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Oltre l’approccio discorsivo: le critiche all’imparzialismo

2.4 Una questione di ‘metodo’ ovvero sulla strategia per deliberare

2.4.2 Oltre l’approccio discorsivo: le critiche all’imparzialismo

Il ragionamento imparzialista è una discussione che mira a fare astrazione delle relazioni di potere e a verificare la forza dell’argomentazione migliore. Ma è una forma di ragionamento che è stata giudicata troppo astratta e troppo rigida proprio nella sua idea di ciò che costituisce una buona ar- gomentazione (Held 2007: 418).

Le critiche a questo tipo di approccio possono essere ricondotte a un’unica grande catego- ria: l’accusa di eccessiva astrazione e lontananza dalla realtà; non solo, si mette in discussio- ne che la deliberazione nelle più corrette condizioni (libertà dalla coercizione e dai condizio- namenti di potere) sia necessaria al fine di legittimare le leggi e le politiche pubbliche (Gut- mann, Thompson 1996). I due autori sostengono infatti che l’imparzialità implica un tipo di assolutismo etico: chi ragiona in termini di imparzialità, alla ricerca dell’argomento migliore o più aggregante, non riesce a riconoscere che i dissidenti possono avere buone ragioni per sostenere le loro posizioni. Gli interlocutori non sono necessariamente in disaccordo perché ragionano male, perché accecati dall’egoismo o dalla stupidità. Valori incompatibili e com- prensione insufficiente non sarebbero eliminabili né, tanto meno, possono trovare una com- posizione grazie alla discussione.

Di conseguenza democratici deliberativi come Gutmann e Thompson sottolineano l’importanza di cercare ragioni reciprocamente accettabili prima di decidere un certo corso di azione, o quantomeno cercare un accomodamento basato sul rispetto reciproco. Propongono così il “principio di reciprocità” che fonda la giustificazione pubblica su cittadini che presen-

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tano ragioni che possano essere accettate da altri che siano analogamente motivati a cercare ragioni che possano essere accettate da altri (Gutmann, Thompson 1996: 53).

Ma come già l’approccio foucaultiano ha evidenziato il modello unico di procedura ra- zionale deliberativa presenta un altro importante vizio: le modalità abituali e consolidate di ragionamento e argomentazione vengono presentate come universali (Tully 2002). L’idea stessa che nel percorso discorsivo prevarrà la migliore argomentazione nasconde, sotto crite- ri presunti oggettivi di giudizio, una ulteriore occasione di affermazione della versione do- minante di razionalità con l’esclusione di altre (Harding 1991). Le modalità che la democra- zia deliberativa tende ad imporre nello svolgimento del processo, in termini di “condotta a- deguata” rischiano di sortire effetti perversi attraverso un processo di negazione delle diffe- renze (Thompson, Hoggett 2001; Davies et al. 2006). In sostanza queste strategie rischiano di rafforzare le discriminazioni che pretendono di arginare, perpetrando e acuendo stereotipi e differenze (Campbell 2005).Il modello imparzialista promuove una singola forma di ragio- namento sopra ogni altra e perciò non riesce a cogliere quanto questa forma sia a sua volta modellata e condizionata da particolari pratiche e identità culturali, sociali e linguistiche. Tully si dichiara favorevole, al contrario, a pratiche deliberative che siano basate sulla valu- tazione delle differenti forme di ragionamento e giustificazione, che devono essere conti- nuamente vagliate e negoziate per essere assunte come riferimento del processo deliberativo.

Condividendo la gran parte di queste critiche e considerando gli effetti di appiattimento e riduzionismo cui l’imparzialismo tende a condurre Iris Young propone invece di incentivare una politica dell’inclusione che alimenti l’ideale di un’eterogeneità nel pubblico (1996). L’imparzialismo sarebbe una finzione perché presupporrebbe che le persone siano in grado di trascendere le proprie particolarità quando si impegnano in una discussione pubblica o nella deliberazione, ma anche una riduzione della complessità in quanto cerca di ridurre tutte le differenti e complesse forme di ragionamento ad un unico modello. Al contrario, secondo l’Autore, le pratiche partecipative devono riuscire ad arricchire i contenuti della riflessione pubblica, attraverso l’effettiva rappresentazione dei diversi gruppi sociali, con le loro pecu- liarità, nella sfera pubblica. Compito delle democrazie contemporanee sarebbe allora quello di integrare la democrazia rappresentativa con forme di democrazia deliberativa capaci di dar voce e integrare i punti di vista di questi gruppi.

La ricerca empirica si è incontrata/scontrata con molti di questi nodi apportando ulteriori elementi di conoscenza. In particolare le rilevazioni critiche si sono concentrate sulla pretesa dell’imparzialismo di annullare all’interno dell’arena deliberativa le influenze delle asimme- trie di potere tra i diversi partecipanti.

I processi partecipativi risentono di una sorta di vizio d’origine: sono proposti e sostenuti da una qualche istituzione che spesso si erige a dominus definendo i propri criteri di legitti- mità e competenza (Milewa 1997; Hodge 2005), questo pesante dazio spesso inficia, ostaco-

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la o indirizza i processi di definizione/negoziazione dei criteri di giudizio e valutazione del gruppo.

D’altronde è stato evidenziato come sia utopico e irrealistico pensare di “isolare” i pro- cessi politici mettendoli al riparo dall’influenza delle disuguaglianze sociali di genere e di classe (Fraser 1992). Inoltre questa stessa pretesa, con la connessa costruzione di una unica sfera pubblica (l’arena deliberativa), rischia di rappresentare il presupposto stesso della ri- produzione della marginalità dei gruppi sociali all’interno di quella sfera (ibidem).

Inoltre l’approccio normativo non consentirebbe di considerare gli aspetti non razionali che incidono profondamente sul dispiegarsi delle relazioni. Barnes et al. (2004a; 2007) so- stengono che le componenti emotive, non razionali della comunicazione sono parte integran- te del successo di un processo deliberativo, e possono contribuire o ridurre inclusione ed e- quità. Tuttavia si tratta di componenti che non possono essere arginate incidendo suolo sulla razionalità comunicativa91. Come ha sottolineato Scott (2000) gli individui non arrivano al consenso solo come risultato della forza di un argomento migliore ma soprattutto attraverso la costruzione di relazioni comunicative.

Se Barnes (2004) arriva alla conclusione della necessità che i processi di deliberazione considerino le diverse esperienze e stili di comportamento per evitare l’esclusione a-priori di contributi alternativi, Thompson e Hoggett (2001) e Van Stokkom (2005) problematizzano maggiormente la questione, specialmente ove le differenze siano da ricondurre a differenze sociali. In modo simile Ryfe (2002) rileva come gruppi socialmente molto differenziati ab- biano più probabilità di dotarsi di regole di condotta per garantire il flusso di deliberazione, ma tali regole rischiano di avvantaggiare certe identità e certi stili di conversazione che favo- riscono i membri del gruppo socialmente dominante.

Nonostante le criticità che possono derivare dalle regole la letteratura sembra concordare sulla necessità che queste regole esistano, per garantire l’integrazione di coloro che altrimen- ti ne sarebbero emarginati. Tuttavia questi critici non concordano con l’approccio normativo in riferimenti ai contenuti di queste regole (Fung, Wright 2003). Di particolare interesse ri- sultano qui i risultati di Davies et al. (2006) relativi alla metodologia deliberativa. In contra- sto con il modello deliberativo-democratica del processo secondo il quale le opinioni collet- tive sarebbero raggiunte, attraverso un graduale scambio di opinioni con conseguente risolu- zione razionalistica delle differenze emergenti, sostengono che il consenso si produca attra- verso una produzione collaborativa del significato, attraverso un’interazione orientata alla mutua comprensione.

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In uno studio condotto su un gruppo di donne che erano state chiamate a contribuire all’elaborazione delle poli- tiche locali lo studio condotto da Davies e Burgess (2004) ha evidenziato, a questo riguardo, come le relazioni personali sono state cruciali nel promuovere una deliberazione condivisa e neutralizzare i rapporti di potere.

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A Habermasian, procedural account is never going to be sufficient as a model for deliberation and a yardstick for its measurement. (…) the deliberative ideals fails to accommodate the actuality of social practice, but, as Kulynych suggest, that it can work against the very generative dialogue it seeks to instate. The deliberative ideal as outcome (expanded notions of the possible collaborative dialogue about preferable) is one thing; but the deliberative ideal as procedure, in the shape of a quest to reproduce the ideal speech situation, is in question (ivi: 207).

Questa proposta implica il superamento dell’approccio normativo in una direzione che tenga maggiormente conto dei comportamenti dei cittadini (Davies et al. 2006). Gli sviluppi di questo approccio puntano su una definizione condivisa delle regole con i partecipanti (Williams 2004; Barnes et al. 2004b). Come vedremo in seguito (paragrafo 2.7.1) il modello analitico-valutativo di Abelson et al. (2003a) rappresenta il tentativo di integrare all’interno della proposta di Webler (2005) le ragioni e le osservazioni critiche appena citate.

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