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Partecipazione come strategia di democratizzazione

2.3 Sul ‘fine’ della partecipazione: approccio democratico e tecnocratico

2.3.1 Partecipazione come strategia di democratizzazione

Nonostante la connessione tra questo tipo di approccio e le teorizzazioni di Beck e Gid- dens sembri evidente è raramente citata dalla letteratura di riferimento (esempi contrari sono Pellizzoni 1999; Dryzek 2000a). Pur senza citare Giddens e Beck infatti Cooke sostiene co- me le più convincenti argomentazioni a sostegno dell’approccio normativo alla democrazia si riscontrino nel suo fondarsi su una concezione di individuo del tutto coerente con quella elaborata dai teorici della modernità avanzata:

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Questo approccio viene variamente declinato in diverse etichette democrazia partecipativa (Pateman 1970; Pol- letta 2002), democrazia forte (Barber 1984), democrazia discorsiva (Dryzek 2000a), democrazia comunicativa (Young 1996), democrazia del welfare (Fitzpatrick 2002), ecc. che assumiamo per il momento come sinonimi per approfondire in seguito, in relazione al concetto di deliberazione, le più significative differenze.

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For us, the inhabitants of Western modernity, certain normative conceptions of knowledge, of the self and of the good life are not simply a matter of choice but are constitutive of our self- understandings. (…) The ‘desacralized’ view of knowledge, which goes hand in hand with a secu- larization of authority, (…) helps to explain the value attached to autonomous reasoning, in partic- ular to two of its main ingredients, rational accountability and objectivity of judgement. By ‘ra- tional accountability’ I mean the individual’s readiness to engage in a critically detached, in- formed, perceptive and flexible way with her surroundings, with other persons and with her own (self)-interpretations and life-history (Cooke 2000: 954-955).

A partire da questo tipo di concezione dell’individuo che accomuna i sostenitori delle di- verse varianti dell’approccio normativo la democrazia non può essere ridotta, almeno ini- zialmente, all’atto del voto. L’atto del voto presuppone infatti l’esistenza di posizioni e punti di vista preesistenti e dati (idea associativa della democrazia) che invece si formano all’interno di un dibattito riflessivo, dialogico o deliberativo.

Da questo punto di vista le teorie deliberative che fondano gli approcci partecipativi su processi deliberativi86 consentono di collocare, come vedremo meglio in seguito, la parteci- pazione, declinata attraverso la deliberazione, all’interno della cornice della riflessività.

Se infatti nella nostra lingua il termine deliberare è assunto sostanzialmente come sino- nimo di decidere, la matrice culturale di queste teorie87 richiede di ricondurre il suo significa- to alla matrice latina (de –libro) che richiama all’atto, al processo del soppesare. To delibera-

te, infatti, non significa semplicemente decidere, prendere una decisione, ma piuttosto il pro-

cesso che precede la decisione e che consente di considerare, esaminare e confrontare le ra- gioni a favore e quelle contrarie, rispetto ad un problema e alla sua soluzione (Bobbio 2004).

Nel processo deliberativo i punti di vista originari si trasformano attraverso il contatto con ragioni, argomentazione e motivazioni differenti, evidenziando tutta l’inadeguatezza del- le idee alternative di democrazia che assegnano il primato alle opinioni detenute dagli attori prima del processo politico (Ryfe 2002). Da questo punto di vista allora la convenzionale

86 La letteratura democratica tuttavia non consente di acquisire acriticamente uno schiacciamento della teorizza- zione partecipativa su quella deliberativa. Se infatti parte della letteratura nazionale e internazionale pone nel me- todo utilizzato per arrivare alla decisione il discrimine tra i due approcci, che si fonderebbe su un approccio di- scorsivo nel primo caso e deliberativo nel secondo (Pellizzoni 2005a; Regonini 2005; Lewanski 2007; Mutz 2006; Hauptmann 2001), altri pur riconoscendone specificità e differenze, non considerano democrazia partecipa- tiva e democrazia deliberativa quali approcci irriducibili (Bifulco 2009; Paci 2008; Gbikpi 2005). Essi tendono piuttosto a rintracciare linee comuni e a porre in risalto, in particolare, come la democrazia deliberativa possa es- sere ritenuta, come suggerisce Bobbio (2006), una forma di democrazia partecipativa dai contorni più circoscritti e definiti, e altresì considerata la continuazione e il compimento della teoria partecipativa della democr azia (Gbi- kpi 2005).

Ciò che è importante sottolineare però è che questa interpretazione consente di fondare la teoria deliberativa nella medesima ragion d’essere propria dell’approccio partecipativo, ovvero nell’apertura dei circuiti decisionali ai cittadini, nell’attenzione a che gli esiti del processo deliberativo incidano effettivamente sui contenuti della deci- sione finale.

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Ricordiamo che il termine di democrazia deliberativa è comparso per la prima volta in una pubblicazione ame- ricana di Joseh M. Bessette nel 1980.

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procedura democratica e l’approccio basato sulla raccolta delle opinioni attraverso il voto (sia esso espresso attraverso la preferenza data al candidato o all’opzione posta dal quesito referendario) o l’opinione raccolta attraverso survey o sondaggi, viene accusata di costruire artificialmente l’opinione pubblica, piuttosto che riflettere punti di vista meditati e negoziati (Bourdieu 1973; Papadopoulos 2001).

Deliberation (…) is distinguished from other kinds of communication in that deliberators are ame- nable to changing their judgements, preferences, and views during the course of their interactions, which involve persuasion rather than coercion, manipulation, or deception. The essence of democ- racy itself is now widely taken to be deliberation, as opposed to voting, interest aggregation, con- stitutional rights, or even self-government. The deliberative turn represents a renewed concern with the authenticity of democracy: the degree to which democratic control is substantive rather than symbolic, and engaged by competent citizens. (Dryzek 2000a: 1)

Tra le diverse sfumature che caratterizzano gli approcci normativi, è per noi euristicamen- te rilevante soffermarci su una in particolare che vede da una parte coloro che ritengono la democrazia deliberativa come parte di un sistema convenzionale liberal-democratico, che si contrappone ad un approccio più radicale, che vede nella deliberazione il superamento delle norme della democrazia liberale. Il primo approccio si colloca su una linea di continuità con la tradizione liberale e si occupa di comprendere su che basi sia possibile imporre la volontà della maggioranza all’individuo, mentre l’approccio radicale segue nozioni alternative di democrazia che rifiutano l’attribuzione di un valore autonomo all’individuo, dotato di diritti inalienabili e punti di vista precostituiti, che rappresenta l’unità sulla quale si fonda la demo- crazia.

Per coloro che fondano la legittimità della teoria deliberativa sui principi liberal- democratici questa non rappresenta che un secondo livello, chiamato ad intervenire quando il primo livello, derivante dall’applicazione dei principi di uguaglianza e libertà, genera conflit- to (Gutmann, Thompson 1996). Il secondo livello si fonda su alcune premesse procedurali che diventano sostanziali, necessarie per garantire l’integrità personale dell'individuo e la sua capacità di partecipare al processo politico in condizioni di parità con altri individui: libertà e opportunità equamente garantite e distribuite tra i partecipanti (Gutmann, Thompson 2000).

Queste premesse non possono essere oggetto di discussione democratica, hanno, per così dire, carattere costituzionale. E su questo punto si manifesta la diversità di approccio rispetto ai teorici radicali. Nel respingere questo tipo di costituzionalismo, i teorici più radicali come Dryzek (2000a), offrono una vista della democrazia deliberativa sganciata da principi di fon- do e che si estende su un campo di applicazione molto più ampio di quello tradizionalmente definito dalla politica.

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Anche quando ammettono il ricorso al voto come strumento decisionale qualora il pro- cesso deliberativo non conduca a soluzioni condivise gli esponenti radicali rifiutano il prin- cipio “una testa un voto” come mezzo di risoluzione delle controversie. Secondo Dryzek (2000b) infatti l’unità di base della democrazia non sono gli individui ma i discorsi che sono stati proposti da differenti punti di vista e che coesistono nella sfera pubblica. Su questa base la decisione nell’ambito discorsivo è presa attraverso il giudizio riflessivo degli attori com- petenti sulla coerenza dei contenuti con la costellazione dei discorsi presenti in ambito pub- blico (ibidem).

La teoria Dryzek sostiene una progressiva democratizzazione degli ambiti della vita come un mezzo per estendere la democratizzazione in campi fuori della giurisdizione dello Stato, promuovendo l’effettiva partecipazione di attori autonomi e competenti (2000a). In una so- cietà dove le basi della democrazia tradizionale vengono erose dal ridimensionamento dello Stato e dall’espandersi dell’economia globale Dryzek si fonda sulla teoria dell’agire comuni- cativo di Habermas (1984; 1987) e sulla “situazione discorsiva ideale”, in cui i poteri esterni sono annullati e il miglior argomento, per trovare un modo alternativo per neutralizzare i di- scorsi dominanti e le ideologie, spesso intrecciate con la struttura delle forze economiche e che non possono essere facilmente contrastati attraverso strumenti, giuridici e costituzionali (Dryzek 2000a).

Ci soffermeremo in seguito (paragrafo 2.4) sulle elaborazioni fornite dalla letteratura in merito a questa strategia che non è unanimemente riconosciuta come la migliore possibile per garantire un confronto equo e corretto (Fraser 1992; Harding 1991)88. Quello che interes- sa qui sottolineare è che a partire da queste osservazioni critiche che accusano, in sostanza, la teoria della migliore argomentazione di rappresentare “un cattivo servizio alla democrazia deliberativa, perché rafforza le soluzioni elitarie” (Pellizzoni 2001: 82).

A partire da questi sviluppi e riflettendo sulla possibilità di tali iterazioni Kelly (2004) in- dividua un momento cruciale nel momento di attuazione delle politiche che richiede, per questo la partecipazione democratica dai destinatari o dai soggetti maggiormente colpiti dalle decisioni in modo da arrivare a delle decisioni fondate sui giudizi delle persone che saranno direttamente interessate dalle azioni promosse. Posizioni simili a quelle di Gutmann e Thompson (2002) che sostengono la promozione di processi di democrazia deliberativa a li- vello di assistenza sanitaria.

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Fraser (1992) sostiene che ogni tentativo di “isolare” processi politici mettendoli al riparo dall’influenza delle disuguaglianze sociali di genere e di classe sono destinati a fallire, e che la nozione di una unica sfera pubblica (processo deliberativo) in cui si svolgerà la deliberazione tende a riprodurre la marginalità degli stessi gruppi all’interno di quella sfera. L’idea stessa che nel percorso discorsivo prevarrà la migliore argomentazione nascon- de, sotto criteri presunti oggettivi di giudizio, una ulteriore occasione di affermazione della versione dominante di razionalità con l’esclusione di altre (Harding 1991). Le modalità che la democrazia deliberativa tende ad imporre nello svolgimento del processo, in termini di “condotta adeguata” rischiano di sortire effetti perversi attraverso un processo di negazione delle differenze (Thompson, Hoggett 2001; Davies et al. 2006). In sostanza queste strate- gie rischiano di rafforzare le discriminazioni che pretendono di arginare, perpetrando e acuendo stereotipi e diffe- renze (Campbell 2005).

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Per Pellizzoni (2001) questo tipo di approccio può rappresentare un utile contributo per arginare la tendenza dei modelli consensuali di scivolare verso soluzioni astrattamente razio- nali, favorendo il confronto tra conoscenze contestualizzate orientate alla ricerca di soluzioni concrete per situazioni riconosciute come problematiche. Da questo punto di vista allora il livello locale sembra configurarsi come il livello territoriale ideale per lo sviluppo della de- mocrazia deliberativa che può più facilmente fondarsi su conoscenza situata e razionalità al- ternativa (Delanty 2000).

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