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L’esperienza dei Community Health Council

3.4 La partecipazione nel contesto britannico

3.4.1 L’esperienza dei Community Health Council

In ragione di una considerazione di carattere storico avviamo la nostra analisi con i

Community Health Council. Acquisiamo in questo caso i risultati delle ricerche condotte in

materia come tendenzialmente estensibili all’unica area della Gran Bretagna ove il modello dei CHC è ad oggi in vigore, ovvero, come abbiamo già detto, il Galles. La riforma interve- nuta (Reg. n.288 del 2010), infatti, non incide su elementi sostanziali della struttura e dei funzionamenti di questi organismi e, d’altronde, la sua recentissima entrata in vigore non consente di sviluppare un ragionamento ad hoc sulle funzionalità che questi organismi sono in grado di esprimere nel contesto Gallese.

Considerando i CHC dal punto di vista della democratizzazione esterna, abbiamo detto che l’istituzionalizzazione di questo organismo rappresentativo (1) avviene con la riforma del 1974 che attribuisce loro la funzione di contrappeso al potere manageriale, che viene in- vece affidato alle autorità sanitarie, configurandoli così come organismi di controllo e di tu- tela degli interessi della popolazione locale (Altieri 2009). Presenti in ogni distretto sanitario, la loro composizione variava da un minimo di 24 ad un massimo di 30 membri, dei quali la metà veniva nominata dalle autorità locali, un terzo eletto dalle organizzazioni di volontaria- to e gli altri dalle autorità sanitarie regionali (ibidem). La struttura direttiva era composta da un presidente e da un vice-presidente, eletti dai membri del CHC, e da un Direttore (Chief

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Gli anni più recenti hanno visto in tutta la Gran Bretagna un’ampia diffusione del ricorso alla pratica delle Consultazione telematiche, per questioni attinenti diversi aspetti dei NHS. Trattandosi di una pratica molto simile a quella considerata nel precedente paragrafo in riferimento all’UE riteniamo opportuno non soffermarci ulte- riormente sulle esperienze scozzesi, gallesi e inglesi. Riteniamo però utile sottolineare come questo stesso stru- mento, utilizzato in un contesto territoriale più circoscritto e dotato di una robusta rete di organismi di partecip a- zione territoriali, abbia prodotto un interessante effetto di stabilizzazione della partecipazione, attraendo i parteci- panti alle consultazioni verso gli organismi stabili di partecipazione (Hill 2008: 23).

Ricordiamo inoltre che l’altro grande canale di partecipazione non istituzionale è rappresentato dall’azione dei gruppi organizzati, per una ricognizione di questo tipo di pratiche nell’ambito del NHS rimandiamo al recentissi- mo lavoro di Kathryn Jones e Rob Baggott (2011).

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Officier) e da alcuni suoi stretti collaboratori, nominati dal Ministro della sanità (Serapioni

2002a).

La prassi ha contribuito a confondere, piuttosto che chiarire, le funzioni (2) e l’oggetto

specifico di competenza (3) dei CHC (Cooper et al. 1995; Hogg 1999), ai quali però possono

essere riconosciute cinque funzioni fondamentali (Hogg 1999): esprimere la voce delle co- munità locali; agire come watchdog, monitorando e controllando i servizi locali; rilevare il punto di vista dei pazienti circa la qualità dei servizi usufruiti; fornire informazioni e consigli agli utenti; aiutare le persone a formulare i reclami (ivi: 99). Le esperienze concrete hanno fatto registrare una elevata variabilità delle performance dei CHC da questo punto di vista che hanno, in alcuni casi, privilegiato un ruolo di difesa degli interessi della popolazione lo- cali, in altri focalizzato la loro attenzione sulle visite e sui controlli negli ospedali e altre strutture sanitarie fornendo assistenza ai pazienti circa le procedure per l’elaborazione di re- clami; esistono anche casi in cui i CHC hanno lavorato in stretta collaborazione con le auto- rità sanitarie e altri in cui hanno mantenuti una linea di ostilità con il management (Serapioni 2002a). In sostanza si può affermare che “hanno agito principalmente come organi consultivi delle autorità sanitarie sui servizi e di informazione al cittadino” (Giarelli 2003: 233). “In questo senso si può osservare una persistente attitudine autoreferenziale del sistema dei ser- vizi, a scapito delle buone intenzioni proclamate pubblicamente” (Altieri 2009: 137).

Un punto critico dei CHC è rappresentato dalla rappresentatività partecipanti (4) che hanno dimostrato di non riuscire a dar voce ad alcuni gruppi sociali e a determinati bisogni socio-sanitari della popolazione, essendo prevalentemente composti da rappresentati della classe media, di origine bianca e prevalentemente adulti. Vi risultavano inoltre sovra- rappresentate alcune associazioni dedicate a specifiche patologie, ad esempio quelle di pa- zienti con problemi cardiaci, diabete, AIDS, ecc., a discapito di altre, come quelle degli uten- ti con disturbi mentali o con difficoltà di apprendimento, o di specifici target della popola- zione, come ad esempio le donne immigrate e la popolazione giovanile (Altieri 2009; Sera- pioni 2002a).

Desumiamo dalle osservazioni sopra citate e riportate nella letteratura di riferimento che l’elevata variabilità del ruolo assunto dai CHC abbia giocato a favore di una aumento del

controllo, interno ed esterno, sul processo di decision making (5) o, quantomeno, del flusso

e della qualità delle informazioni relative ai contenuti delle decisioni assunte dalle autorità sanitarie.

Per quanto riguarda la dimensione della democratizzazione interna l’elemento che mag- giormente ha connotato l’esperienza dei CHC è riscontrabile nel suo rappresentare il primo esempio di arena pubblica nella quale i rappresentati degli utenti vengono legittimati a riu- nirsi per discutere tra loro di questioni relative ai servizi sanitari. Per quanto non venisse de- finita una precisa procedura decisionale (6), la decisione di istituire organismi di partecipa-

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zione stabili si pone come alternativa all’idea che i cittadini abbiamo già delle posizioni pre- costituite e immodificabili che possono essere raccolte separatamente e ricomposte successi- vamente (metodo della Survey). Questo secondo approccio ha conquistato sempre più spazio nel territorio britannico con i governi conservatori e, nelle mani del management, ha rappre- sentato un potente strumento di contrasto del potere dei CHC. I Direttori dell’area ‘assicura- zione della qualità’ erano infatti invitati ad orientare le scelte aziendali “consultando la popo- lazione locale sulle priorità da assegnare prima di decidere su come utilizzare le risorse” (Giarelli 2003: 230)162. Così configurata la ‘partecipazione’ individuale e la valorizzazione del ruolo del consumatore si traduce in un aumento delle possibilità di quest’ultimo di sce- gliere tra ciò che viene posto sugli scaffali, potendo reclamare quando un prodotto è difettoso ma senza alcuna possibilità di influire sulle decisioni relative a ciò che deve comparire sugli scaffali (ivi: 232). Per questa strada si opera anche una progressiva radicalizzazione del ruolo dei CHC che si caratterizzano sempre più come sede di “poteri negativi”, privi del “diritto di determinare direttamente le politiche” (Pickard 1997).

Le ricerche condotte hanno evidenziato, tra i punti di forza dei CHC, il loro elevato gra-

do di indipendenza (7) sia dal management dei servizi che dalla struttura sanitaria. Questa

caratteristica, percepita con forza dall’esterno, ha consentito da sempre ai pazienti che voles- sero intentare azioni di reclamo di affidarsi con fiducia alla mediazione di questi organismi (Serapioni 2002a). La nota dolente si rileva in relazione al livello di dotazioni (8), giudicate scarse. “Lo scarso livello dei fondi disponibili ha limitato alquanto le loro attività, affidate per la maggior parte al lavoro volontario dei membri” (Giarelli 2003: 233). In merito a que- sto aspetto è il caso di sottolineare come la riforma gallese (Reg.288 del 2010) intervenga su questo punto rafforzando le dotazioni di staff a sostegno di ciascun CHC e connotando il CHC Board (ivi: 32), già previsto dalla riforma del 2004 (Reg.2004/905: 23), come un vero e proprio organismo di rappresentanza a livello nazionale presso il ministero della rete territo- riale dei CHC (nel Board siede il presidente di ciascuno dei CHC territoriali) e come organi- smo di sostegno, supporto, supervisione e sviluppo dell’intera rete territoriale dei CHC.

Interessanti sono infine le informazioni che desumiamo in relazione a quella che abbiamo chiamato dinamica partecipativa (9). In molti CHC si è infatti registrata quella che è stata definita una “crisi di partecipazione” (Serapioni 2002°: 82). I membri nominati dalle autorità locali (che ricordiamo costituire la metà dei membri) sono risultati essere la categoria meno presente e impegnata. Questo decifit di partecipazione veniva interpretato dagli stessi parte-

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Nella stessa direzione e con un potenziale anche maggiore deve essere letta l’iniziativa del governo Major di introdurre anche nel NHS una ‘Carta del cittadini’, che “doveva costituire il primo passo di un programma decen- nale di trasformazione in senso manageriale dei servizi pubblici come superamento del modello burocratico” (Giarelli 2003: 230). L’obiettivo era quello di “rendere i sevizi più rispondenti nei confronti dei pazienti- consumatori sulla base di alcuni diritti e della definizione di standard. Tra nuovi diritti vengono introdotti: all’informazione sui servizi sanitari locali, compresi gli standard sulla qualità e le liste di attesa; ad un’ammissione ospedaliera garantita entro due anni dalla collocazione in lista di attesa; a veder preso in conside- razione ogni eventuale reclamo relativo ai servizi” (ibidem).

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cipanti come una conseguenza della scarsa considerazione dei rappresentati del volontariato all’interno dei CHC (ivi). Di fronte a questo calo, tuttavia, la posizione assunta dalle stesse autorità sanitarie non è stata solo interpretativa dando vita, in alcuni casi, a soluzioni creative ed interessanti:

È importante inoltre registrare una posizione abbastanza diffusa tra i Direttori dei CHC, secondo cui bisogna abbandonare gli schemi tradizionali sinora utilizzati per coinvolgere il pubblico e adot- tare nuove strategie più flessibili e creative. Una di queste strategie proposte e in alcuni casi spe- rimentate è quella di entrare in contatto direttamente con associazioni e gruppi organizzati, recan- dosi nel loro territorio e nei luoghi di aggregazione (Serpioni 2002a: 82-83).

In riferimento all’interpretazione del ruolo (10) segnaliamo come molti dei membri di- mostrassero di auto-configurarsi come un “ponte tra la comunità e il sistema dei servizi sani- tari” (Serapioni 2002a, 84). Il radicamento dei membri nella comunità locale ha consentito loro di coinvolgere gruppi di pazienti e associazioni di volontariato, in particolare attraverso la prassi della creazione di commissioni e gruppi di lavoro su aree tematiche specifiche che ha permesso ai CHC di sviluppare una rete di attività con diverse tipologie di utenza (ibi-

dem)163.

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