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L’approccio discorsivo alla deliberazione

2.4 Una questione di ‘metodo’ ovvero sulla strategia per deliberare

2.4.1 L’approccio discorsivo alla deliberazione

Per i teorici della deliberazione la legittimazione del processo decisionale poggia sulla capacità di presentare ragioni, spiegazioni e proposte plausibili per le decisioni pubbliche: le preferenze individuali possono essere cambiate solo attraverso un processo di deliberazione tramite posizioni che possono superare l’esame e la verifica pubblici (Held 2007). Si tratta, come è evidente, di un approccio che risente molto delle teorizzazioni habermasiane in meri- to alla “situazione discorsiva ideale” (Habermas 1984, 1987) ma anche di altri contributi teo- rici (Cohen 1989; Rawls 1982; Berry 1981) che hanno contribuito all’elaborazione del c.d.

imparzialismo (Held 2007).

La discussione può vincere le limitazioni dei punti di vista individuali ed esaltare la qualità del processo decisionale pubblico per tutta una serie di ragioni. In primo luogo, attraverso l’informazione condivisa e la conoscenza comunicata, la deliberazione pubblica può trasformare le cognizioni individuali ed alimentare l’interesse delle persone per gli aspetti più complessi dei pro- blemi. (…) In secondo luogo, la discussione pubblica può anche svelare che certe preferenze sono legate a interessi di parte (…). In terzo luogo, la discussione pubblica può rimpiazzare il linguag- gio dell’interesse son il linguaggio della ragione. La discussione riesce a migliorare la capacità collettiva di giudizio perché non si limita alla condivisione di informazioni e al confronto di vedu- te, ma approfondisce il ragionamento su queste argomentazioni e ne esige la verifica. (Held 2007: 410-411).

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Definendo la democrazia partecipativa, che nel suo approccio viene distinta da quella deliberativa in funzione del differente focus che attribuisce ai due approcci (il primo più centrato sugli esiti della partecipazione – a ga- ranzia di una effettiva inclusione dei cittadini nel processo di decision-making pubblico – e l’altro più sugli aspet- ti procedurali – a garanzia di una effettiva inclusione dei partecipanti al processo deliberativo), Allegretti sottoli- nea infatti che la scuola partecipativa non legando a doppio filo il percorso partecipativo alla deliberazione lascia aperta la possibilità di ricorrere ad un più ampio spettro di esperienze: “la democrazia partecipativa (…) utilizza tecniche espressive diverse, come l’affermazione esplicita del conflitto, la manifestazione dei sentimenti, la test i- monianza, l’esclamazione, le parole d’ordine e tra le manifestazioni materiali, oltre i gruppi di lavoro e i tavoli di trattativa, può talora contemplare grandi assemblee e anche cortei e altre manifestazioni pubbliche” (2009: 23).

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Habermas propone una concezione procedurale del diritto la cui legittimazione viene fata dipendere in primo luogo dalla normatività-razionalità, implicita nella struttura stessa dell’azione orientata all’intesa. Quando si vogliano perseguire scopi collettivi evitando scon- tri violenti è necessario affidarsi a una prassi dell’intesa, i cui metodi e presupposti comuni- cativi non stanno sotto la nostra discrezionalità (Habermas 1996). È interessante in proposito notare con Belardinelli come questa precisazione derivi dalla critica che Habermas rivole al- la concezione procedurale della democrazia di Norberto Bobbio, ritenuta incapace di espri- mere adeguatamente il contenuto normativo della procedura democratica (1996: 75). Nono- stante infatti Bobbio consideri il confronto tra i diversi partiti e il conseguente principio di maggioranza come condizioni necessarie del sistema democratico Bobbio non coglierebbe quello che per Habermas è il punto decisivo, ovvero, l’istituzionalizzazione di orme comuni- cative fondate sulla razionalità, “soltanto la qualità razionale di questi risultati riesce secondo Habermas a garantire la funzione socio-integrativa90 di una politica democratica” (ivi: 76).

Del tutto assimilabili risultano a questo riguardo le posizioni di Cohen (1989) e Habermas (1996), entrambi sostenitori della forza dell’argomentazione migliore e del ragionamento in pubblico, quale verifica della bontà dell’argomentazione stessa. La deliberazione garantireb- be, secondo questo approccio, il raggiungimento di un accordo razionalmente motivato e non di un risultato dovuto alla coercizione, alla manipolazione o alla contrattazione. Perché fun- zioni il modello richiede che i cittadini partecipanti godano di eguaglianza formale e sostan- ziale: la convalidazione politica o giustificazione può nascere solo dalla libera discussione tra cittadini eguali (Cohen 1989).

Questa posizione incorpora il “punto di vista sociale” (Held 2007: 414), assume la neces- sità di ragionare dal punto di vista dell’altro, ovvero di concettualizzare un punto di vista morale imparziale da cui giudicare le forme del ragionare politico o etico. L’originaria posi-

zione di Jhon Rawls (1982), la situazione discorsiva ideale di Jürgen Habermas (1996) e la

formulazione del ragionamento imparzialista di Brian Barry (1996) sono tutte orientate in questa direzione.

I contributi della letteratura sulla partecipazione dei cittadino in ambito sanitario che, a- dottando l’ottica imparzialista come criterio d’azione, hanno tentato di elaborare quadri nor- mativi operativi collegati a questo impianto teorico hanno prodotto elaborazioni tanto sul li- vello individuale, relazione medico-paziente (Gothill, Armstrong 1999; Evans et al. 2003), quanto su quello collettivo (Porter 1997; Gregory, Romm 2001; Gregory 2003).

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Questa funzione garantisce, secondo Habermas, la composizione della tensione tra ‘fatticità’ e ‘validità’ pr e- sente all’interno del diritto stesso, ovvero la orza obbligante di convinzioni razionalmente motivate e la costrizio- ne imposta da sanzioni esterne (1996) . Il diritto infatti si porrebbe come categoria di mediazione sociale, tende n- do a far valere nei confronti della fatticità delle norme una istanza di ‘validità’, operando così una sorta di anco- raggio comunicativo del sistema al mondo della vita (Belardinelli 1996: 68)

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In relazione al nostro focus di analisi prenderemo in considerazione solo i contributi che hanno cercato di definire un quadro normativo di riferimento a garanzia dell’equità interna, ovvero dell’attribuzione a tutti i partecipanti al processo deliberativo delle stesse opportunità di incidere sul processo stesso (Charles, DeMaio 1993; Barnes 1999a).

Il modello analitico-valutativo sviluppato a partire dall’approccio habermasiano, che con- sidereremo in seguito nelle sue articolazioni più specifiche (paragrafo 2.7.1), rappresenta il primo tentativo di individuare dei criteri guida che potessero guidare l’azione e, al contempo, consentire una valutazione teoricamente orientata dei percorsi partecipativi concretamente realizzati: si tratta del modello sviluppato da Webler (1995). La proposta webleriana dichia- ra, senza poi riuscire pienamente in questo intento, di voler definire un set minimo di condi- zioni, articolate attorno ai due concetti chiave di equità e competenza, per garantire un ‘cor- retto’ svolgimento della dinamica partecipativa, cioè per assicurare che i partecipanti possa- no essere messi in condizione di sviluppare una conoscenza ‘corretta’ e, a partire da questa, possano così confrontare i propri ragionamenti.

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