2.4 Una questione di ‘metodo’ ovvero sulla strategia per deliberare
2.4.3 Sul confronto creativo ovvero la ‘nuova frontiera’ della deliberazione
Se la teoria classica si poneva l’obiettivo di definire le condizioni ideali (normative) tali da consentire l’adozione di una decisione razionale, le teoria del prospetto (Kahneman, Tversky 1986) e gli studi sulle dinamiche di gruppo (Lewin 1979) hanno cambiato prospetti- va occupandosi di descrivere come gli individui e i gruppi si comportano di fronte ad una de- cisione. Il giudizio e la decisione sarebbero una conseguenza del processo di framing, o in- corniciamento, ovvero di quel
processo attraverso cui gli individui e i gruppi danno senso al mondo esterno: le informazioni in entrata passano attraverso una serie di filtri cognitivi, affettivi e sociali che permettono di dare or- dine e semplificare la grande quantità di stimoli, così da produrre una certa percezione del mondo esterno. Questa percezione, che è una costruzione della realtà più che un suo rispecchiamento, o- rienta il giudizio, la decisione e i comportamenti (Mannarini 2009: 99).
Secondo questo approccio quindi le posizioni individuali, ovvero le preferenze espresse da ciascun individuo (le sue soluzioni), sarebbero il risultato di questo sistema implicito di premesse. Come ricorda Bateson (1989) il soggetto può diventare consapevole delle premes- se implicite del suo comportamento, e quindi delle sue preferenze, solo quando viene messo di fronte ad un’altra posizione, ottenuta partendo da altre premesse implicite. Il soggetto può rispondere a questo stimolo o negando il punto di vista ‘altro’, accettando l’alterità ma senza capire le premesse implicite e quindi evitando il confronto dei due punti di vista, oppure
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cambiando, anche solo temporaneamente, il proprio punto di vista per assumere quello dell’altro (Sclavi 2003).
Questo mutato approccio si è tradotto in una molteplicità di riferimenti empirici92 che hanno dato origine ad una molteplicità di setting deliberativi93 differenti. La molteplicità del- le tecniche e dei metodi sviluppati94 non consentono di offrire una panoramica esaustiva ed esauriente questo, unito alla loro scarsa applicazione in ambito di salute pubblica, ci suggeri- sce di illustrare i presupposti ai quali tutte i setting concreti rimandano, e cioè ascolto-attivo,
gestione alternativa di conflitti (Alternative Dispute Resolution - ADR) e Confronto Creativo
(CC) che costituiscono l’ossatura di tutti gli schemi operativi utili a definire l’issue framing, ovvero il “modo in cui chi organizza il setting deliberativo e convoca i partecipanti offre e struttura l’informazione sulla quale i cittadini sono chiamati a dibattere e a decidere” (Man- narini 2009: 99).
In particolare gli studi sull’ADR acquisiscono l’approccio alla comprensione delle situa- zioni e dei punti di vista proposto dall’approccio della ricerca-azione: a) una realtà sociale non può essere compresa senza raccogliere i punti di vista di coloro che in quella realtà vi- vono; b) la descrizione attraverso i dati quantitativi e l’analisi sociologica deve essere inte- grata dall’approccio narrativo che valorizza l’unicità e la contingenza di una situazione; c) per capire una realtà sociale si deve provare a cambiarla. Questi principi sono alla base di quello che la ricerca-azione chiama ascolto pro-attivo (o ascolto attivo) che, a sua volta, rap- presenta la premessa necessaria di tutti gli studi sulla gestione alternativa dei conflitti e sul confronto creativo.
Come è stato sottolineato questo approccio presenta il vantaggio di utilizzare le criticità sollevate all’imparzialismo come risorsa per la lettura e la gestione della dinamica delibera- tiva. Come è stato infatti sottolineato (Blasuting 2005: 132-133) il frame deliberativo inte- grativo considera: a) il tipo di legami e di relazioni che si instaura tra i partecipanti; b) i ruoli assunti o attribuiti ai partecipanti al tavolo, in rapporto ai sistemi di appartenenza esterni; c) l’esperienza partecipativa specifica come una porzione, un segmento, di un più ampio conte- sto che coinvolge sfere sociali allargate, nonché le esperienze maturate in precedenza dai
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Le prime proposte di traduzione di questi approcci in griglie di azione capaci di guidare concreti processi deci- sionali collettivi risale agli anni ’80, negli Stati Uniti, per trovare poi un crescente interesse in tutto il testo del mondo. L’origine risalirebbe, secondo Susskind (in Sclavi, Susskind 2011), al testo di Bennis (1985) che ha rap- presentato il primo caso di recepimento istituzionale degli studi sulla leadership facilitativa come strategia utile per la decisione pubblica, attraverso la legge federale Negotiated Rulemaking Act del 1990 che adottava le propo- ste di Bennis come strategia per redigere i regolamenti attuativi delle leggi più controverse.
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Per setting deliberativo si intende l’insieme di regole e di procedure che definiscono e sovrintendono alla pr o- cedura di assunzione di una deliberazione pubblica (Elster 1998: 97).
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L’approccio della ADR e del CC hanno dato vita ad una molteplicità di tecniche e metodi di gestione del pr o- cesso decisionale di gruppo. Ricordiamo ad esempio le Giurie di cittadini, le Consensus Conference, il Sondaggio deliberativo, i Town meeting e i World café, solo per citarne alcuni. Per un maggiore approfondimenti rimandia- mo al testo di J. Elliott et al. (2006), che censisce e illustra dettagliatamente sedici differenti metodi e al sito dell’Associazione Internazionale dei Facilitatori (IAF) che riporta e illustra una miriade di possibili tecniche e approcci: www.iaf-world.org.
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partecipanti; d) gli artefatti simbolici, ovvero le manifestazioni fisiche, comportamentali e verbali degli assunti culturali di un sistema organizzativo (in questo caso il setting deliberati- vo). Tutti questi aspetti diventano materiale per la lettura e interpretazione del processo deli- berativo in atto, allo scopo di svelare l’implicito e utilizzarlo come materiale per la riflessio- ne collettiva, per sostenere quello che l’Autore stesso definisce “gioco dell’apprendimento generativo” (Blasuting 2005: 128).
Le tecniche di ADR95 si sviluppano a partire dal testo di Fisher e Ury (1981), che propon- gono una serie di percorsi empirici orientati ad destrutturare lo scontro frontale. Lo scontro tra le diverse posizioni deriverebbe, secondo gli autori, dall’acquisizione delle posizioni as- sunte dai differenti soggetti come manifestazione degli interessi sottostanti. Se le posizioni sono opposte lo saranno anche gli interessi. Al contrario le posizioni non rappresentano altro che la strategia adottata da ciascun attore per rispondere ai propri interessi. La strategia di- pende dal punto di vista che l’attore ha sulla questione e sulla sua percezione degli altri sog- getti e interessi in gioco. Lavorare sugli interessi, piuttosto che sulle posizioni consente allo- ra di scoprire che spesso a fronte di posizioni opposte non si confrontano interessi opposti.
Risalire dalle posizioni agli interessi conviene perché: a) per ogni interesse generale ci sono di so- lito una quantità di opzioni possibili (spesso la meno ovvia è la più efficace); b) le domande e ri- sposte per mettere a fuoco una definizione condivisa degli interessi sono già dialogo, la ricerca congiunta di altre opzioni è già collaborazione, e c) dentro un paniere più ampio di opzioni si pos- sono trovare più facilmente delle soluzioni di mutuo godimento e reciproco vantaggio (Susskind, in Sclavi Susskind 2011: 18).
Da questo punto di vista quindi i principi di equità ed uguaglianza distributiva (propri dell’approccio imparzialista) non sono quasi mai in grado di garantire il raggiungimento del- la migliore soluzione possibile, a meno di integrarli con il principio della necessità, che ri- chiede però lo spostamento dell’attenzione dall’oggetto del contendere alle ragioni e ai biso- gni che sostengono le posizioni delle parti. Nel testo che Fisher e Ury cureranno dieci anni dopo, con l’integrazione di Bruce Patton (1991), è riportato un esempio illuminante. Due ra- gazzi litigano per un’arancia. Alla fine i due si mettono d’accordo e dividono il frutto a metà. A questo punto la ragazza mangia la polpa e getta la buccia, il ragazzo prende la buccia per farne una torta e getta via il resto. Chiarendo gli obiettivi e ‘inventando’ una soluzione sa- rebbe stato possibile un esito ottimale del conflitto: a lei tutta la polpa, a lui tutta la buccia (ivi: 57-73).
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Il termine “conflitto” fonda la sua radice etimologica nel verbo latino fligo, fligere (urtare, percuotere, atterrare) a cui è anteposto il suffisso cum che indica una dimensione comune, gruppale, di coesistenza e compartecipazio- ne. La stessa struttura del termine è quindi conflittuale: la radice verbale infatti connota negativamente una rela- zione tra più oggetti che urtano tra loro, mentre il suffisso rimanda ad una connotazione positiva della dimensione associativa, che evoca la volontarietà e intenzionalità dello stare insieme.
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Sull’ascolto-attivo e sull’ADR si fonda il Confronto Creativo (CC) che li sviluppa all’interno del processo decisionale collettivo96
. Il CC si propone quindi come via alternativa per l’assunzione di decisioni all’interno di assemblee e consessi collettivi rispetto al tradizio- nale metodo del Confronto Parlamentare97, che sviluppa e traduce in regole empiriche il principio dell’imparzialismo98
.
Susskind (in Sclavi, Susskind 2011: 34 ss) stigmatizza i ‘vizi’ di questo approccio in quattro categorie principali: a) rendendo le minoranze più consapevoli del diritto di essere ascoltate presta il fianco all’instabilità politica, risultato del ricorso alle opzioni garantiste che le minoranze possono attivare quando ritengono di non essere ascoltate; b) conduce a decisioni scadenti che funzionano poco e male in quanto è bloccato sulle proposte iniziali, rafforzando il principio che chi vince prende tutto; c) pone problemi di legittimità in quanto gran parte degli accordi negoziali che conducono al raggiungimento della quota maggiorita- ria si basano su accordi sottobanco del tipo do ut des; d) attribuisce un potere crescente agli
esperti procedurali in quanto ogni situazione critica viene risolta attraverso l’introduzione di
una nuova procedura, rendendo difficilmente conoscibile, ai non addetti ai lavori, l’intero panorama delle opzioni e possibilità, ma talvolta anche trappole, procedurali.
Il CC pretende invece di introiettare, all’interno dell’area collettiva, tutte le energie e tutte le possibilità rappresentate dai diversi soggetti presenti, trasformandole, grazie all’ascolto- attivo e alla gestione alternativa del conflitto, in punti di forza per raggiungere un accordo solido e condiviso.
Diversamente dal CP il CC si fonda su una mappatura delle diverse posizioni presenti, costruita assieme ai partecipanti, e che invita i partecipanti a riflettere e ragionare sulle diver- se esigenze, considerate nel loro complesso. In questo contesto chi presiede e modera l’assemblea è quello di garantire che tutti prendano la parola e vengano ascoltati (dal diritto di parola al diritto di ascolto), questa figura può talvolta essere affiancato da un “facilitatore, che è un manager dei processi complessi, un esperto dell’ascolto pro-attivo nelle dinamiche
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Il primo libero che propone il Confronto Creativo in modo sistematico risale dalla fine degli anni ’80, si tratta del volume di Lawrence, Susskind e , Cruikshank (1987).
97 Il termine è stato tradotto da Marianella Sclavi dall’inglese Parliamentary procedure che trova un corrispettivo nell’espressione Americana Robert’s Rules of Order. Come la stessa Autrice afferma la trasposizione nella nostra lingua ha inteso richiamare con il secondo termine “parlamentare” “il fatto che è nelle assemblee elettive che per la prima volta queste procedure hanno trovato una sistemazione formale”, mentre il termine “confronto” intende “sottolineare che in entrambi i modelli (parlamentare e creativo) il problema è trovare un accordo a partire da una varietà di posizioni contrastanti (Sclavi in Sclavi, Susskind 2011: 30-31). La traduzione non ha potuto essere im- mediata e ha necessitato di una spiegazione dell’Autrice in quanto in Italia manca un analogo manuale al quale richiamarci, pur tuttavia le regole di gestione delle assemblee elettive in occidente rimandano alle regole di Martyn Robert.
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Ricordiamo con Susskind come le regole fondamentali di questo approccio siano: “tutti i membri godono degli stessi diritti e privilegi e sono tenuti a rispettare gli stessi obblighi; tutti i membri hanno diritto di dibattere libe- ramente e pienamente ogni mozione, informativa e ogni altro punto all’ordine del giorno; l’introduzione e l’ordine delle mozioni sono regolati dal principio dell’anteriorità logica; è vietato trattare più di una questione alla volta; i membri possono prendere la parola solo dopo averla chiesta al presidente della sessione, essere stati da lui identificati e averne ricevuta facoltà; i membri non possono attaccare o denigrare direttamente le motivazioni dei colleghi” (Susskind, in Sclavi, Susskind 2011: 32-33).
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di Gruppo” (Susskind, in Sclavi, Susskind 2011: 41). In questo modo il punto di partenza del confronto tra le parti non è più la posizione assunta come ‘la migliore soluzione possibile’ da ciascuna di esse ma le motivazioni e gli interessi che hanno portato ciascuna parte ad indivi- duare la ‘propria’ soluzione. Se nel contradditorio si parte dalle posizioni e si cerca di ridurre la loro distanza, nella negoziazione integrativa invece l’obiettivo è ampliare la gamma delle opzioni possibili (dal diritto al contraddittorio al diritto a collaborare nella moltiplicazione delle opzioni). La discussione delle opzioni emerse consentirà di sviluppare lo spazio entro il quale negoziare, trovando possibilità in grado di dare vantaggi reciproci (mutual gain). Non si trova una via di mezzo (che rischia di scontentare tutti), ma una soluzione nuova e più ric- ca che risponde in modo pieno (o quasi) agli interessi di ciascuna parte (dal voto a maggio- ranza alla co-progettazione creativa).
In questo modo si opera la destrutturazione del conflitto che non viene più visto come un gioco a somma zero (chi vince prende tutto), o a somma fissa (quello che guadagna una parte lo guadagna a discapito delle altre), ma a somma positiva attraverso una soluzione nuova, più ricca che risponde in modo pieno (o quasi) agli interessi di ciascuna parte (Susskind, in Sclavi, Susskind 2011).
Il modello analitico valutativo più vicino a questo tipo di approccio è quello proposto da Rowe e Fewer (2000) che, come vedremo (paragrafo 2.7.1), integra nel proprio schema indi- catori orientati a rilevare la presenza di caratteristiche che molto devono ai contributi della scuola sull’ADR e sul CC.
Prima di proseguire nell’analisi delle utilità derivanti dall’applicazione dell’approccio de- liberativo, declinato nella sua accezione integrativa, riteniamo utile proporre una lettura della tradizionale articolazione delle modalità deliberative in due macro-categorie, deliberazione
in senso forte e deliberazione in senso debole (Bobbio 2006) alla luce del percorso analitico
compiuto. In entrambi i casi siamo di fronte a percorsi discorsivi che modificano le posizioni dei partecipanti, per raggiungere un compromesso, ma solo nel primo caso, deliberazione in
senso forte o ‘non strategica’ (Pellizzoni 2005), questo processo trasformativo deriva da una
rielaborazione e condivisione dei punti di vista dei partecipanti che diventano la ‘materia’ sulla quale il percorso partecipativo lavora per individuare, in modo collaborativo, soluzioni condivise. Solo il Confronto Creativo è pienamente ascrivibile a tale categoria, ed è quindi, ricordando la definizione data di deliberazione, pienamente deliberativo.
Il modello di assunzione di decisioni collettive da cui questo approccio si sviluppa, per differenza, è come abbiamo visto il Confronto Parlamentare. In questi consessi l’accordo viene trovato in modo negoziale, mediando tra i diversi interessi e posizioni. In questo caso le ‘soluzioni’ dei partecipanti non vengono messe in discussione, non si risale ai punti di vi- sta e agli interessi sottostanti, ma questi vengono acquisiti come dati e si tenta di individuare
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attraverso il confronto la soluzione accettata dalla maggioranza dei presenti (ricorrendo spes- so e volentieri ad accordi sottobanco).
In posizione intermedia si verrebbe a trovare il modello deliberativo-discorsivo di matrice habermasiana che si propone di lavorare sui punti di vista dei partecipanti in modo indiretto, attraverso il canale argomentativo. Si tratterebbe di una deliberazione in senso debole, in quanto fondata su un approccio strategico-argomentativo.