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Legittimazione e destino della deliberazione

2.6 Le aporie della partecipazione: rappresentatività, legittimità e responsabilità

2.6.3 Legittimazione e destino della deliberazione

La legittimazione del processo partecipativo, strettamente correlato con la percezione de- gli elementi di legittimità e rappresentatività, incide direttamente sulla questione della possi- bilità che la decisione assunta dall’arena partecipativa possa incidere effettivamente sui con- tenuti della decisione finale (Ansell, Gash 2007). Questo aspetto rappresenta uno degli ele- menti che maggiormente hanno impegnato il confronto scientifico che, in primis, si è orien- tato a fornire una tipizzazione dei possibili ‘destini’ del processo partecipativo (Arnstein 1969). Il punto di vista che si assumeva per analizzare il peso della decisione partecipata era fortemente connotato dall’orientamento radicale di quegli anni che pretendeva che vedeva nella partecipazione dei cittadini lo strumento per una redistribuzione del potere decisionale a loro favore, sottraendola alle tradizionali sedi, e ai soggetti, della rappresentanza democra- tica.

Le esperienze concrete che si andavano realizzando sotto l’egida della partecipazione di- mostrarono infatti ben presto come gli utenti venivano spesso coinvolti strumentalmente co- me forma di auto-legittimazione da parte dell’autorità deputata (Harrison, Mort 1998; Mort

et al. 1996), piuttosto che come forma di legittimazione ex-post (Crawford et al. 2002), e di

come le opinioni di coloro che sono stati coinvolti non trovino traduzioni concrete a livello

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Più in generale, secondo i teorici della democrazia associativa (Cohen, Rogers 1995; Hirst 1994 e 1997; Ba- der, Hirst 2001) le associazioni possono migliorare la qualità della democrazia perché hanno la capacità di fornire input di conoscenza su problemi specifici e delimitati, di ridurre le disuguaglianze nella rappresentazione degli interessi e di educare al civismo i cittadini.

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di gestione (Glasner, Dunkerley 1999). E stato infatti osservato come troppo spesso questi momenti di coinvolgimento rappresentino un singolo step del processo decisionale senza col- legamenti e ricadute sistemiche, al punto che la maggior parte del lavoro compiuto per l’individuazione delle questioni “calde”, delle tensioni e incertezze non viene capitalizzato dall’organizzazione (Williams 2004).

A partire dal primo e fondativo contributo, proposto da Sherry Arnstein (1969), la mag- gior parte degli autori è ricorso a modelli multilivello o scale allo scopo di collocare i diversi possibili esiti del processo partecipativo in una cornice unica, fornendo in molti casi poco più che delle varianti della scala originaria (Charles, DeMaio 1993)115. Per la Arnstein il concetto di partecipazione è indissolubilmente legato a quello di potere: non esiste partecipazione do- ve non esiste condivisione di potere “citizen participation is a categorical term for citizen

power” (Arnstein 1969: 216). In ragione di tale presupposto articola una scala dove i livelli

di partecipazione delimitati in relazione al grado di potere e controllo attribuito ai consuma- tori116, proponendo un indissolubile legame tra partecipazione e redistribuzione del potere in favore di coloro che precedentemente ne erano privi, condivisione quale unica e imprescin- dibile strategia di riforma sociale per la realizzazione di una società più equa117.

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Alcuni, Jewkes e Murcott, osservano che lo sviluppo della nuova politica sanitaria attorno alla partecipazione non riesce ad attirare la letteratura critica sugli esistenti organismi di potere. Per questi autori alcuni degli sviluppi politici più recenti sarebbero piuttosto semplicistici rispetto alle sofisticate analisi che si trovano nella vecchia letteratura che si basava sull’esperienza di ampi e potenti movimenti sociali e sui modelli di sviluppo della comu- nità (1998).

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Per quanto non tutta la letteratura che considera i livelli proposti dalla Arnstein muova dai suoi stessi presu p- posti, e non sia quindi orientato ad una classificazione delle forme di partecipazione in relazione al grado di redi- stribuzione di potere che realizzano, si tratta spesso di elaborazioni che acquisiscono il suo contributo per indivi- duarne implicazioni processuali (Bastian 1998) o metodologiche (Johnson, Bament 2002). Saltman, ad esempio, sostiene che la capacità di controllo delle risorse è la dimensione centrale per verificare l’effettiva distribuzione di potere: “it is budgetary authority and resource allocation that are the only practical surrogates for power. To be- come empowered, therefore, patients have to wrest substantial control over these two financial mechanisms away from managers as well as from physicians” (1994: 205).

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Tra i modelli derivati più direttamente da quello della Arnstein il modello di Edelenbos e Monnikhof Edelen- bos e Monnikhof (2001), utilizzato nella Comunità fiamminga come guida per le sue iniziative di coinvolgimento (Leys, Reyntens, Gobert 2007), propone una tipizzazione descrittiva, che si articola in cinque forme di partecipa- zione che perdono però il loro carattere normativo. Informare: i cittadini sono informati sulla pianificazione e sul- le decisioni delle autorità, ma non hanno alcuna influenza reale in materia. Questa informazione può consentire ai cittadini di fare pressione sulle autorità e rivendicare il diritto di esprimersi. Informarsi non è considerato una forma di partecipazione attiva, ma come condizione: se i cittadini non sono informati, non possono protestare contro le decisioni assunte; Consultare: le autorità decidono verificando in anticipo il punto di vista dei cittadini sulla linea politica. La popolazione acquista il ruolo di interlocutore. Anche se il suo parere non è considerato vincolante; Consigliare: le autorità forniscono al pubblico la possibilità di segnalare problemi e suggerire solu- zioni. Anche in questo caso non si tratta di segnalazioni vincolanti per i politici ma, in questo caso, sussiste l’obbligo di motivare le decisioni divergenti. Il potere decisionale spetta all’autorità che ha però l’obbligo di spie- gare chiaramente ai cittadini le scelte che sono state fatte e perché sono state fatte; Co-produrre: i cittadini e l’autorità deliberato insieme sulle questioni all’ordine del giorno e cercare insieme le soluzioni. In questo caso il parere dei cittadini è vincolante per l’autorità, la popolazione può quindi essere considerata come co-produttore della politica; Decidere: l’elaborazione delle linee politiche e il potere decisionale sono completamente delegate alla popolazione all’interno di una cornice di previsioni finanziarie, giuridiche e procedurali. Le autorità, tuttavia, mantengono un potere consultivo. Una volta raggiunta la decisione questa, dopo un controllo sul rispetto delle condizioni stabilite, viene adottata dalle autorità competenti. Per quanto questa tipologia non tenga conto né del contesto in cui le decisioni devono essere prese, né gli obiettivi dei responsabili politici, parte della letteratura menziona tale articolazione come importante nel determinare l’intensità della partecipazione (Gustafsson, Driver 2005).

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Il modello proposto dalla Arnstein è caratterizzato da un forte portato normativo118: il processo di partecipazione viene paragonato ad una scala il cui obiettivo, indipendentemente dal gradino di accesso, deve essere quello di raggiungere il massimo livello. Questo livello corrisponde al controllo delle leve decisionali da parte dei cittadini ovvero dall’introduzione di istituti di democrazia diretta.

Non si pensi che il successo della modellizzazione le abbia risparmiato critiche, anche importanti, che possono essere ascritte a due grandi famiglie. Alcuni evidenziano negativa- mente come l’approccio proposto consideri la partecipazione e il controllo come fini in sé, senza considerare la partecipazione diretta dei cittadini come mezzo per migliorare la qualità dell’assistenza sanitaria (Tritter, McCallum 2006). Altri evidenziano come presentare il più alto livello di partecipazione, quello che realizza il controllo da parte dei cittadini, come l’unica forma effettiva (e desiderabile) di partecipazione, renda irrealistico il fine stesso della partecipazione (Gustafsson, Driver 2005)119.

Alcuni sottolineano come il modello costringa, di fatto, a scegliere tra il coinvolgimento intensivo di alcune persone e un meno intenso coinvolgimento di un numero maggiore di cit- tadini, il che, ove si opti per la prima strategia, solleva importanti dubbi in merito alla rap- presentatività dei cittadini coinvolti (Singer 1995), di cui ci siamo occupati nei precedenti paragrafi. È però opportuno sottolineare come la letteratura abbia rivelato un ulteriore ri- schio, relativo alla non omogeneità delle tipologie di persone disposte a partecipare intensa- mente e coloro che potrebbero essere coinvolti in percorsi meno intensi. Persone con livelli adeguati di capitale, sociale ed economico, sono infatti più propense a partecipare intensa- mente a livello politico (Leys, Reyntens, Gobert 2007). Recenti ricerche hanno rinforzato questa ipotesi dimostrando che, anche se la maggioranza della popolazione chiede di essere coinvolta nella gestione della sanità, solo una piccola minoranza sono disposti a impegnarsi con continuità (Farrell 2004).

La scala della partecipazione viene ripresa da Thomas (1990; 1993), perdendo il suo ca- rattere di normatività. Per l’Autore non vi è infatti un ‘migliore’ livello di partecipazione, e le diverse fasi, per la precisione cinque, corrispondenti a intensità diverse di partecipazione, formano una sorta di linea di partecipazione continua. Il modello proposto da Thomas infatti tende a fornire una risposta operativa per i decisori indicando il livello di partecipazione più idoneo in relazione allo specifico contesto istituzionale e alla specifica questione da affronta-

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Diversi autori hanno sottolineato l’aspetto normativo implicito nella gerarchia proposta dal modello della Ar- nstein: con il crescere dell’intensità del coinvolgimento dei cittadini cresce il loro potere e quindi cresce anche la qualità della partecipazione, che rivela una sopravvalutazione ideologica ideali democratici (May 2006; Tritter, McCallum 2006; Bishop, Davis 2002; Gustafsson, Driver 2005).

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Molta di questa letteratura insiste di fatto sulle difficoltà insite sulla percorribilità del cammino salvifico pro- posto dalla Arntein (May 2006; Tritter, McCallum 2005, Bishop, Davis 2002). In primo luogo, i gradi più alti di partecipazione presuppongono attività costose, che spesso richiedono molto tempo e un importante impegno or- ganizzativo. Inoltre tale modello presuppone, per poter garantire una effettiva partecipazione, importanti investi- menti di formazione.

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re e ai tipi di attori che possono essere coinvolti arrivando a definire un tabella a doppia en- trata.

Nel primo livello, decisione manageriale autonoma, la decisione viene assunta senza l’intervento dei cittadini. Ciò non impedisce che possano essere contattate alcune persone chiave appartenenti ai gruppi organizzati più rilevanti. Le informazioni così ottenute sono completamente rimesse alla valutazione manageriale. Nel secondo livello decisione manage-

riale autonoma ma emendabile, vengono consultati alcuni gruppi target ma, anche in questo

caso, non vi è alcuna garanzia che le informazioni derivanti dalla consultazione saranno te- nute in considerazione. La consultazione pubblica mirata, terzo livello, prevede invece la consultazione di alcuni gruppi target, con una preferenza verso le condizioni che garantisco- no lo scambio di idee e di proposte, ma, anche in questo caso, le idee e le proposte emerse non hanno alcuna garanzia di trovare spazio all’interno della decisione ultima. Questo aspet- to viene superato solo con il quarto livello, consultazione pubblica estesa, dove la cittadinan- za viene coinvolta nell’elaborazione delle politiche. Le elaborazioni prodotte, in termini di idee e proposte, vengono prese in considerazione in fase di definizione della decisione finale. Nell’ultimo livello, infine, quello della decisione pubblica tutti sono coinvolti nell’elaborazione delle politiche e si cerca collettivamente una soluzione o un accordo.

Anche il modello proposto da Shand e Arnberg (1996) e ripreso da Maloff, Bilan e Thur- ston (2000) pone l’attenzione sulla relazione esistente tra tipo di partecipazione e problema politico in questione. Entrambi i modelli non classificano le forme di partecipazione in classi distinte ma collocano le cinque forme che individuano all’interno di un continuum che ordi- na gli stessi in senso gerarchico120.

Il polo minimo di partecipazione, configurato come informazione, in realtà è presto deru- bricato dai due autori al di fuori delle forme di partecipazione. Configurando un flusso di in- formazione unidirezionale attribuisce un ruolo attivo solo all’autorità pubblica, fonte dell’informazione – attraverso la quale, come precisano i due autori, i politici vogliono con- vincere il pubblico di qualcosa o inviare un messaggio – e un ruolo passivo ai cittadini. Tale unilateralità viene superata attraverso la consultazione, tramite la quale le autorità danno alla popolazione o a gruppi di interesse la possibilità di esprimere le loro opinioni su un determi- nato argomento. Le autorità, però, mantengono il potere decisionale ultimo. Nell’area suc- cessiva, quella della ‘partnership’, le decisioni vengono prese insieme e in modo concertato, o meglio, una parte dei contenuti della decisione da assumere vengono lasciati ai cittadini, attraverso comitati consultivi ad hoc o permanenti. Gli autori suggeriscono l’utilizzo di que- sta formula in caso di decisioni particolarmente controverse. In questi casi il coinvolgimento

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La ricognizione effettuata dai due autori tra le forme di partecipazione diffuse tra i paesi OCSE porta i due au- tori a collocare la maggior parte delle pratiche diffuse in tali paesi all’interno del secondo o terzo livello del con- tinuum.

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della popolazione garantirebbe una possibile strada di risoluzione dei conflitti sociali. Rap- presentanti di determinati gruppi o dei cittadini hanno invece la possibilità di partecipare di- rettamente alla formulazione e all’esame dei problemi o delle questioni politiche attraverso la delega. Tecnica questa che viene suggerita per garantire una migliore e maggiore accetta- zione della decisione quando il problema affrontato necessiti, per sua natura, di un approccio di medio-lungo periodo. La tipologia del controllo sarebbe invece esaurita all’interno dello strumento referendario, usato spesso per arrivare a decisioni su delicate questioni costituzio- nali.

I modelli di Shand, Arnberg e Thomas hanno rappresentato la base da cui il Dipartimento federale del Canada per la Salute, ha elaborato una propria scala di partecipazione (Santé Canada 2000).

Nella proposta del dipartimento canadese la scelta del tipo di partecipazione dipende da una serie di fattori e il più elevato livello di partecipazione non viene considerato necessa- riamente il migliore. Il grado di partecipazione deve essere scelto in base al contesto (cfr. an- che Rowe, Frewer 2000). Il cotesto viene definito in relazione a obiettivo e fase di sviluppo della politica, supposta influenza dei cittadini, natura e complessità della questione, compo- sizione e natura dei partecipanti, tempo e mezzi a disposizione, la realtà del momento, la do- se di cooperazione necessaria, le relazioni tra gli attori, il sostegno del mondo politico e l’importanza attribuita alla questione specifica. In tale quadro le forme di partecipazione più intense sono consigliate quando esiste un conflitto potenziale tra le norme e i valori dei di- versi gruppi.

I tipi di partecipazione individuati sono posti su cinque livelli:

informare: le autorità informano il pubblico su una particolare decisione o questione poli- tica. Non vi è alcuna possibilità di influenzare questa decisione. Le informazioni vengono utilizzate per aumentare l’accettazione pubblica di una politica o per rassicurare il pubbli- co, spesso la tecnica è usata spesso in situazioni urgenti.

raccogliere informazioni, ascoltare: le autorità richiedono informazioni al pubblico du- rante la fase di sviluppo delle politiche. Non vi sono garanzie che tali informazioni rie- scano ad influenzare la decisione ma non è neanche da escludersi.

discutere, consultare: le autorità ricercano uno scambio reciproco di informazioni con i soggetti interessati, che possono influenzare le decisioni.

coinvolgere: i cittadini sono chiamati a discutere e deliberare questioni etiche complesse. Le autorità assicurano che il contributo si tradurrà in decisioni.

Partenariati: i cittadini e i gruppi dispongono di un potere decisionale e hanno la possibi- lità di cercare le proprie soluzioni e sviluppare la politica.

La modellizzazione proposta dal dipartimento di salute canadese però non opera una mera sintesi dei modelli cui dichiara di riferirsi. Individuando nella partnership il livello massimo

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di condivisione del potere decisionale opera di fatto una scelta strategica a favore della par- tecipazione fondata sulla delega, per usare la terminologia di Shand e Arnberg.

Decisamente interessante il punto di vista adottato dal WHO. A differenza dell’OCSE (2001) che adotta un modello di classificazione continuo nel quale però non trovano posto i due tipi di partecipazione più intensa, che il modello di Maloff, Bilan e Thurston (2000) de- finiva come delega e controllo121, il WHO propone una rielaborazione delle differenti classi- ficazioni proposte in letteratura senza escludere alcun grado di distribuzione del potere, arri- vando ad adottare il modello teorico proposto da Davidson (1998).

Diversamente dagli approcci menzionati Davidson propone un modello circolare, artico- lato in12 spicchi che, a gruppi di tre, vengono fatti afferire all’area dell’informazione, piutto- sto che a quella della consultazione, per arrivare a quella della partecipazione e chiudere con quella dell’empowerment.

Fig. 2.1: La ruota della partecipazione Davidson, 1998: fig. 4.2.

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Le tre aree individuate dall’OCSE risultano: 1. Informazione (le autorità pubbliche informano la popolazione per accrescere la consapevolezza sociale e la conoscenza in una area specifica. Gli stessi cittadini possono anche richiedere informazioni alle autorità. L’informazione è qui configurata come una conditio sine qua non per le successive fasi); 2. Consultazione (le autorità non si limitano semplicemente a fornire una informazione unilatera- le ma si preoccupano anche di conoscere il punto di vista dei cittadini in merito alla propria politica. Si viene a configurare uno scambio di informazioni bidirezionale); 3. partecipazione attiva, coinvolgimento diretto, partnership (i cittadini sono attivamente coinvolti nel processo decisionale, ma le decisioni rimangono di compe- tenza delle autorità). Il modello proposto dall’OCSE definisce l’area di partecipazione solo in relazione all’ultima fase. Tuttavia le precedenti fasi di informazione e consultazione sono configurate come importanti attività che fanno parte del processo di partecipazione attiva e che possono, da sole, favorire un rapporto più attivo tra le a u- torità e la popolazione.

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Prima di procedere con la nostra analisi è opportuno richiamare l’attenzione, oltre che sulla non linearità del modello, sulla collocazione del tutto peculiare che propone in merito alla partnership. Se infatti quest’ultima viene collocata da molti dei modelli descritti all’interno del quadrante più elevato di condivisione del potere, viene posta da Davidson a metà della sezione partecipazione che per l’Autore non identifica il livello più elevato di condivisione del potere decisionale. Questa definizione è del tutto in linea con la definizione da noi adottata nel precedente capitolo.

Il livello più elevato di partecipazione, l’empowerment, si realizzerebbe solo nel momento in cui ai cittadini viene affidato il potere di verifica (control). Non è nostro interesse entrare nel merito delle diverse declinazioni che questa delega di potere può assumere, quanto piut- tosto centrare l’attenzione sul legame a doppia entrata che viene riconosciuto tra empower-

ment e potere di verifica. In effetti attribuendo al gruppo di partecipazione il potere di verifi-

ca o valutazione si costruirebbe in loro favore un setting riflessivo dove “le pratiche sociali vengono costantemente esaminate e riformate alla luce dei nuovi dati acquisiti in merito a queste stesse pratiche” (Giddens 1994:46).

Se infatti “la valutazione risponde ad un’esigenza di una società democratica che vuole conoscere le proprie capacità nel fornirsi dei beni e dei servizi di cui ha bisogno, e che af- fronta difficoltà e limiti, imparando dalla propria esperienza” (Stame 1998: 8), la valutazione partecipata diviene la modalità più adeguata alla maturità teorica e pratica dei tempi e, corri- spondentemente, più capace sia di cogliere la complessità dei processi sottostanti alla realiz- zazione di pratiche di intervento sociale, sia di animare costantemente all’interno di questi le capacità riflessive degli attori e del sistema di interazione sociale” (Tomei 2006: 23) capace di generare continuamente il processo ricorsivo dell’empowerment come definito in chiusura del precedente capitolo.

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