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Il livello politico della partecipazione

2.1 Prime definizioni tra ambiguità e rischi di manipolazione

2.1.1 Il livello politico della partecipazione

Promuovere partecipazione oggi esprime un anelito verso un maggior coinvolgimento (diretto o indiretto) dei cittadini nella vita pubblica: “il cuore della teoria partecipativa con- tiene l’idea che i comuni cittadini prendano parte alle decisioni politiche in un grado di gran lunga maggiore rispetto a quello attuale” (Graham 1986: 160). In riferimento alla salute il coinvolgimento attivo si rivolgerebbe ai pazienti e ai cittadini in riferimento a questioni rela- tive alla salute o ai sistemi sanitari (Cahille 1996; Thurston et al. 2005). L’Organizzazione Mondiale per la Sanità la definisce come:

a process by which people are enabled to become actively and genuinely involved in defining the issue of concern to them, in making decisions about factors that affect their lives, in formulating and implementing policies, in planning, developing and delivering services and in taking action to achieve change (WHO 2002: 10).

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Esistono tuttavia visioni opposte di cosa significhi partecipare (Oklaey 1991) che non ne- cessariamente si collocano all’interno dell’istituzione democratica. Le definizioni fornite non propongono indicazioni univoche e definitive circa chi siano i soggetti chiamati a partecipa- re, né a quale titolo vengano coinvolti, favorendo così un utilizzo generico del termine che viene utilizzato per identificare fenomeni eterogenei e differenti forme di presa di decisione (Wulz 1986). Per questo la letteratura parla di contested concept (Day 1997; Roberts 2004), di concetto passepartout (Arrigo 1987), di bandiera (Cotta 1979). Questa forte variabilità della sua interpretazione e declinazione in relazione al contesto sfida ogni tentativo di defini- zione o interpretazione (Oklaey 1991).

La politica gioca con questa ambiguità e, così facendo, favorisce la ‘caduta semantica’ della parola (Altieri, Pellicciari 1987), di più, Rahema, sottolinea la valenza manipolatoria dell’utilizzo di tale termine che ascritto alla categoria della parole stereotipate. “nel gergo moderno si utilizzano parole stereotipate come i bambini usano i mattoncini Lego. Come questi, le parole vengono fatte incastrare l’un l’altra arbitrariamente per realizzare le costru- zioni più bizzarre. Non hanno contenuto, ma hanno tuttavia una funzione e, nel momento in cui vengono separate da ogni contesto, si adattano perfettamente per essere utilizzate per scopi manipolativi” (Rahema 2004: 115).

Per comprendere meglio i termini della questione riteniamo però opportuno riferirci ai contributi che ci offre la letteratura socio-politologica in materia. Le prime considerazioni muovono dalla stessa radice etimologica del termine che rimanda tanto ad aspetti identitari, propri dell’essere parte62

, quanto a elementi strumentali, piuttosto che simbolici o espressivi,

collegati al prendere parte. La prima valenza esprimerebbe un significato passivo e l’altra uno attivo. Tuttavia in un contesto sociale dove l’appartenenza è sempre meno fondata sulle caratteristiche ascrittive, possiamo affermare che le due declinazioni, attiva e passiva, siano sempre più interdipendenti l’una dall’altra: l’agire fonda l’appartenenza e l’appartenenza è presupposto dell’azione; in un circolo virtuoso, o vizioso, cumulativo: l’essere parte è infatti una precondizione per il prendere parte e viceversa, il prendere parte implica una originaria appartenenza a qualcosa (Cotta 1979). La partecipazione si configurerebbe allora come una forma di agire fondata su una comune esperienza e come un’appartenenza che abilita ad agi- re sul piano decisionale (Ceri 1996).

In questa direzione muove la bipartizione della tradizione sociologica tra partecipazione “in senso forte” e partecipazione “in senso debole”. La prima identifica l’intervento di un soggetto nei o sui centri di governo di una collettività di cui si è membri, in questo caso par- tecipare alle decisioni implica la possibilità reale e l’atto concreto del concorrere a determi-

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A tali significati dobbiamo ricordare come antropologia e psicologia aggiungano accezioni di tutt’altro genere: “uno stato affettivo nel quale il soggetto prova sentimenti di identificazione con entità o trascendenti o incorpora- te in gruppi, famiglie, comunità” (Altieri 2009: 104).

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nare, su un piano di relativa uguaglianza con gli altri membri, gli obiettivi principali della vi- ta della collettività, le destinazioni delle risorse, il modello di convivenza verso cui tendere. La seconda (partecipazione in senso debole) significa prendere parte in misura più o meno intensa e regolare alle attività caratteristiche di un gruppo, indipendentemente dalla sussi- stenza o meno della possibilità per il soggetto di incidere, attraverso questa partecipazione, nelle o sulle decisioni relative al gruppo stesso (Gallino 2006).

Per quanto teoricamente distinte le due ‘forme’ di partecipazione illustrate si combinano tra loro in gradi differenti e con diverse modalità. Se non sempre una elevata partecipazione in senso forte comporta una elevata partecipazione in senso debole (basti pensare al proble- ma dell’assenteismo dei parlamentari), è intuitivo che quando la seconda ha raggiunto una certa intensità non potrà evidentemente diminuire di molto se il soggetto vuole mantenere o aumentare la propria partecipazione in senso forte.

I metodi attraverso i quali si esplica poi la partecipazione in senso forte definirebbero un’altra dicotomia della partecipazione tra partecipazione diretta e indiretta: per alcuni par- tecipazione significa scegliere i leader per altri in realtà significa decidere le politiche (Keim 1975). Questa ambivalenza fonda in realtà la dicotomia classica tra democrazia diretta e indi- retta. In questo senso la partecipazione diretta viene vista come un correttivo per le derive del sistema rappresentativo (Barber 1984; Patenam 1970; Box 1998).

Tali accezioni sono tutte considerate anche da Cipolla (1997) che ha però il merito di evi- denziare ulteriori ambivalenze insite nel concetto, che si nascondono nella non univoca indi- cazione di origine, prestandosi a tanto ad essere utilizzata a utilizzi auto-diretti (bottom-up che partono dai cittadini) ma anche etero-diretti (di tipo top-down; promosse dalle istituzio- ni), nel suo prestarsi ad essere la sede della mediazione o della manifestazione del conflitto fra il soggetto e l’istituzione, fra il privato e il pubblico (ibidem).

Su queste ambivalenze si giocano le definizioni che vertono sul tema della relazione isti- tuzionale. Molti gli autori che, nel corso degli anni, hanno richiamato l’attenzione su questo aspetto (Dwyer 1989; Bowl 1996). Alcuni ad esempio, evidenziando la valenza autonomisti- ca del termine non ritengono che sia opportuno prevedere l’istituzionaliz-zazione dei proces- si all’interno della struttura decisionale esistente (Bichmann et al. 1989)63

. Per questi autori la partecipazione avviene all’interno dell’organizzazione comunitaria e nella società in generale: “community participation is a social process in which specific groups with shared needs living in a defined geographical area actively pursue identification of their needs and take decisions and establish mechanisms to meet them” (ivi: 468).

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Sulla stessa linea si pone anche l’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) che si astiene dal definire la par- tecipazione come coinvolgimento della popolazione all’interno delle strutture decisionali esistenti. La partecipa- zione della comunità, in questo caso, sembra orientata a favorire lo sviluppo di quelle condizioni sociali che con- sentono alle comunità di condurre una vita sana: ‘A process whereby people…exercise their right to play an acti- ve and direct role in the development of appropriate health services, in ensuring the conditions for sustained bet- ter health and in supporting the empowerment of communities for better health development’ (WHO 1991b: 8-9).

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Di altro avviso altri autori, tra cui ad esempio Oakley che, nel suo testo dedicato al coin- volgimento della popolazione nello sviluppo della salute mondiale (1989) procedendo nella ricognizione nell’ambito dello sviluppo sociale, individua tre tipi di partecipazione. Il primo è la partecipazione marginale in cui la partecipazione è limitata nei suoi obiettivi e concen- trata su un particolare aspetto. Questo tipo di partecipazione è sostanzialmente ininfluente sul processo di sviluppo. Il secondo è la partecipazione sostanziale che si caratterizza per lascia- re ai beneficiari qualche input nella determinazione delle priorità, qualche spazio nella rea- lizzazione della attività e nell’ottenimento dei benefici, ma senza un ruolo nel processo deci- sionale. La portata della partecipazione è controllato dall’esterno. Il terzo è la partecipazione

strutturale che prevede un ruolo attivo e diretto dei beneficiari nello sviluppo del progetto.

Questa forma di partecipazione prevede una condivisione del potere e del processo decisio- nale che consente alla comunità di giocare un ruolo decisivo con il supporto di persone e- sterne64.

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