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L E CARATTERISTICHE DELLA “ CIRCOSCRIZIONE ” DI B OBBIO

Vediamo ora in base a quali elementi possiamo affermare che le valli dei fiumi Trebbia, Nure e l'alta val Ceno appartenevano ad una sorta di “circoscrizione” che faceva capo a Bobbio e non a Piacenza, perlomeno in età carolingia.

Prima di tutto, abbiamo due diplomi regi che indicano che i limiti del comitato piacentino erano localizzati nell'alta val Ceno e Nure. Quindi, il territorio ad Ovest di tale linea confinaria doveva cadere nell'orbita di un'autorità diversa da quella del conte cittadino. In particolare, il precetto di Ludovico II dell'860 menziona esplicitamente i “fines et terminis inter potestatem Sancti Petri Sanctique Columbani et comitatum Placentinum”, mettendo in luce come questi due enti fossero giustapposti nella zona del Monte Carice. Sembra , inoltre, che i conti di Piacenza di fatto non accettassero tale situazione, dato che Ludovico II sottolinea nel precetto che “nullus comitum aut ministrorum ipsius comitatus” debba “transgredi et immutare” i confini da lui ribaditi411.

Il diploma emanato da Berengario I nell'899, invece, definisce i confini di tre sortes “ex terra regia” che l'imperatore aveva donato ad un suo vassallo, collocati “infra terminos prefati comitatus Placentini”412. Il documento, quindi, descriveva la linea di confine del comitato piacentino che correva a cavallo tra l'alta val Nure e la val Ceno413.

Congiuntamente alla questione dei confini, altro indizio che ci fa propendere per l'esistenza di una circoscrizione di Bobbio sono le caratteristiche dei distretti rurali del comitato piacentino, i fines Placentina e fines Castellana. Anzitutto spicca il dato che i loro territori non includevano villaggi posti in val Nure, né in val Trebbia.

Oltre a ciò, in nessun contratto che riguarda i fines Castellana e Placentina si attesta la presenza di scabini, di testimoni, né di notai provenienti dalle vallate bobbiesi414. A tal proposito, recenti studi hanno registrato l’esistenza per la prima età carolingia di due aree con tradizioni diverse corrispondenti alle circoscrizioni rurali piacentine, caratterizzate da autonomi spazi sociali415 e ciò farebbe pensare, in negativo, all’esistenza di un’analoga zona controllata dal monastero di Bobbio416.

Un altro dato che emerge dai documenti è che nessuna località posta all'interno dell'area sottoposta di Bobbio ospitava beni appartenenti ad enti ecclesiastici o laici piacentini, tanto meno al conte o al vescovo cittadino417. Ciò indicherebbe un'esclusiva presenza di possessi

411 ChLa2_LVII_18, anno 860.

412 ChLat2_LXXI_29 anno 899. “ipse autem prenominatae tres sortes exstant cum suis vocabulis vel terminationibus infra terminos prefati comitatus Placentini, scilicet montem Centenarium et montem de Propenno seu monasterium quae dicitur Bocolo et montem Gropallum”.

413 I toponimi che compaiono in questo documento, inoltre, sono analoghi a quelli citati nei diplomi regi di età longobarda (CDL III, n. 22, anno 747) e carolingia (Volpini, n. 3, anno 847), riguardanti delle porzioni della val Nure contese tra il monastero di Bobbio e quello di San Paolo di Mezzano. Tali documenti, purtroppo, ci sono giunti in copie tarde, e non stupisce che i vari toponimi, benché simili, non coincidano, presumibilmente per errori di trascrizione.

414 MANCASSOLA c.s. 415 Ivi.

416 Gli unici individui che riusciamo ad identificare come appartenenti a questa realtà territoriale, che non siano monaci, emergono dai pochi documenti privati e nei placiti che riguardano esclusivamente beni del patrimonio di San Colombano (ChLa2_LVII_16, anno 844; ChLat2_LXIV_29, anno 844; VOLPINI n. 3, anno 847; CDSCB, I,n. XLII, prima metà IX secolo; ChLa2_LVII_18, anno 860; ChLat2_LXV_25, anno 878; ChLa2_LXXI_25, anno 898).

417 Se le identificazioni topografiche sono corrette, forse fanno eccezione il sito di Carniclo/Cernaglia, dove aveva possedimenti la chiesa di Sant’Antonino nella seconda metà del IX secolo (ChLa2_LVII_16, anno 844 e ChLa2_LXV_25, anno 878) e il sito di Veiano/C. Pian di Verniano, in cui si attesta la presenza di beni della chiesa di Mameliano/ Momeliano di Agazzano (ChLa2_LXVIII_39, anno 854).

rientranti nel patrimonio del cenobio, accanto a quelli di proprietari privati del luogo, quali quelli citati nel diploma di Ludovico II dell'860418.

L’esistenza, infine, di un'area facente capo al centro monastico di Bobbio ben si accorda con la successiva formazione di una diocesi per volere dell'imperatore Enrico II nel 1014: è quindi ipotizzabile che il territorio gravitante intorno al monastero avesse raggiunto ben prima del Mille un’identità ed un’autonomia ecclesiastica e politica, ma anche istituzionale, favorendo così la costituzione di un vescovado.

418 Ludovico II nel diploma dell'860 conferma “et res quorundam hominum quas Sancto Petro apostolo et Sancto Columbano tradidisse noscuntur, Ricberti scilicet et uxoris eius Regentrude, Fulcarii quoque et Teutrude coniugi ipsius (…), Teudoldi et Teutboldi episcoporum hac nostra auctoritate promulgamus, itemque de rebus quas Arideus tradidit tam Oxila quam in diversis per Italiam locis (…) et rebus quas Augustinus clericus in Genolensi tradidit (…), item de rebus quorundam hominum, hoc est Teutprandi presbiteri qui et Zello dicitur est et Thrasonis presbiteri in Auliano aut ubiubi secundum ipsorum instrumenta, sed et Gisemperti filiique eius Petri in Casellis, sed et de rebus Leofredi et Leoprandi monachorum in Pecoraria quas ipsi tradiderunt et de rebus quas in eodem loco Bertrada vidua per venditionem tradidit sicut de supra comprehensis rebus et possessionibus decernimus atque statuimus ut sine contradictione vel refregatione alicuius omnino persone in ipsius loci sancti ditione permanent. Eodem modo confirmamus atque sancimus de rebus illis in Rodelascingo quas Petrus infantulus in extremis positus tradidit et quas postea pars eiusdem monasterii per testimonia legalia et iudicata evindicavit et legittimo iure possedit. Pascua quoque qua memorati germani Leofredus et Leoprandus adquisierunt in memorata Pecoraria et ingressum per eorum res memoratas quas ipsi tradiderunt ducit et reducit ipsi loco sancto confirmamus” (ChLa2_LVII_18, anno 860).

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