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Funzioni e opportunità del metodo deliberativo

In relazione alle differenti funzioni attribuite ai processi partecipativi è possibile costruire una pluralità di riferimenti concettuali che vengono di volta in volta utilizzati per motivare la partecipazione dei cittadini in dibattiti relativi alle molteplici attività legate alla pianifica- zione in materia di salute, che, nella ricognizione di Simces et al. (2003) vengono ascritte a quattro macrocategorie: partecipazione alla definizione delle priorità politiche, partecipazio- ne nella gestione della sanità, allocazione delle risorse e miglioramento della qualità.

In generale la letteratura individuato un meta-obiettivo, quello di ottenere una maggiore accettazione e sostegno per le decisioni difficili che dovranno essere assunte (Milewa et al. 1999; Hogg 1999). Tuttavia le ricerche empiriche rilevano come, proprio in riferimento alla individuazione delle funzioni dei processi partecipativi, giochi un ruolo importante la retori- ca istituzionale che ricorre a riferimenti che risultano poi molto distanti dalla prassi. Ciò sembra essere particolarmente vero nel Regno Unito, dove alcuni autori (Milewa et al. 1998)99 rilevano come la partecipazione sia stata modellata per adattarsi all’ideologia domi- nante. Queste criticità sono, come si è visto, connaturate alla stessa definizione di partecipa- zione e l’esperienza britannica non risulta un caso isolato: nella maggior parte dei paesi, le dichiarazioni di principio stentano a trovare adeguate declinazioni nelle prassi istituzionali “there has been very little ‘walking the talk’, in other words, modelling participation at all stages of the process, from agenda setting to practice” (Coney 2004, 27).

Utilizzeremo la categorizzazione proposta da Dwyer (1989) per presentare le ragioni ad- dotte a sostegno dell’inserimento di istituti partecipativi: quelle che sono ascrivibili all’area dei benefici intrinseci derivanti dalla redistribuzione del potere e delle risorse (approccio democratico radicale); quelle che sottolineano l’aumento di legittimità delle scelte così adot-

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Milewa et alii (1998) hanno studiato il National Health Service (NHS) britannico, e rilevato che vi è “a very little consensus on the precise purpose of engaging local populations’ and ‘a lack of synchronicity between the political-administrative institutions of debate and change and corresponding social constituencies” (ivi: 510- 515). Senza un esplicito consenso intersettoriale su quale siano lo scopo e gli obiettivi della partecipazione dei consumatori, si apre un grande spazio per equivoci, approcci confusi e scoordinati, e potenzialmente per il mal- contento. Poiché infatti in alcuni ambienti e settori è diffuso un forte scetticismo e disapprovazione per la parteci- pazione dei consumatori, esiste il rischio che queste esperienze possano realizzare una profezia che si auto avvera di fallimento. Esiste infatti il concreto rischio che la partecipazione venga trattata come qualcosa che si presta per tutti e per tutte le situazioni.

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tate e della fiducia nelle stesse (approccio democratico liberale); e, infine, quelle che vedono nella partecipazione uno strumento utile per il miglioramento delle politiche e dei servizi sa- nitari (approccio tecnocratico)100.

Il primo gruppo di argomentazioni interpreta la partecipazione come un diritto di cittadi- nanza, e come un modo per superare le lacune evidenti della democrazia rappresentativa, quali ad esempio l’astensionismo elettorale, la scarsa rappresentanza e la mancanza di rap- presentatività (Harrison, Mort 2000). In questa cornice si sviluppa il concetto di ‘cittadinanza attiva’, per il quale il processo di partecipazione è un vantaggio implicito e fine a se stesso, tranne forse quello di favorire lo sviluppo di una società più coesa (White 1999). La parteci- pazione può costruire capitale sociale101 attraverso processi di empowerment (come definiti nel precedente capitolo) e lo sviluppo di una società più informata, coinvolta e democratica- mente attiva, si collega quindi alle tendenze al decentramento del potere decisionale che si vuole essere il più vicino possibile ai destinatari ultimi della decisione stessa (Charles, De- Maio 1993). All’interno della stessa corrente di pensiero altri autori sottolineano le implica- zioni in termini di responsabilizzazione dello Stato e dei professionisti della medicina (Cal- nan, Gabe 2001) e, ancora, Charles e DeMaio (1993) vedono nella partecipazione una possi- bile risposta ad una perdita di fede nella legittimità e la superiorità della conoscenza profes- sionale, come il fattore determinante delle scelte in ambito di salute pubblica. Esternalità possibili a patto che le organizzazioni sanitarie e i professionisti siano in grado di lasciarsi modificare dalle sollecitazioni derivanti dalla partecipazione (Moro 2005). La partecipazione dei consumatori diventa così una risposta al tradizionale paternalismo della professione me- dica, conferendo una qualificazione tendenzialmente paritetica alla conoscenza esperienziale del consumatore rispetto alla conoscenza tecnica del professionista sanitario. Bobbio e Gian- netti (2007) ascrivono tali argomentazioni all’interno di un’unica funzione: la funzione civi- ca di rafforzamento dell’orientamento verso il bene comune (Christiano 1997). Il comporta- mento strumentale dei partecipanti sarebbe ridotto a favore di principi di equità e bene co- mune e la deliberazione sarebbe in grado di mettere in moto un processo virtuoso di interes- samento verso argomenti e materie pubbliche, a discapito di quelli strategici e individuali. In questo caso la partecipazione viene vista come “scuola” di cittadinanza e senso civico (Bob-

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La tipizzazione di Dwyer (1989) viene ripresa da Bobbio e Giannetti (2007) che individuano tre differenti fun- zioni: funzione cognitiva nel senso di un’espansione delle competenze e di una comprensione della società e dei principi morali che dovrebbero regolarla; funzione legittimante nel senso sia di promuovere la legittimità delle decisioni politiche sia di favorire l’accettazione di decisioni sgradite in presenza di conflitti ineliminabili; una funzione civica di rafforzamento dell’orientamento verso il bene comune. In considerazione della corrispondenza tra le due teorizzazioni attingeremo all’una nel corso dell’analisi dell’altra. Questo processo di progressiva co- costruzione di obiettivi comuni sembra fornire una possibile risposta alla osservazione critica di Weber che sott o- lineava come nessuna tecnica o procedimento scientifico, razionale o empirico, potesse fornire una decisione in presenza di scopi configgenti (1958).

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Le pratiche partecipative sembrano infatti capaci di creare e rafforzare i beni relazionali in un dato contesto, promuovendo legami, networks tra i cittadini, accrescendo la fiducia reciproca e il loro senso di interdipendenza, tutti elementi che nella celebre definizione di Putnam costituiscono il capitale sociale ovvero l’insieme dei lega- mi di reciprocità, cooperazione e fiducia che connettono gli individui in una società (2004).

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bio 2002b) e gli attori imparerebbero tali virtù proprio dal confronto e dal dialogo (Lanzara 2005)102.

Le ragioni ascrivibili al secondo gruppo, che sottolinea l’aumento di legittimità delle scel- te adottate, pone l’accento sul coinvolgimento del pubblico come mezzo per negoziare il consenso e il conseguente sostegno alle politiche (Dwyer 1989). Consenso che risulta essere sempre più critico a causa dello sviluppo delle tecnologie della salute che diventeranno sem- pre più sofisticate e costose, che costringerà i governi ad assumere delicate decisioni sulle priorità. Per queste ragioni Bobbio e Giannetti (2007) collocano tali argomentazioni sotto la categoria della funzione legittimante nel senso sia di promuovere la legittimità delle decisio- ni politiche sia di favorire l’accettazione di decisioni sgradite in presenza di conflitti inelimi- nabili. In questo caso la democrazia deliberativa, incrementando la legittimità delle decisio- ni, ne aumenterebbe anche la stabilità e l’efficacia. Da questo punto di vista occorrerebbe forse cercare di comprendere se all’interno delle arene prevalga la cosiddetta “forza civiliz- zatrice dell’ipocrisia” (Elster 1998: 12) oppure un atteggiamento e opinioni sincere dei sog- getti103. Si agisce una sorta di responsabilizzazione degli attori sociali o istituzionali ritenen- do che una volta coinvolti nel processo decisionale, e avendo condiviso le soluzioni raggiun- te nel processo partecipativo, tali attori si comporteranno in modo coerente rispetto alle scel- te assunte collettivamente. Il coinvolgimento dei cittadini può essere utilizzato dall’autorità pubblica anche per contrastare la voce della professione medica che ha storicamente conte- stato le riforme del sistema sanitario proposte dal governo (Grant 1989). Morone (1990) sostiene che “The call for lay participation (has not only been one of) empowering an op- pressed group but subordinating a dominant one” (ivi: 253), e sulla stessa scia le osservazioni di White (1999) il quale sostiene che la partecipazione è ‘not about empowering consumers and communities or about turning them into decision-makers, but rather, it is about empowering existing decision-makers” (ivi: 475).

Infine Dwyer presenta le ragioni che l’Autore ascrive al buonsenso comune che vedono nella partecipazione uno strumento utile per il miglioramento delle politiche e dei servizi sa- nitari. Queste argomentazioni riconoscono ai consumatori conoscenze e competenze derivan-

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Se ogni processo partecipativo è caratterizzato da apprendimento – senza quest’ultimo aspetto, infatti, non si da deliberazione (Bobbio 2007) – tuttavia, quando il ruolo educativo supera la ricerca del confronto, si rischia che fra i partecipanti si inneschino meccanismi di deferenza rispetto ad attori ritenuti più qualificati (specialisti, esper- ti ecc.) che bloccano il dialogo, spostando i cittadini su posizioni passive, rendendoli in breve, più studenti e me- no protagonisti (Button, Mattson 1999).

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In questo caso si lascia che il dibattito e il confronto avvenga direttamente tra i destinatari dell’intervento per- ché l’istituzione pubblica reputa di non essere sufficientemente forte, di non godere della legittimità per risolvere i conflitti nascenti o di trovare una mediazione adeguata soltanto coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Un altro motivo può essere la raccolta di idee, suggerimenti e osservazioni da parte degli interessati perché si teme che una volta assunte decisioni da parte della pubblica amministrazione, relative a qualche tema, queste fatichino a essere accettate da parte dei destinatari di tali politiche se non coinvolti. E’ il comportamento che si contrappone a quel- la che viene chiamata la “sindrome DAD”: decido, annuncio, difendo, comportamento generalmente adottato dal- le pubblica amministrazione che si reggono su schemi classici basati su rapporti gerarchici e burocratici (Bobbio 1996; Sancassiani 2005).

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ti dalla loro esperienza di utilizzo dei servizi, sia individualmente che collettivamente. I cit- tadini porterebbero così al tavolo decisionale posizioni e preferenze della comunità che an- drebbero ad arricchire le conoscenze tecniche portate dagli specialisti104. O’Keefe e Hogg (1999) descrivono questa informazione come fondamentale per la pianificazione e il monito- raggio dei servizi, informazione alla quale non è possibile accedere attraverso altri mezzi di comunicazione’ (ivi: 252). Queste motivazioni che abbiamo ascritto all’approccio tecnocra- tico trovano nell’analisi di Bobbio e Giannetti (2007) una diversa definizione. Gli Autori in- fatti ascrivono tali motivazioni alla funzione cognitiva che può essere svolta dalle pratiche partecipative, nel senso che favorirebbero un’espansione delle competenze e una compren- sione della società e dei principi morali che dovrebbero regolarla. Si parla in questo caso di virtù (nel senso di finalità) cognitiva (Pellizzoni 2005a) quando la deliberazione innalza la qualità delle decisioni attraverso la capacità di attivare la ricerca di ragioni convincenti, di soluzioni inedite più efficaci, facilitando l’apprendimento. Tali percorsi consentirebbero di costruire ambiti specializzati di interlocuzione (Bobbio 2005) in cui, all’interno di una corni- ce strutturata, si confrontano i principali punti di vista o interessi in gioco. Queste argomen- tazioni si prestano a interessanti implicazioni in riferimento alle questioni di legittimità e rappresentatività che ci prestiamo ad analizzare.

2.6 Le aporie della partecipazione: rappresentatività, legittimità e responsabilità

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