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2.7 Verso un modello analitico-valutativo orientato teoricamente

2.7.1 Valutare la partecipazione

Nonostante l’ampia letteratura in materia di partecipazione (in ambito sanitario e non), che abbiamo cercato di ripercorrere nel presente capitolo, diversi autori hanno sottolineato la carenza di studi che si concentrassero sui risultati e sull’efficacia della partecipazione (Sim- pson, House 2002; Crawford et al. 2002). Elemento ancor più interessante se si considera che a partire dalla ricerca di Berry (1981) molte indagini compiute hanno sollevato perplessi- tà in merito agli esiti di questi percorsi (White1999), quasi che la loro efficacia non risultasse un elemento dirimente per determinare la scelta di ricorrere a tali percorsi da parte delle isti- tuzioni (ivi: 466).

Se la ragione di tale assenza non può essere ricercata nell’assenza di quadri teorici di rife- rimento, la causa può forse essere ricondotta alla eccessiva polimorficità dei framework di riferimento, che favoriscono un utilizzo disinvolto da parte delle istituzioni di paradigmi provenienti da approcci molto differenti (White 1999). O, peggio, consentire la trasforma- zione in corso d’opera dei riferimenti concettuali in modo funzionale agli obiettivi della diri- genza, favorendo un uso strumentale della partecipazione. È stato, ad esempio, il caso rileva- to dalla White in Oregon dove un gruppo di cittadini originariamente convocato per valutare i servizi sanitari (approccio tecnocratico) è stato ri-orientato verso un approccio democratico per valorizzare il coinvolgimento dei cittadini piuttosto che puntare l’attenzione sui risultati del processo di valutazione ‘partecipata’ (1999).

L’assenza di un chiaro riferimento concettuale si riflette nella difficoltà di impostare un disegno valutativo, è stato infatti evidenziato come sia necessario un approccio completa- mente diverso a seconda che la partecipazione sia vista come un mezzo per raggiungere un obiettivo o un obiettivo in sé (Thurnston et al. 2005; Mosquera et al. 2001). Nel primo caso, il processo partecipativo dovrà essere valutato sulla base degli effetti della partecipazione in relazione agli obiettivi che si intendevano raggiungere122. Nel secondo caso l’oggetto della valutazione dovrà essere lo stesso processo partecipativo in sé.

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Da questo punto di vista allora ci si occupa di verificare gli effetti della partecipazione in termini di realizza- zione di un migliore allineamento tra i valori, le esigenze degli utenti del servizio / pazienti / cittadini / consuma- tori, da un lato, e l’offerta reale dei servizi, dall’altro (Pivik, Rode, Ward 2004). Altre ricerche si sono invece

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Ma in letteratura si trova anche una differente prospettiva che giustifica l’assenza o, quan- tomeno la carenza, di percorsi di valutazione della partecipazione: alcuni degli autori che so- stengono la partecipazione come strategia di democratizzazione ritengono che le pratiche partecipative trovino in questo la loro legittimazione; fondamento questo che sarebbe suffi- ciente ed esaustivo, senza necessitare di ulteriori prove di efficacia (Harrison et al. 2002). Altri, pur all’intero dello stesso approccio teorico, hanno mostrato maggiore sensibilità alle evoluzioni del concetto stesso di democrazia e di cittadinanza che hanno condotto al supera- mento dell’approccio democratico-imparzialista alla deliberazione (cfr. paragrafo 2.4), e si sono invece occupati di individuare strategie di valutazione centrate sul processo (Crawford

et al. 2002; Thurnston et al. 2005; Abelson et al. 2003a)123.

Seguendo il filone aperto dalla Arnstein (1969) molti autori hanno cercato di rilevare se i processi partecipativi comportino in concreto una redistribuzione del potere (White 1999). Le ricerche che hanno adottato questo punto di vista hanno evidenziato non poche criticità. L’oggetto del processo decisionale partecipato rischia infatti troppo spesso di essere margi- nale. La scarsa significatività delle questioni trattate sarebbe sottolineata dalla scarsa parteci- pazione della classe medica e dalla delega della gestione degli stessi agli esperti di comuni- cazione piuttosto che ai responsabili delle relazioni pubbliche (Harrison, Mort 1998) e con- fermata dalla rilevazione ‘oggettiva’ delle questioni trattate. In alcuni casi il processo parte- cipativo comportava infatti una mera redistribuzione delle informazioni in direzione top- down, esperti verso utenti (Bowl 1996). Cawston e Barbour (2003) sottolineano che solo ra- ramente i consumatori riescono ad ottenere significativi spostamenti nella spesa pubblica, acquisendo così un maggiore controllo sull’allocazione delle risorse. Spesso anche quando la partecipazione afferisce a questa tematica i vincoli di sistema e i limiti posti non consentono di incidere effettivamente sulle priorità di spesa predefinite.

Queste tendenze sono confermate anche dagli studi (Lupton et al. 1995) condotti su con- testi di partecipazione più ampi come i Community Health Council che hanno verificato co- me gli oggetti in discussione erano spesso limitati a questioni marginali, come la garanzia della qualità, e che le decisioni strategiche venivano sistematicamente adottate al di fuori dei meccanismi formali di consultazione. Nella maggior parte dei casi la ricerca ha attribuito ai Consigli l’unico ruolo di legittimazione delle decisioni che erano già state prese (ivi: 224). Le ricerche più recenti sembrano confermare questo ruolo strumentale:

(…) good operational work that does not influence decisions. There are also numerous examples of PPI (patient and public involvement) going on in what may be termed “safe” areas, such as hav-

concentrate sugli effetti della partecipazione per ridurre le differenze di salute legate allo status socio-economico (ten Dam 1998).

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Altra parte di questa letteratura si è dedicata, senza raggiungere, anche in questo caso, una sistematizzazione definitiva sull’effetto dei fattori contestuali e delle interazioni tra i soggetti coinvolti (Rowe, Frewer 2000).

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ing reader panels for patient information leaflets or focus groups on aspects of the ward environ- ment. There are also plenty of examples of patient representatives sitting on steering groups for particular service areas or on projects. But often these project groups sit at the periphery of corpo- rate decision making and people involved may be marginalised or unsupported. The NHS seems to be getting better at finding out what matters to patients, carers and the public – less good at doing things about it. It is having a hard time shifting from “feedback” mode (gathering information about the patient experience) to “influence” mode (sharing a seat at the decision making table with patients, carers, service users and the public) (Commission for Health Improvement 2004: 3) .

In sostanza questi studi dimostrerebbero che il sistema tende a mantenere il controllo ac- centrato, depotenziando gli organismi di partecipazione e utilizzandoli per rafforzare il con- trollo da parte dell’autorità sanitaria (Milewa et alii 1999). Secondo lo studio condotto da questi autori sarebbe questo il caso delle strutture di partecipazione implementate nel Regno Unito. Il controllo passa, spesso, attraverso l’etero direzione, da parte di medici e/o dirigenti, dell’ordine del giorno delle sedute degli organismi di partecipazione (Harrison, Mort 1988).

Questo rischio sarebbe insito nella stessa origine dei processi partecipativi che sono spes- so promossi dall’autorità sanitaria e risentono quindi delle aspettative del management, della cultura organizzativa (Brown, 2001) e del contesto istituzionale (Wistow, Barnes 1993; Lo- wndes et al. 2001a; Orr, McAteer 2004; Reddel, Woolcock 2004; Barnes et al .2007). Questi condizionamenti non risentirebbero quindi solo della volontà manageriale di auto- legittimazione ma sarebbero soprattutto vittima della concezione ideologica del sistema sani- tario che limita il ruolo delle comunità locali a quello di mere consigliere delle autorità sani- tarie124 (Milewa et al. 1999). Il sistema richiederebbe un management preparato e attivo, ca- pace di selezionare adeguatamente i problemi rispetto ai quali richiedere l’opinione dei citta- dini, e che si riservi la possibilità di decidere se e come utilizzare i risultati di questa attività (Milewa et al. 1998). È chiaro che questo tipo di approccio sposa una interpretazione tecno- cratica della partecipazione che non può essere orientata all’empowerment o alla democra- zia, ma può fornire un contributo importante alla fornitura di servizi efficaci (Rowe, She- pherd 2002).

Ma non sono solo gli elementi interni al sistema sanitario a giocare un ruolo rilevante nel favorire o ostacolare l’acquisizione di un ruolo importante (se non centrale) degli organismi di partecipazione. I fattori esterni di carattere economico, culturale e sociale possono giocare un ruolo decisivo. Interessanti sono, da questo punto di vista, i risultati di una ricerca, ormai storica, sui centri di servizio della comunità del Quebec, dove si dimostrava che la capacità di questi centri di giocare un ruolo importante era strettamente correlato allo status socio- economico dei consumatori che partecipavano alle riunioni di questi centri (Godbout 1981)

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Newman et al. (2004) evidenziano come “le tensioni tra le priorità della politica nazionale e punti di vista e delle priorità locali (...) può essere replicato nelle organizzazioni pubbliche in quanto essi cercano di creare un confine 'strategico / locale' che limita la struttura delle opportunità di partecipazione” (ivi: 213).

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sui lo ha portato a concludere che quando i consumatori riescono ad esercitare il potere, tale possibilità discende dal loro status socio-economico, sia che siano in grado di mobilitare il sostegno della comunità, o che abbiano un particolare rapporto con i manager che devono adottare le decisioni125.

Ma la valutazione non è sensibile solo al focus di indagine ma anche al punto di vista che si sceglie per guardare l’oggetto della valutazione, che può variare significativamente l’esito della valutazione. In merito Chess (2000) distingue tre approcci per valutare le iniziative di partecipazione: 1) valutazione degli utenti (user-based evaluation), che si concentra sulla percezione e la visione dei partecipanti e riflette il fatto che diversi partecipanti analizzeran- no diverse angolazioni; 2) valutazione tecnica, basata sulle teorie di riferimento (Theory ba-

sed evaluation); 3) ed infine la valutazione aspecifica che, senza assumere il punto di vista

delle parti interessate né specifici quadri teorici di riferimento, si propone di valutare gli ef- fetti e l’efficacia del percorso partecipativo senza focalizzarsi troppo sugli obiettivi prefissati (goal-free evaluation)126.

Nel nostro caso abbiamo inteso orientare il modello analitico in modo coerente con la teo- ria di riferimento ma, proprio in considerazione di questa, abbiamo ritenuto opportuno inte- grare il punto di vista dei partecipanti per valutare alcune delle variabili utilizzate.

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