• Non ci sono risultati.

La costruzione semantica del modello

2.7 Verso un modello analitico-valutativo orientato teoricamente

2.7.3 La costruzione semantica del modello

La ricostruzione teorica condotta sino a questo punto orienta la costruzione del modello analitico-valutativo che utilizzeremo nel prosieguo della nostra analisi per analizzare e com- parare le diverse esperienze di partecipazione realizzate in ambito sanitario.

Grazie alla riflessione condotta nel primo capitolo abbiamo potuto definire il concetto di

Governance Sanitaria Comunitaria individuandone gli elementi costitutivi (paragrafo 1.7):

1) il disegno istituzionale (la partecipazione all’interno del network di soggetti privati; i partecipanti sono parte del processo di decision making e il coinvolgimento non si limita ad una consultazione; il network è formalmente organizzato e si riunisce collettivamente; obiettivo del network è arrivare a decisioni consensuali; il focus del processo decisionale è relativo a politiche o programmi pubblici)

2) il processo decisionale consensuale e collaborativo

3) il ruolo di stewardship dell’autorità pubblica orientato all’empowerment (individuale e collettivo).

Le riflessioni sulla partecipazione in senso lato e nello specifico sulla partecipazione a li- vello collettivo (o politica) all’interno del paradigma democratico che, come la nostra analisi ha cercato di evidenziare, si pongono in linea di continuità e a supporto delle teorizzazioni sulla Governance Sanitaria Comunitaria ci hanno consentito di definire meglio e problema- tizzare i contenuti che nella teoria sulla Governance rischiano di risultare piuttosto generici e vaghi. È il caso, ad esempio, del concetto di partecipazione utilizzato per definire l’empowerment, o della semplificazione eccessiva utilizzata in riferimento al concetto di processo decisionale consensuale e collaborativo.

Combinando i differenti contributi teorici ne abbiamo ottenuto un modello a due dimen- sioni che sembrano individuare i due ambiti semantici rilevanti per la definizione del concet- to di Governance Sanitaria Comunitaria: la democratizzazione esterna con il quale inten- diamo cogliere l’aspetto più strutturale, di architettura istituzionale, che sottende al concetto

141

di governance ovvero la capacità dei processi partecipativi di incidere sulla distribuzione del potere nel campo; e la democratizzazione interna, orientata ad esaminare l’aspetto procedu- rale, che pone l’accento sulle dinamiche interne al processo partecipativo e intende rilevarne la capacità di distribuire equamente il potere deliberativo tra tutti i partecipanti.

Le due dimensioni per quanto semanticamente distinte risultano interdipendenti l’una dall’altra. Una elevata capacità del processo partecipativo di incidere sui contenuti della de- cisione finale potrebbe essere ascritto all’interno dell’orizzonte tecnocratico, oltre a quello democratico (cfr. paragrafo 2.3) ma abbiamo visto come, anche all’interno di questo para- digma la partecipazione possa assumere valenze manipolatorie, strumentali, negoziali o col- laborative a seconda del tipo di architettura e dinamica partecipativa che si sviluppano all’interno del processo decisionale partecipato (cfr. paragrafo 2.4). D’altronde un processo partecipativo deliberativo-integrativo può sostenersi e riprodursi solo all’interno di una ade- guata cornice istituzionale che ne garantisca un adeguato collegamento con il processo deci- sionale pubblico (cfr. paragrafi 2.6.1. e .2.6.2), sostenendo un’adesione libera e volontaria dei partecipanti (Ansell, Gash 2007).

Riportiamo di seguito la mappa concettuale che abbiamo utilizzato per scomporre le due dimensioni individuate nelle unità semantiche che utilizzeremo per la scelta degli indicatori e per la loro operativizzazione.

Fig. 2.2: Mappa concettuale del concetto di Governance Sanitaria Comunitaria, sviluppato a partire da un ap- proccio democratico alla partecipazione

142

a) Democratizzazione esterna

La prima dimensione, quella della democratizzazione esterna, consente di mettere a si- stema da un lato le osservazioni della letteratura democratico-radicale (Arntein 1969) sull’impatto delle decisioni assunte dai processi partecipativi sulla decisione ‘politica’, e dall’altro la rilevanza che il disegno istituzionale assume nel definire la struttura, la forma e le caratteristiche relazionali della network governance (Ansell, Gash 2007). A partire da que- sti contributi teorici abbiamo individuato cinque componenti chiave che, considerate nel loro complesso, riteniamo possano coprire il campo semantico definito da questa dimensione. Si tratta del livello di istituzionalizzazione del processo partecipativo (1), della funzione del

percorso partecipativo all’interno del processo di decision-making pubblico (2), delle carat-

teristiche dell’oggetto di competenza del processo partecipativo (3), della rappresentatività

partecipanti e legittimazione a partecipare (4), nonché del grado di controllo/trasparenza in merito all’intero processo di decison-making pubblico (5), verso l’interno (partecipanti) e

verso l’esterno (cittadinanza) prima, dopo e anche durante l’intervento dell’organismo parte- cipativo.

Perché sia possibile parlare di governance è necessario che la struttura decisionale sia stabilmente integrata da organismi di partecipazione (Ansell, Gash 2007). È quindi necessa- rio che il percorso partecipativo sia istituzionalizzato e, possibilmente, configurato come sta- bilmente integrato all’interno dell’ordinario decision-making (deve trattarsi di organismi sta- bili, e non convocati sporadicamente, una tantum, a discrezione dell’autorità pubblica). Il grado di istituzionalizzazione del percorso partecipativo è infatti inversamente proporzionale al grado di ingerenza che l’autorità politica intende riservarsi. In assenza di istituzionalizza- zione, l’autorità pubblica mantiene infatti la piena disponibilità di costruirlo in funzione dell’opportunismo del momento tramite accordi particolareggiati e di tipo clientelare volti a rafforzare il potere politico, o tramite convocazioni ad hoc orientate strategicamente al so- stegno della decisione politica. L’istituzionalizzazione anche quando sia sporadica presenta il vantaggio di definire e circoscrivere i margini di azione dell’autorità pubblica e, nel caso in cui preveda un organismo stabile, traduce in norme e regolamenti l’approccio alla condivi- sione della procedura decisionale da parte dell’autorità pubblica. L’istituzionalizzazione in- fatti, di per sé, non garantisce il tipo di declinazione concreto che al principio di governance viene attribuito (cfr. tabella 1.1).

Tuttavia l’approccio democratico radicale alla partecipazione ha consentito di verificare la variabilità del trasferimento/condivisione di potere decisionale che può essere realizzato attraverso percorsi di partecipazione (Arnstein 1969), variabilità che definisce anche l’effettività della struttura di governance (Ansell, Gash 2007). Si tratta quindi di verificare la

143

(2), che può essere letta attraverso la definizione del compito attribuito all’organismo di par-

tecipazione (informativo, consultivo, partecipativo, di empowerment), con tutte le implica- zione che ciascun livello comporta (cfr. paragrafo 2.6.3), ma anche attraverso la collocazione del processo partecipativo all’interno dell’iter decisionale pubblico, in merito a questo aspet- to la letteratura riconosce una correlazione diretta tra livello di condivisione del potere deci- sionale all’interno del network e coinvolgimento precoce, rispetto al momento di adozione della decisione definitiva (Coney 2004; Rowe, Frewer 2000).

Di centrale importanza risulta poi l’oggetto attribuito alla competenza del processo parte-

cipativo (3). La letteratura sulla partecipazione è concorde nel quanto più l’oggetto sarà chia-

ro e definito e sarà chiaro il margine di influenza possibile tanto più si favorirà una parteci- pazione attiva ed effettiva e si allontanerà il rischio di strumentalizzazioni. Tuttavia la lette- ratura sulla governance ricorda che è possibile parlare di governance comunitaria solo a pat- to che tale oggetto attenga alla sfera politico-programmatica dell’ente (Ansell, Gash 2007) escludendo aspetti organizzativi, gestionali o eminentemente pratici dagli oggetti ammissibi- li. Riteniamo quindi di poter correlare il grado di potere delegato al percorso partecipativo rilevando anche l’importanza dell’oggetto in relazione ai compiti istituzionali dell’ente.

La letteratura sulla governance sottolinea come il grado di rappresentatività del network sia fortemente connesso con la legittimazione ‘sociale’ e democratica del ruolo a questo at- tribuito (ibidem). Tuttavia abbiamo visto come il concetto di rappresentanza, specie per quel- lo che concerne l’ambito della salute, non possa essere acquisito acriticamente. La letteratura evidenzia infatti la polimorficità del concetto di rappresentanza (statistica, corporativa, degli interessi, esperienziale) e le diverse implicazioni derivanti dai differenti approcci, si tratta allora di comprendere se la rappresentatività del network sia un obiettivo e a quale tipo di rappresentanza ci si riferisca (Rowe, Frewer 2000; Traulsen, Almarsdottir 2005). D’altronde è chiaro come la definizione di rappresentatività adottata influenzi la legittimazione a parte-

cipare che si distingue essenzialmente in due macro-categorie: fondata sulla rappresentanza

o sul diritto di cittadinanza (uti singuli). Come si è visto la letteratura sulla governance col-

laborativa evidenzia come un tipo di legittimazione ‘misto’ tenda a realizzarsi solo nel mo-

dello populista e in quello comunitario, ma come, solo quest’ultimo attraverso la formalizza- zione di spazi di democrazia partecipativa/deliberativa a integrazione della democrazia rap- presentativa, riesca a favorire il processo di empowerment (Fung, Wright 2001).

La letteratura sulla partecipazione insiste infine sull’importanza della trasparenza

dell’intero processo decisionale pubblico all’interno del quale si inserisce il percorso delibe-

rativo, come elemento rilevante per favorire il controllo del processo da parte dei cittadini (Coney 2004; Rowe, Frewer 2000). Due sono le dimensioni della trasparenza una verso l’interno, ai partecipanti, che devono essere informati sui passaggi successivi alla loro deli- berazione e verso l’esterno, la cittadinanza, che deve essere informata sull’iter decisionale

144

nel suo complesso, sulle deliberazioni dell’organismo partecipativo e sui contenuti della de- cisione finale.

Tab. 2.2: Dimensione “democratizzazione esterna”, articolazione in componenti e indicatori

b) Democratizzazione interna

Questa dimensione, orientata ad esaminare l’aspetto procedurale, pone l’accento sull’adeguatezza del processo decisionale a realizzare l’obiettivo di una costruzione il più possibile condivisa tra tutti i partecipanti. Per questo abbiamo ritenuto utile rilevare i due e- lementi che determinano i funzionamenti: le regole del gioco, o vincoli di contesto (che ab- biamo definito architettura partecipativa) e l’interpretazione concreta che di queste regole danno i giocatori all’atto del gioco (che abbiamo definito dinamica partecipativa). Da questo punto di vista possiamo acquisire le indicazioni derivanti dalla letteratura sui modelli delibe- rativi come una necessaria specifica delle indicazioni piuttosto superficiali che derivano dalla letteratura sulla governance. Abbiamo infatti sottolineato nel corso del capitolo precedente come il concetto di governance comunitaria insista sul concetto di decisione consensuale senza problematizzare questo aspetto (Connik, Iannes 2003). Al contrario le teorie delibera- tive, in particolare quelle fondate sul Confronto Creativo, si occupano proprio di comprende- re e definire setting deliberativi che favoriscano un processo deliberativo fondato su un con- fronto dei punti di vista e dei presupposti dei partecipanti. Per questo questa seconda dimen- sione è stata analizzata ricorrendo soprattutto alle indicazioni derivanti dalla teoria delibera- tiva, nonché dalle indicazioni già presenti in materia di modelli analitico valutativi e, per af- finità di riferimento teorico, a quello di Rowe e Fewer (2000) in particolare.

Per quanto riguarda l’architettura partecipativa abbiamo individuato come componenti chiave il grado e tipo di strutturazione della procedura decisionale (6), il grado di indipen-

145

zione del processo e funzionali al suo svolgimento. Mentre abbiamo considerato come la di-

namica partecipativa possa essere letta attraverso due meccanismi fondamentali, ovvero, la dinamica delle relazioni che si sviluppano all’interno del consesso decisionale (9) e

l’interpretazione del ruolo da parte dei partecipanti (10).

Dal primo punto di vista il grado e tipo di strutturazione della procedura decisionale (6) consente di rivelare le regole che sovrintendono alla ‘composizione’ del parere, della deci- sione, assunta collettivamente. Come insegna la letteratura sulla deliberazione (Rowe, Fewer 2000; Abelson et al. 2002a) si tratta quindi di verificare se la procedura decisionale sia strut- turata e a quale tipo di modello faccia riferimento (ricordiamo che i tre principali riferimenti assunti sono il Confronto Parlamentare, la deliberazione habermasiana e il Confronto Creati- vo; cfr. paragrafo 2). Un indizio importante per comprendere il tipo di struttura decisionale utilizzata è costituito dal ruolo che viene attribuito al manager del processo decisionale. Co- me abbiamo visto, infatti, la sua funzione può essere quella di arbitro nel meccanismo nego- ziale (sulla falsariga del ruolo del presidente dell’organismo parlamentare), così come può essere configurato come il garante delle regole procedurali che sovrintendono al processo ar- gomentativo (situazione discorsiva ideale) ma può anche essere investito del moderare il confronto favorendo la dinamica creativa/integrativa e sollecitando la partecipazione e lo scambio tra tutti i presenti (Sclavi, Susskind 2011). Le teorie deliberative ci consentono di collegare a ciascun modello decisionale (deliberativo) una differente cornice di governance (tab.1.1) e, nello specifico: un approccio di tipo distributivo (Confronto Parlamentare) con- sente infatti di giungere, nella migliore delle ipotesi, ad un compromesso tra i diversi interes- si configgenti, richiamando così esplicitamente il modello di governance pluralista (Di Gae- tano, Storm 2003), nel secondo caso, la deliberazione pura, di matrice habermasiana, con i suoi assunti ideali, si presta facilmente a utilizzi manipolatori (cfr. par. 2.4.2) risultando par- ticolarmente favorevole per legittimare le decisioni assunte a livello manageriale o politico (modello populista), è solo il Confronto Creativo con il suo approccio creativo alla delibera- zione a rappresentare il presupposto per il modello di governance comunitaria (ibidem).

I tre modelli di network governance citati, pluralista, populista e comunitario, si caratte- rizzano per un differente grado di indipendenza (7), formale e sostanziale, che viene garanti- to al consesso partecipativo. Potremmo collocare i tre modelli lungo un continuum che da un livello più basso di autonomia (modello populista) e passando per un livello intermedio va- riamente declinato (modello pluralista) arriva ad un livello di autonomia maggiore e tenden- zialmente crescente (modello comunitario). Nella governance ti tipo populista la partecipa- zione è funzionale ad una legittimazione (ex-post) della decisione assunta dall’organismo competente per questo la convocazione e l’ordine del giorno sono defini dall’alto, così come il circuito informativo è di tipo top-down. Al contrario nel modello pluralista i primi due a- spetti possono essere lasciati anche all’autonomia delle parti ma il circuito informativo rima-

146

ne sempre e comunque unidirezionale (top-down). Il modello comunitario prevede invece che anche il circuito informativo possa essere autonomo. L’istituzione promotrice deve farsi carico di garantire una informazione tempestive e pertinente all’oggetto del processo ma da quel momento in poi il circuito informativo è strutturato in modo bidirezionale, consentendo al network di interrogare e anche, eventualmente, di scegliere le proprie fonti (Farrell 2004; Coney 2004; Maloff, Bilan, Thurston 2000).

L’autonomia e la possibilità che l’organismo partecipativo possa sviluppare un proprio punto di vista autonomo dipende anche dalle dotazioni (8) che vengono messe a disposizione del processo partecipativo e che devono essere ‘adeguate’ che, nel modello comunitario, de- vono essere in grado di favorire il percorso di acquisizione del controllo. In accordo con la letteratura sulla partecipazione individuiamo nel tempo, che deve essere definito per garanti- re che la deliberazione possa essere utilizzata proficuamente dall’organismo decisionale ma anche adeguato in relazione a competenze dei partecipanti e oggetto del processo; nello spa- zio, che deve essere accogliente ma anche importante per sottolineare l’importanza del ruolo attribuito al processo partecipativo, e nelle risorse umane (staff di supporto) e/o economiche, per garantire la possibilità di accedere a fonti esterne (Rowe, Frewer 2000; Chess 2000; Co- ney 2004).

Gli elementi descritti concorrono a determinare la dinamica delle relazioni all’interno del

consesso decisionale (9) e l’interpretazione del ruolo da parte dei partecipanti (10) che però

risentono anche delle soggettività degli attori chiamati a prendere parte al processo che attra- verso la loro interpretazione personale possono favorire lo sviluppo di determinate dinami- che piuttosto che di altre pur in presenza degli stessi vincoli di sistema.

Dal primo punto di vista dinamica delle relazioni all’interno del consesso decisionale (9) consideriamo: la capacità del processo di mobilitare tutti i punti di vista presenti (a livello teorico, totale partecipanti sul totale dei membri formali, e a livello empirico, totale di sog- getti attivi sul totale dei presenti), ma anche la modalità attraverso la quale vengono mobili- tati, influenzata dalla capacità del leader di favorire un processo di empowerment, piuttosto che di ostacolarlo o soffocarlo129 e dalla modalità adottata per giungere alla decisione collet- tiva, che, come abbiamo visto, può esplicarsi attraverso la votazione, l’argomentazione, la negoziazione oppure integrando i diversi punti di vista (assumiamo qui come rilevante la modalità prevalente di elaborazione della posizione comune, assumendo come trascurabile il fatto che talvolta si possa ricorrere alla votazione come extrema ratio).

129

Per ragioni di coerenza con i riferimenti teorici utilizzati ricorreremo alla più classica tripartizione di Lewin, Lippitt e White (1939), sugli stili di leadership e atmosfere di gruppo: autocratica, democratica e permissiva o laissez faire. Il leader autocratico organizza e dirige ogni attività, resta piuttosto distaccato nei confronti dei par- tecipanti, tende a proibire le comunicazioni orizzontali e non condivide con il gruppo il proprio progetto. Il leader democratico discute con il gruppo ogni decisione ed attività, è piuttosto amichevole e disponibile, non proibisce i contatti fra i pari, rende partecipativi i membri del gruppo. Il leader permissivo interviene pochissimo nelle attivi- tà di gruppo, lasciando quest’ultimo libero di agire.

147

Dal secondo punto di vista, invece, assumiamo come l’interpretazione del ruolo da parte

dei partecipanti (10) sia composto da un elemento di tipo percettivo (chi sentono di essere

chiamati a rappresentare) e da azioni concrete che dovrebbero tradurre questo sentimento in pratica. Appoggiandoci sulla letteratura in materia (par.2.6.1. e .2.6.2) abbiamo ritenuto quindi utile verificare la presenza e la qualità dei canali di comunicazione tra i membri dell’organismo e la comunità locale e/o l’organizzazione di riferimento. Attraverso questi indicatori intendiamo rilevare la capacità del processo partecipativo di estendere gli effetti di democratizzazione oltre lo spazio deliberativo verso il resto della società civile. Solo un pro- cesso orientato in questa direzione può essere in grado di produrre empowerment comunita- rio, aumentando il numero dei soggetti capaci di riflessività (c.d. vincitori della riflessività) all’interno della comunità locale (Fung, Wright 2003).

Tab. 2.3: Dimensione “democratizzazione interna”, articolazione in componenti e indicatori

Il modello proposto non ha alcuna pretesa di esaustività, al contrario, come abbiamo cer- cato di evidenziare nel corso di questi primi due capitoli, rappresenta un primo tentativo di tradurre i riferimenti teorici in un punto di osservazione coerente e orientato. Abbiamo visto infatti come la partecipazione sia un concetto polimorfo e ambiguo, capace di essere funzio- nale tanto ad una democratizzazione della vita (teorici della modernità) quanto al manteni- mento delle asimmetrie di potere (teorici della governamentalità), e come il discrimine tra i due esiti sia legato alla interpretazione della partecipazione all’interno dell’assetto democra- tico, in generale, e all’assetto di governo di quello specifico livello istituzionale.

148

In riferimento a questo aspetto lo studio della prima dimensione, democratizzazione e-

sterna, è orientato a determinare l’eventuale presenza di un attore dominante all’interno di

quello specifico assetto di governnace. Abbiamo visto infatti (cfr. par.1.5) come lo studio delle “interazioni in termini di poteri degli attori sociali collettivi operanti in un determinato campo” (Giarelli 2003: 158) abbia condotto all’individuazione di quattro diversi sistemi di

dominanza: dominanza professionale, dominanza manageriale, dominanza burocratica e

dominanza societaria. La determinazione del sistema di dominanza risulta estremamente im- portante non solo in un’ottica sincronica, come fotografia della distribuzione del potere nel ‘campo’, ma anche in un’ottica diacronica, ove venga letta in combinazione con l’interpretazione della partecipazione propria di quello specifico ‘campo’.

Abbiamo infatti verificato come l’interpretazione del ruolo della partecipazione all’interno del processo di rescaling (Brenner 2004) delle moderne democrazie occidentali possa ispirarsi a diverse concezioni, che sintetizziamo qui ricorrendo all’utile categorizza- zione proposta da Altieri (2004; 2009). La partecipazione può essere interpretata come un canale privilegiato per una maggiore democratizzazione dello Stato tramite un processo line- are e indolore che non assume alcuna tensione tra l’approccio rappresentativo e quello parte- cipativo (modello espansivo); può invece trovare una interpretazione più complessa che as- sume criticamente le tensioni tra l’approccio rappresentativo e quello partecipativo, in rela- zione alla legittimità delle scelte politiche e delle decisioni assunte dai diversi livelli di go- verno (modello progressivo); così come può prestarsi anche ad una interpretazione tecnocra-

tica che riduce la partecipazione dei cittadini al processo di decision-making ad un ruolo

funzionale ad una maggior razionalizzazione dello Stato, consentendo di mettere a sistema quelle conoscenze diffuse e disperse nella società civile; ed infine può trovare una declina- zione residuale che, considerando illusorie le ipotesi espansive e progressive, si limita ad as- sumere i canali di partecipazione come luoghi in cui riversare la conflittualità sociale (mo- dello conflittuale).

Dal nostro punto di vista queste declinazioni sono dense di utili implicazioni. Nel primo caso, modello espansivo, l’assenza della tematizzazione del conflitto tra attori e interessi configgenti presta il fianco a un’utilizzazione strumentale delle prassi partecipative a favore dell’attore istituzionale detentore del potere decisionale. Questo rischio è arginato dal secon- do approccio che acquisendo la dimensione del conflitto come costitutiva, istituzionalizza un sistema di pesi e contrappesi volti a tutelare e ‘blindare’ assetti di potere più inclusivi. L’elemento dello scontro è invece radicalizzato dal modello conflittuale che, assumendone l’irriducibilità, declina gli spazi di partecipazione in ‘camere di compensazione’ funzionali all’assorbimento e neutralizzazione delle spinte estremiste e, quindi, al mantenimento del si- stema di potere. La deriva tecnocratica infine declina la partecipazione all’interno di una

Outline

Documenti correlati