso le posizioni occupate da ciascun soggetto, posi- zioni che sono definite da specifiche “proprietà posizionali” definite non in ragione di qualità intrinseche bensì relazionali. Proprietà che si rafforzano e vengono riconosciute o miscono- sciute per il tramite degli habitus47. Nelle società occidentali, come già ricordava Ardigò (1972), la partecipazione dei cittadini ha ottenuto ovunque una propria legittimazione e un proprio spazio48 senza che questa legittimazione comportasse uno spostamento dell’asse di dominanza verso quello societario. È stato infatti sottolineato come definizione e contenuto concettuale della partecipazione siano dei costrutti sociali, nati da un “combattimento simbo- lico” tra i diversi attori del campo sanitario (Contandriopoulos 2004) 49

. Ciascuno degli attori

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È interessante notare come Hafferty e Light (1995) attribuiscano la possibilità che il bilanciamento di poteri produca qualcosa di più di un gioco a soma zero alle forze estrinseche “come i progressi tecnologici, i mutamenti significativi nelle risorse o nell’economia, i cambiamenti demografici e i mutamenti sociali al di fuori del campo di forze” (ivi: 135).

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In Le sens pratique Bourdieu ha esposto la seguente definizione articolata del concetto di habitus: “sistemi di disposizioni durabili e trasferibili, di strutture strutturate predisposte a funzionare come strutture strutturanti, ov- vero, al contempo, come principi generatori e organizzatori delle pratiche e delle rappresentazioni che possono essere oggettivamente adattate agli scopi senza supporre la visione cosciente dei fini e la padronanza esplicita del- le operazioni necessarie per raggiungerli, e come obiettivamente “regolate” e “regolari” senza essere il prodotto docile di quelle regole, e soprattutto collettivamente orchestrate senza essere il risultato dell’azione organizzatrice di un maestro d’orchestra” (Bourdieu 1980a: 88; T.d.a.). L’habitus è, quindi, una “struttura strutturante” che or- ganizza i vissuti, le pratiche e le rappresentazioni del mondo degli attori sociali, individuali e collettivi, ma anche la “struttura strutturata” in quanto quei modelli interpretativi, valutativi ed espressivi rimandano a specifiche co- ordinate spazio-temporali – a spazi sociali e a tempi storici. Il sociologo francese precisa il carattere dinamico e creativo dell’habitus rimarcando più volte la sua differenza rispetto all’habitude – un comportamento “ripetitivo” e “meccanico” – “riproduttivo piuttosto che produttivo” (Bourdieu 1980b: 134).

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Le strutture societarie occidentali vengono infatti dall’Autore collocate sempre e comunque all’interno di strut- ture a dominanza che consentono la conquista di uno spazio parziale di partecipazione. Gli altri possibili modelli vengono individuati nelle strutture a dominanza che escludono ogni forma di partecipazione (questo modello si colloca nel piano triangolare ai cui vertici si trovano Stato, professioni e il complesso sanitario-industriale); e nelle strutture nelle quali addirittura l’autogestione non incontrerebbe limiti e ostacoli istituzionali (questo modello coincide con il polo definito a dominanza societaria) (Ardigò 1972: 218).

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Questa considerazione ci consente di introdurre la questione della variabilità del concetto e delle forme della partecipazione, elementi sui quali ci soffermeremo più approfonditamente nel prossimo capitolo. Introduciamo a

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tende a promuovere una certa visione della partecipazione come definizione univoca e ogget- tiva, funzionale alla preservazione o all’aumento della loro quota di potere, attraverso un aumento della loro legittimazione di rappresentanti e interpreti degli interessi di salute gene- rali (ibidem).

Un’attenta analisi della definizione e delle forme che la partecipazione assume all’interno di uno specifico sistema sanitario può allora essere utilizzata come un resoconto dinamico della distribuzione del potere e delle risorse (ibidem), in un’ottica neo-istituzionalista infatti possiamo considerare come la partecipazione agisca a diversi livelli nella legittimazione a prendere parte al consesso decisionale e come rinvii a diverse regole di composizione degli interessi legittimamente rappresentati al tavolo decisionale. È interessante e opportuno sotto- lineare come questi due elementi vengano utilizzati per descrivere il passaggio dal gover-

nment alla governance, ovvero ad “uno stile di governo distinto dal modello gerarchico e ca-

ratterizzato da un maggior livello di cooperazione e dall’interazione tra lo Stato e attori non statuali all’interno di reti decisionali miste pubbliche/private” (Maynz 1999: 3).

Questa prima definizione rimanda ad una cornice piuttosto lasca all’interno della quale rientrano i processi, le pratiche, le regole, i significati che definiscono come i poteri vengo- no effettivamente esercitati da una pluralità di attori fra loro interconnessi, anche eventual- mente in assenza di un’autorità di governo formalmente riconosciuta. Se quindi la governan-

ce si caratterizza per l’esercizio di poteri effettivi in una struttura di relazioni che appare di

tipo poliarchico, in quanto fondata su di un gioco di equilibri fra una pluralità di soggetti (ordine negoziato).

La sostanziale indeterminatezza del concetto all’interno dei confini indicati ha determinato la necessità di definire e declinare la governance attraverso differenti aggettivazioni, aggetti- vazioni che rimandano, come vedremo nel paragrafo successivo a precise e differenziate reti decisionali e modalità relazionali.

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