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1.2 Le sfide della post-modernità e nuovi assetti di potere

1.2.2 Riorganizzazione territoriale

Il processo di rescaling, ovvero la riorganizzazione territoriale dei poteri regolativi, in ambito sanitario non è un fenomeno recente. Nei sistemi sanitari europei e, in particolare, nei servizi sanitari nazionali23 gli studiosi hanno infatti individuato due distinte fasi di decentra- mento (Rico, León 2005; Ferrera 2005).

La prima si è svolta prevalentemente negli anni Settanta e Ottanta, con un ruolo da prota- gonista dei paesi scandinavi24. Secondo la letteratura in materia (Ferrera 2005; Pavolini

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I modelli sanitari basati su assicurazioni sociali hanno fatto registrare nel corso degli ultimi decenni una minore variazione nei loro assetti istituzionali e gestionali, in riferimento specificatamente al livello di dece ntramento del sistema e di regionalizzazione. Pur avendo discusso e affrontato in buona parte gli stessi dilemmi e le stesse diffi- coltà dei sistemi sanitari nazionali, in termini di efficienza, efficacia e partecipazione, in Germania e Francia il tema del decentramento, quale strategia specifica per incidere sul più generale funzionamento del sistema sanit a- rio, è risultato meno centrale nei dibatti e nelle scelte di policy.

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Il tratto comune di questi fenomeni ha riguardato il decentramento del potere decisionale ad livelli di governo più circoscritto che in alcuni casi sono stati i livelli di governo intermedio, quali le Contee, come in Norvegia e

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2008) questa prima fase di decentramento sarebbe stata ispirata a motivazioni di tipo funzio- nale, dovuta al “sovraccarico” di competenze statali determinato: dall’espansione dei pro- grammi di welfare nei trenta anni immediatamente successivi al dopoguerra, da processi spe- cifici di carattere politico-istituzionale (come ad esempio in Italia e Spagna dove le rispettive costituzioni prevedevano l’implementazione, anche in sanità, di processi di regionalizzazione del sistema), ma anche da richieste di maggiore democrazia e partecipazione dal basso nelle decisioni attinenti il welfare sanitario.

La seconda fase prende avvio attorno alla fine degli anni Novanta e raccoglie la sfida la- sciata inevasa dal paradigma del NPM, di garantire una migliore efficienza economica, in un’ottica di responsabilizzazione finanziaria degli enti pubblici sub-nazionali. Si tratta di un processo che spesso maschera una strategia dell’ente di governo nazionale orientata a sposta- re il biasimo da parte degli elettori (blame avoidance; Weaver 1986) per i “tagli” e le razio- nalizzazioni alla spesa sanitaria dal livello centrale a quello periferico.

In questa seconda fase tutti i processi di decentramento in atto in Europa sembrerebbero poter essere orientati a rispondere a delle esigenze comuni (Bankauskaite, 2005):

 contenimento dei costi, grazie alla riduzione dei livelli di burocrazia e alla possibilità di declinare l’offerta ai bisogni del territorio in ragione di una maggiore conoscenza di questi ultimi da parte dei decisori locali rispetto a quelli statali/nazionali;

 efficienza allocativa, grazie alla maggiore capacità per le amministrazioni decentrate di far coincidere le risposte dei servizi con i bisogni del territorio, così come di avvi- cinare, direttamente e indirettamente, i beneficiari degli interventi a coloro che li programmano e li gestiscono;

 partecipazione da parte delle comunità locali e dei cittadini alla costruzione del pro- prio sistema sanitario;

 integrazione socio-sanitaria. Lo spostamento del focus dei sistemi verso la tutela della salute, piuttosto che sulla sanità in senso stretto, richiede uno stretto collega- mento e una integrazione tra le politiche, in primis quelle sociali. Il decentramento risponde allora all’esigenza di favorire un rapporto più diretto e allo stesso livello con i servizi sociali, in genere decentrati più della sanità.

Nonostante però le comuni motivazioni che hanno favorito il diffondersi di processi di decentramento, il fenomeno del rescaling si presenta, nei diversi paesi europei, con caratteri- stiche in parte differenti. Come già ricordato, al concetto di decentramento in realtà possono essere ricondotte dinamiche abbastanza diverse fra loro.

Se è possibile propore una definizione minima che lo riconduce ad un cambiamento di ti- po istituzionale che implica un trasferimento di poteri e di responsabilità da un livello supe-

Svezia; in altri il livello più vicino al cittadino, le Municipalità, come in Finlandia e Danimarca ( Maino, Pavolini 2008).

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riore di governo ad uno o più livelli inferiori dotati di un certo grado di autonomia (Rondi- nelli 1983; Mills 1990), molte sono i possibili ditinguo che possono riguardare tanto il tipo di poteri trasferiti tanto il livello di governo beneficiario del conferimento. Se da questo secon- do punto di vista molto dipende dell’architettura territoriale di governo ed è quindi difficile procedere a generalizzazioni che rischierebbero, tra l’altro, di non risultare utili per l’interpretazione e l’analisi; dal primo punto di vista Saltman e Bankauskaite (2006) propon- gono una utile e interessante tipologizzazione, distinguendo tra decentramento politico (o devoluzione), fiscale e amministrativo, per comprendere meglio i fenomeni cui può alludere il concetto. Nel primo caso il trasferimento riguarda il potere di assumere le decisioni strate- giche per la promozione e la tutela della salute, nel secondo caso quello di definire le risorse finanziarie ed i criteri per incamerare e spendere tali risorse e, infine, nel caso del decentra- mento amministrativo il passaggio di poteri avviene fra apparati burocratici più centralizzati e apparati burocratici periferici. In questo caso il decentramento può assumere forme diffe- renti a seconda che il soggetto beneficiario della delega sia pubblico o privato (Pavolini 2008).

A fronte di questa riarticolazione one-way (centro-periferia) gli ultimi anni fanno registra- re tendenze contraddittorie che affiancano al rafforzamento del processo di decentramento, con obiettivi di consolidamento e di rafforzamento della accountability, un riaccentramento, un rafforzamento dei governi centrali rispetto ai governi sub-nazionali principalmente per problemi di controllo della spesa.

In questo senso, allora, le politiche di sussidiarietà assumono un ruolo ben diverso dalla semplice riallocazione del potere decisionale ad un livello più vicino ai cittadini, ponendosi, proprio grazie a questa maggiore vicinanza, come la sede idonea per rifondare un nuovo pat- to fiduciario tra il sistema di welfare e la comunità locale. Si tratta di favorire una responsa- bilizzazione condivisa che accanto ad irrinunciabili garanzie in merito ai livelli di assistenza garantita, sia in grado di attivare risposte dai cittadini stessi e dalle loro reti che sono chiama- ti a diventare protagonisti attivi.“Ciò per non ingenerare paradossali effetti di dipendenza, bensì per costruire forme di cura e assistenza più appropriate ed efficaci” (Galesi 2010: 172).

Si realizza così una corrispondenza tra i due fenomeni che sembrano convergere verso una complessiva riallocazione del potere decisionale, sottratto, da un lato attraverso i proces- si di networking, ai soggetti portatori di una espertise professionale, siano essi medici o manager, e, dall’altro attraverso la sussidiarietà, al governo centrale in favore di livelli di go- verno più vicini alle singole comunità territoriali. Si potrebbe legittimamente immaginare che gli esiti di tali processi di ridefinizione dei ruoli e riallocazione del potere decisionale possano essere andati nella direzione dell’attore rimasto in ombra, il cittadino. Intendiamo orientare il nostro lavoro alla verifica di questa ipotesi ma prima di procedere in questa dire- zione riteniamo opportuno proporre una ricostruzione storica dell’affermarsi delle istanze di

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riconoscimenti di un ruolo diverso per il cittadino/utente, inizialmente per emanciparlo dal ruolo di passività nel quale veniva relegato dal paradigma biomedico e, successivamente, per “liberarlo” dalla identificazione con il consumatore/cliente.

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