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2.6 Le aporie della partecipazione: rappresentatività, legittimità e responsabilità

2.6.1 Legittimità e rappresentatività

All’interno dell’approccio democratico le due correnti, liberale e radicale, offrono riferi- menti e teorie difficilmente riducibili ad un unicum organico. Le esamineremo quindi in mo- do autonomo per verificare eventuali aree di contiguità.

I teorici liberali dell’approccio deliberativo tendono a propendere per una qualche forma di elezione dei rappresentanti o una loro selezione casuale allo scopo di raggiungere una forma di rappresentatività statistica (Gutmann, Thompson 1996). Al contrario i teorici radi- cali delle teorie deliberative sostengono che la rappresentanza può essere assicurata solo at- traverso la natura razionale dei discorsi nel dibattito (Dryzek 2000a; 2000b).

Nell’approccio liberale, la funzione svolta dai processi partecipativi, orienta la letteratura di riferimento verso metodi misti, dove la platea dei partecipanti è composta sia da soggetti auto-selezionati (anche detto metodo della porta aperta; Bobbio 2006), che desiderano pren- dere parte al processo, sia da soggetti selezionati dal proponente. Questa combinazione sem- bra infatti essere in grado di garantire ai processi partecipativi di intercettare quelle quote di popolazione che destano particolari preoccupazioni e che sono solitamente sottorappresenta-

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Da questo punto di vista il processo di partecipazione può produrre un altro tipo di cambiamento che va oltre le opinioni e i punti di vista espressi. “Diventiamo rappresentativi in modi differenti dai significati che tradizio- nalmente attribuiamo alla rappresentanza. Diventiamo fiduciosi, esperti, informati e efficaci. Allo stesso tempo, perché farsi coinvolgere non è qualcosa che maggior parte delle persone vogliono o possono fare, il semplice fat- to di essere coinvolti può essere visto come non rappresentativo” (Campbell 2005: 317).

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Simmons e Birchall (2005) enfatizzano il ruolo dei percorsi partecipativi nel processo di sostituzione di moti- vazioni di tipo individualistico dei partecipanti con altre più collettive. Dello stesso parere Campbell (2005) che vede nelle forme di coinvolgimento la via per la costruzione di cittadini e individui attivi e responsabili. Non tutti condividono queste aspettative, ritenendo che questi spazi rischino di favorire la reificazione della politica (Bour- dieu 1991).

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te dai tradizionali canali della democrazia rappresentativa (Macdonald 2003; Gollust et al. 2005; Crawford et al. 2003).

Non vi è tuttavia accordo in merito a quale strumento sia più adeguato per procedere nella selezione. Le due alternative che si confrontano risultano riferirsi l’una ad un approccio stati- stico, attraverso un processo di selezione basata su una stratificazione statistica della popola- zione di riferimento (anche detto metodo del microcosmo, a campionamento casuale; Bobbio 2006), e l’altra ad un modello elettorale che assegna ai rappresentati il diritto di scegliere co- loro che dovranno rappresentarli (o metodo del microcosmo dei punti di vista; Bobbio 2006). Ma a parte le questioni pratiche connesse con questi approcci (tempi, costi, gestione ammini- strativa, ecc), le critiche più importanti afferiscono al concetto stesso di capacità rappresen- tativa (Bourdieu 1991; Parkinson 2003).

La prima strategia, rappresentazione statistica, si fonda infatti sul presupposto che una ac- curata composizione dell’organismo partecipativo in funzione delle diverse caratteristiche della popolazione, per esempio di classe, sesso o etnia, dovrebbe garantire una migliore rap- presentazione dei differenti punti di vista. Tuttavia, come è stato sottolineato, (Marmor e Morone 1980) non vi è alcuna garanzia che la condivisione di alcune caratteristiche socio- demografiche si estenda anche ad altri aspetti, come ad esempio i punti di vista espressi su determinate questioni110.

Socially descriptive representation is pernicious because it removes the necessity of recourse to the constituency. The need for formal selection mechanisms and accountability is obviated. Skin color or income, for example, marks a representative as acceptable or not acceptable, regardless of what the constituency thinks. The result is that any member of the group is as qualified a representative as any other. This is a situation that almost begs for ‘tokenism’” (ivi: 140).

Per quanto l’attenzione al coinvolgimento di gruppi di cittadini tendenzialmente esclusi dai tradizionali canali democratici debba essere una attenzione propria dell’approccio parte- cipativo, il modello statistico rischia di portare ad una reificazione di queste caratteristiche con effetti perversi (Barnes et al. 2003).

Questo elemento è quello che porta Parkinsons (2003) a preferire un modello elettorale che presenta il vantaggio di costruire un rapporto attivo tra il rappresentante eletto e il rap- presentato. Da un punto di vista empirico questa strada sembra piuttosto impervia, la pratica ha infatti dimostrato come sia difficile realizzare un percorso elettorale ad hoc, spesso non è chiaro il bacino territoriale di riferimento, e nei casi in cui siano organizzate al di fuori di

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Harrison e Mort (2000) riconducono la tendenza a scegliere i rappresentanti in base alle loro caratteristiche demografiche e personali più che alla loro capacità di rappresentare l'opinione pubblica come eredità degli anni Novanta e dell'approccio di mercato per la salute.

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turno elettorale vedono una partecipazione molto scarsa. (Latting 1985)111. Da un punto di vista teorico alcuni, (Bourdieu 1991), sottolineano come qualsiasi delega a un rappresentante comporti un’usurpazione del potere del rappresentato a beneficio del rappresentante, usurpa- zione che l’approccio deliberativo sembra amplificare trovando il proprio fondamento su un processo, la deliberazione appunto, che come abbiamo visto assume come dato ontologico la trasformazione dei punti di vista dei partecipanti (Saward 2005).

Per rispondere a queste critiche prende forma un concetto del tutto nuovo di rappresen- tanza che trova il proprio fondamento su una comune esperienza e storia tra rappresentante e rappresentato (Prior et al. 1995; Eyles, Litva 1998; Thurston et al. 2005)

a new kind of active (as opposed to passive) representation based on an experiential relationship. There are limits to other types of representation, such as electoral representation, because there is no guarantee that such representatives share similar constituent gender, ethnic or socioeconomic status, let alone understand their needs or experiences. Needs are best identified and appreciated by sharing in the lives of others. Representation, based on shared experiences where needs are ac- tively and subjectively assessed, enhances the legitimacy of representation when economy of time and problems of scale restrict participation by all (Franskin et al. 2002: 1476).

L'idea di fondo è che la rappresentanza richiede comprensione e la comprensione non può darsi se si fonda su esperienze diverse e non condivise. “Needs are best appreciated when they are shared. If those who represent citizens have no understanding of their needs drawn from experience, then can they be regarded as capable of acting as representatives?” (Prior et

al. 1995: 73). Scendendo dal livello teorico a quello empirico questi autori non danno indi-

cazioni utili a definire in concreto l’esperienza comune, ma si soffermano sul tipo di relazio- ne (dialogica) tra i rappresentanti e i rappresentati (cfr. paragrafo successivo).

Questa concezione si presta ad essere utilizzata anche all’interno di concezioni tecnocra- tiche che, come abbiamo visto, fondano il coinvolgimento dei cittadini, consumatori, utenti in funzione di specifiche conoscenze maturate per via dell’esperienza personale.

Ma c’è di più, queste concezioni sottolineano l’importanza di altre forme di mediazione tra Stato e cittadini che non pretendono di sostituirsi ai tradizionali canali della democrazia rappresentativa, ma di integrarli. Si rompe così l’unitarietà del concetto di popolo, tipico dell’approccio liberale, che risulta articolato in una pluralità di gruppi definiti da identità, e- sperienze, convinzioni differenti, ma anche da gradi differenti di coinvolgimento in riferi- mento alle questioni trattate (Martin 2009). Il coinvolgimento di questi gruppi nel processo decisionale troverebbe quindi si fonderebbe non su un miglioramento della democrazia elet-

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Recentemente l’esperienza realizzata nel Regno Unito dalla Fondazione Trust, dove i cittadini sono stati chia- mati a eleggere i propri rappresentanti, ha fatto registrare una percentuale di affluenza decisamente bassa (Klein 2004).

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torale quanto piuttosto sul processo di democratizzazione in senso lato, perché colpiti in mo- do particolare da queste politiche, o perché in virtù della loro esperienza o competenza hanno un punto di vista particolarmente importante che deve essere ascoltato (ivi). Da questo punto di vista allora la questione della rappresentatività dei concessi deliberativi, non può essere ridotta ai concetti di rappresentanza democratica. La mancanza di rappresentatività (ad es sottorappresentazione, in termini statistici, di un particolare gruppo) in una iniziativa di co- involgimento può essere un problema o una risorsa, a seconda della natura del problema e il tipo di coinvolgimento richiesto (Kelly 2004).

Sviluppando questo approccio per l’ambito sanitario Lomas (1997) teorizza un approccio differenziato alle iniziative di partecipazione in relazione alle diverse vesti che i cittadini possono assumere, in particolare differenziando il ruolo di contribuenti da quello di pazienti. Propone quindi il ricorso alle tradizionali forme della democrazia rappresentativa in riferi- mento alle questioni di allocazione delle risorse, mentre ipotizza un coinvolgimento diretto dei pazienti sulle questioni legate alle gestione e fornitura di un servizio all’interno di un predefinito budget, coinvolgimento che può utilmente fondarsi su principi di rappresentanza differenti da quella democratica (quello dell’esperienza)112

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La nuova concezione di rappresentanza fondata sull’esperienza si presta a fornire una nuova legittimazione sia nell’approccio democratico che in quello tecnocratico, ridefinisce anche la relazione di rappresentanza oltre i confini della “rappresentatività” e della “compe- tenza”. Le qualità richieste ai rappresentanti sono nuove e diverse: si spazia dalla capacità di entrare nelle questioni affrontate in modo attivo (cfr. Nettleton Burrows, 2003; Ziebland, 2004), ma, in altri casi, si richiede un particolare tipo di individuo razionale dotato di una certa conoscenza oltre che della malattia del sistema sanitario e delle potenzialità e limiti che esprime (Hogg, Williamson 2001).

È chiaro come questi criteri restringano la platea dei soggetti potenzialmente eleggibili, determinando l’esclusione di coloro che non presentano queste capacità riflessive (Petersen 1996; Ryfe 2002; Campbell 2005). Tuttavia si ritiene che queste capacità possano essere un criterio legittimo per l'inclusione (Daykin et al. 2004), in considerazione del ruolo che sono chiamati a svolgere. I partecipanti devono essere in grado di comunicare le loro intuizioni e preoccupazioni in modo che anche gli altri possano capire quali sono i problemi e le possibi- lità concrete e dove invece si entri nell’ambito della retorica (Brownlea 1987).

Si tratta di capire come questa “politica della presenza” sia compatibile con i diversi tipi di rappresentatività richiesti dalle diverse circostanze (Barnes et al. 2004b)113 e come il coin- volgimento e la deliberazione interagisca con le tradizionali forme di rappresentanza. Sa-

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Ipotesi sostanzialmente assimilabili si trovano anche in Martin et al. (2002) e Litva et al. (2002). 113

È stato obiettato (Martin 2009) che questa linea interpretativa porta ad una esclusione automatica dei soggetti portatori dei punti di vista più radicali che dovrebbero essere, invece, i destinatari privilegiati dell’approccio de- mocratico liberale.

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remmo di fronte a nuove forme di mediazione tra lo Stato e i suoi cittadini (Barnes et al. 2003) che si fondano non tanto sulla rappresentatività democratica o sulle competenze in senso stretto, ma su nuove modalità per raggiungere e coinvolgere specifici gruppi che sono in grado di svolgere un’attività di mediazione rispetto alle esigenze di una comunità locale, piuttosto che di un target specifico di cittadini/utenti (Martin 2009). Per quanto questa pro- spettiva sembri ‘premiare’ i “cittadini attivi”, i “vincitori della riflessività” (Ellison 1997), il loro ruolo e la loro mediazione potrebbe essere fondamentale in un processo di capacity

building dell’intera comunità o gruppo rispetto al quale questi soggetti svolgono la loro atti-

vità di mediazione.

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