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Partecipazione nell’approccio tecnocratico

2.3 Sul ‘fine’ della partecipazione: approccio democratico e tecnocratico

2.3.2 Partecipazione nell’approccio tecnocratico

Queste teorie orientate ad un più coinvolgimento fondato su una conoscenza contingent e ed esperienziale risulta molto vicina a logiche di coinvolgimento distanti da quella democra- tica.

Le teorie della modernità riflessiva e della governamentalità con il loro sottolineare la fi- ne di una unica fonte e autorità di conoscenza forniscono una spiegazione al proliferare delle iniziative di coinvolgimento dei cittadini all’interno dei percorsi decisionali, la fine del rap- porto paternalistico tra scienza medica, amministrazione e cittadini profani trova nella lette- ratura dedicata agli studi su scienza e la tecnologia (meglio noti con l’acronimo STS Science

and Technologies Studies) un importante riconoscimento, si parla infatti di lay knowledge, lay expertise, e perfino lay epidemiology (Prior 2003; Sintomer 2008).

Callon, in un testo del 1998, individuava tre possibili modalità di coinvolgimento dei ‘non esperti’ all’interno del dibattito ‘esperto’. Il primo modello è ancora di tipo top-down, nel quale i cittadini vengono ‘fatti partecipe’ della conoscenza scientifica attraverso percorsi di informazione. Il secondo modello invece, riconoscendo come nelle società complesse il sapere sia disperso nella società e in molteplici fonti, ritiene utile tenere conto di questi di- versi saperi e di queste conoscenze nel processo decisionale, il débat public rappresenterebbe il procedimento paradigmatico di questo approccio. È però solo l’ultimo modello ad attribui- re il ruolo da protagonista al cittadino, proponendo un approccio di co-costruzione della co- noscenza. Il sapere non si formerebbe all’interno di distinti e precisi ambiti disciplinari, co- me nel modello precedente, ma lo stesso gruppo definirebbe la propria conoscenza, i propri interessi e i propri progetti attraverso un processo di elaborazione collettiva (percorso che quantomeno presenta molte assonanze con quello deliberativo).

In materia (STS) le esperienze realizzate nell’ambito medico e farmaceutico attraverso il coinvolgimento delle associazioni di pazienti e famigliari hanno rappresentato un ambito di applicazione pratica molto fecondo e importante. Hanno infatti consentito di individuare al- cuni nodi irrisolti dal punto di vista teorico e che, al contrario, rischiano di avere effetti di- rompenti sulla legittimità del processo partecipativo. Si tratta ad esempio della definizione

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delle caratteristiche che legittimano la partecipazione, ma anche del livello di coinvolgimen- to, individuale o collettivo, o delle questioni che possono/devono essere affrontate attraverso processi decisionali più aperti.

A fronte delle accuse di relativismo Collins e Evans hanno di recente sviluppato un pro- gramma molto più normativo (2002) che intende definire chi dovrebbe essere coinvolto e su quali basi. La loro distinzione non si sviluppa a partire dai concetti di scienziati e ‘profani’, ma tra coloro che posseggono competenze certificate in uno specifico campo della scienza e coloro che posseggono competenze non certificate in quanto derivanti dalla esperienza per- sonale. In particolare citano ad esempio il caso dell’inclusione del punto di vista dei malati di AIDS per lo sviluppo delle sperimentazioni cliniche a San Francisco (il riferimento è al lavo- ro di Epstein 1996) come un importante esempio di come l’incorporazione di conoscenze non scientifiche possa contribuire al miglioramento della pratica scientifica e terapeutica, ga- rantendo una migliore compliance. Nonostante il dichiarato approccio normativo la loro pro- posta non chiarisce adeguatamente su quali basi debbano e possano essere selezionate le competenze dei profani, anche perché i contenuti del contributo di cui i malati di AIDS si sa- rebbero fatti portatori, secondo i due autori, non risulta appartenere tanto all’ambito di cono- scenze tecniche, per quanto fondate sull’esperienza personale, quanto al campo della com- prensione umana. Per questo è stato sottolineato (Martin 2009) che le argomentazioni di Col- lins e Evans (2002) contrariamente alle ambizioni degli stessi autori non vanno nella direzio- ne di un contributo tecnico per l’efficacia della scienza, quanto piuttosto di un contributo ba- sato sul valore, del tipo che Lomas (1997), per esempio, inscrive all’interno dell’approccio democratico.

Diverso l’approccio di coloro che, come Prior, sostengono la superiorità epistemologica della ricerca scientifica sulla comprensione non scientifica del mondo, senza che questo, tut- tavia, escluda del tutto la possibilità per il sapere profano, maturato a partire dall’esperienza, possa, almeno in campo sanitario, trovare un proprio posto distinto da quello strettamente democratico. L’Autore sostiene infatti che la competenza maturata dai pazienti non può che essere contingente alla loro esperienza individuale, senza essere in grado di cogliere le com- plessità del sistema di organizzazione e fornitura dei servizi sanitari. Per questo il pubblico merita di vedere rappresentata la propria voce sulle questioni politiche generali connesse con la medicina attraverso le forme della democrazia rappresentativa e di essere ascoltato dagli operatori sanitari in riferimento alla propria condizione (2003), quello che abbiamo definito come livello individuale.

Tuttavia altre ricerche esplorando la conoscenza della malattia e del servizio sanitario svi- luppata dai pazienti disegnano prospettive diverse dalla limitata e circoscritta conoscenza i- potizzata da Prior. In uno studio sui pazienti affetti da predisposizione genetica per il coleste- rolo alto, Lambert e Rose (1996) hanno raccolto i racconti di pazienti che dimostravano di

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essersi districati in un complesso e contradditorio flusso di informazioni, provenienti da una pluralità di fonti, e di aver elaborato una comprensione storicizzata delle conoscenza scienti- fiche . In modo analogo, Nettleton e Burrows (2003) descrivono l’utilizzo da parte dei pa- zienti delle informazioni disponibili su Internet come una risorsa riflessiva che richiede l'im- pegno proattivo al fine di ottenere un vantaggio strategico nel mondo reale, e Ziebland (2004) racconta le narrazioni di pazienti che utilizzavano in modo riflessivo le informazioni presenti su Internet circa il trattamento di specifiche patologie in modo da poter affrontare in modo più consapevole l’incontro con il medico di famiglia, la cui conoscenza della medicina specialistica era inevitabilmente limitata. Arrivando, in alcuni casi, ad individuare nuove forme di trattamento di cui i loro medici non erano a conoscenza.

Queste analisi sembrano quindi concordare sulla possibilità che i pazienti elaborino delle visioni complesse e sofisticate della malattia e dei sevizi disponibili. Come se il rischio cui espone la malattia mobiliti le risorse individuali (volontà e capacità) allo scopo di sviluppare una conoscenza che coniuga la dimensione dell’esperienza e quella scientifica. Tuttavia que- sta elaborazione riflessiva non è per tutti, riposa su una certa quantità di capitale sociale, di capacità riflessiva che è in grado di orientare la scelta e l’utilizzo delle informazioni e la loro rielaborazione. Questi tipi di abilità non sono distribuite, come si è già avuto modo di accen- nare, in modo eguale tra la popolazione (vincitori e perdenti della modernità riflessiva; Elli- son 1997). Ciò che è interessante per noi osservare, e che introduce i temi che saranno trattati nel prossimo paragrafo, è la valenza collettiva della riflessività maturata da questi individui. La conoscenza maturata viene in molti casi condivisa e messa a servizio della collettività in generale, gli stessi individui si fanno così promotori di attività di divulgazione orientata alla prevenzione e alla diagnosi precoce (Ziebland, 2004) o piuttosto si assumono in prima per- sona l’onere di difendere i diritti dei malati che condividono la stessa patologia (Epstein 1995).

Il richiamo all’idea di “politica della vita”, proposta da Giddens (1991), è chiaro: l’azione collettiva è innescata da un “attimo fatale” in cui l’uomo moderno si confronta con la fragi- lità dell’esistenza moderna. Ma i richiami che si prestano ad essere riferiti a riferimenti più generali sono molto più ampi, come ricorda Epstein (2008), è ad esempio il caso dell’idea di

comunità biomedica proposta da Rabinow e Rose (2006) che sembra una declinazione speci-

fica del concetto di sub-politica di Beck, ma anche una manifestazione del nuovo sperimen- talismo collettivo (Latour 1999).

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