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I L SISTEMA CURTENSE E LE AZIENDE CONTADINE

Il territorio di Piacenza era (ed è ancora) contraddistinto da paesaggi diversi, che influirono direttamente sui criteri gestionali delle proprietà: se, come abbiamo visto, a Sud del Po vi era un’area di bassa pianura, la fascia di alta pianura si presentava particolarmente fertile e, quindi, appetibile; seguivano le zone di collina e montagna, che fin dall’età longobarda oggetto di un'attività di colonizzazione a scapito del bosco.

L’economia longobarda era basata in gran parte sullo sfruttamento dell’incolto, avendo un carattere silvo-pastorale che ben si differenziava dall’economia agraria che aveva caratterizzato il periodo della colonizzazione romana dei territori padani276. Lo sfruttamento agricolo del suolo avveniva mediante la formazione di aziende condotte da contadini, che potevano esserne proprietari oppure no, ed in questo secondo caso potevano anche essere di condizione servile. Vito Fumagalli ha messo in luce come la grande proprietà nell’epoca longobarda fosse organizzata in ampi complessi, detti casalia, gruppi di aziende contadine contigue, ma privi di dominico, che erano proiettate alla conquista dell'incolto. Potevano estendersi su una superficie anche considerevole, in cui lo spazio incolto doveva occupare non una piccola parte277.

La realtà della curtis non è assente nella documentazione longobarda, ma non è possibile tracciarne le caratteristiche. Una curtis regia, infatti, è attestata nel 770 in val Ceno278, tuttavia non siamo in grado di definirne i caratteri gestionali viste le scarne informazioni fornite dal documento che la menziona279.

All’indomani dell’arrivo dei Franchi si assistette alla diffusione del sistema curtense, costituito da terre dominiche, gestite direttamente dal proprietario, e da terre massaricie, condotte da contadini dipendenti, tenuti al pagamento di canoni e alle prestazioni d’opera (operae) sulle terre dominiche280.

Grazie all’abbondante documentazione a disposizione, recenti studi hanno potuto analizzare in dettaglio la diffusione del sistema curtense per il Piacentino, mettendone in luce le tappe evolutive281.

Una prima fase di assestamento e sperimentazione andò dal 774 all’825 e vide l’introduzione sistematica delle prestazioni d’opera nei contratti di livello.

In un secondo momento, dall’826 all’875, si registrò la diffusione del sistema curtense nelle sue forme classiche, indipendentemente dal fatto che si trattasse di signori fondiari laici oppure ecclesiastici e dall’ampiezza delle loro proprietà.

Infine, in una terza fase, comprendente l’ultimo quarto del IX secolo, si assistette all'evoluzione nella gestione dei beni fondiari di proprietà degli enti ecclesiastici e del clero cittadini, con l’improvviso venir meno delle operae ed un mutamento delle modalità di stoccaggio dei censi in natura, che dalle aziende poste perlopiù in pianura dovevano essere

276 MONTANARI 1979, pp. 220-306. 277 FUMAGALLI 1976, pp. 25-60. 278 ChLa_XXVII_826, anno 770.

279 Il documento che menziona la curtis regia è una permuta che riguarda alcuni beni posti in val Ceno. A proposito delle proprietà degli attori si dice: “et repromettemus nos suprascripti Artemio et Rodeperto et Gumperto et Asstruda et Paltruda, ut de ipso ficto, quod in corte domno regi dare devemus, ut nos te exinde securo facere deveamus”. Da ciò emergerebbe solo che gli attori cedono delle terre per le quali devono pagare un ficto alla corte domno regi.

280 Cfr. da ultimo MANCASSOLA 2009. 281 MANCASSOLA 2009.

portate in Piacenza, mentre quelle relative a terreni posti in aree collinari o montuose dovevano venire ritirate da missi dominici.

Analizzando i polittici del IX secolo relativi al monastero di Bobbio, spicca la differenza della modalità gestionale dei beni appartenenti al cenobio rispetto a quelli degli enti ecclesiastici cittadini282. Studi recenti, infatti, hanno dimostrato che per le aziende dell'abbazia di San Colombano erano stati adottati criteri curtensi classici, non registrandosi una riorganizzazione dei possedimenti quale quella condotta negli stessi anni dai signori fondiari della città di Piacenza283.

Più in dettaglio, per quanto riguarda le proprietà ubicate nei pressi dello stesso (indicate nei polittici con la denominazione infra valle), si è rilevata una gestione diretta tramite l'impiego di manodopera servile284. Una situazione in parte diversa, invece, si presentava per i beni dislocati nel Piacentino (de cellis exterioribus), dove le aziende venivano organizzate secondo un modello curtense, che prevedeva una limitata estensione delle terre dominiche a fronte di un'alta incidenza della pars massaricia, soprattutto per quanto riguarda gli arativi285. Una caratteristica notata in queste proprietà era un certo interesse per la forza lavoro ricavabile dal massaricio tramite le prestazioni d'opera, anche se limitate a pochi giorni all'anno. Nel complesso dunque, le aziende del monastero di San Colombano, malgrado alcuni casi particolari286, mostravano tratti comuni ben identificabili, consistenti nell’adozione di criteri curtensi nelle forme tradizionali.

Anche il monastero di Santa Giulia di Brescia possedeva diverse proprietà in area piacentina, anche se il suo nucleo patrimoniale principale era localizzato in Lombardia287. Secondo quanto emerge dall'inventario dei beni del cenobio della fine del IX secolo288, quasi tutti i possedimenti piacentini non erano organizzati secondo criteri curtensi, dal momento che si registra una quasi totale assenza di prestazioni d’opera, che rendeva la parte massaricia e dominicale delle aziende due realtà autonome289.

Per questa zona, quindi, emerge un quadro del tutto particolare, dal momento che la maggior parte dei beni del monastero di Santa Giulia erano gestiti in base al modello curtense. Le cause di questa conduzione anomala delle proprietà piacentine da parte del cenobio bresciano andrebbero ricercate da un lato nella posizione decentrata dei beni rispetto al centro monastico stesso, dall'altro da una certa influenza degli usi locali. Come appena visto, infatti, nel territorio di Piacenza, a partire dall’ultimo quarto del IX secolo, si registrarono nuovi rapporti di lavoro volti al superamento del sistema curtense, con la

282 Per i polittici di San Colombano cfr. ChLa2_LVII_19 , anno 862; ChLa2_LVII_21, anno 883. 283 MANCASSOLA 2009, pp. 170-182.

284 Non che siano assenti figure di liberi contadini passati al servizio del monastero, ma essi appaiono solo in minima parte e costituivano realtà marginali all'interno delle aziende di questa zona, con le uniche rilevanti eccezioni di Porcile e Bobbio. In quest'ultimo caso la presenza di livellari pare strettamente legata alla messa a coltura della grande selva monastica, che sembrerebbe essere stata affidata proprio a questi coltivatori, o quantomeno a tali coltivatori furono assegnate le parcelle ricavate dal disboscamento. (Ivi, pp. 177-178). 285 Questa situazione sembra essere la conseguenza di precise scelte gestionali, volte ad affidare ai coloni quelle colture in cui era necessario un impegno maggiore. In tal modo si raggiungevano almeno due obiettivi. Da un lato si aveva garantita una produttività più elevata, poiché è probabile che la cura prestata dai vari locatari nella coltivazione dei mansi loro assegnati fosse superiore a quella avuta dai servi prebendari. D'altro canto, il lavoro che ricadeva sulle spalle di quest'ultimi era minore, garantendo la possibilità di impiegarli in altre mansioni, quali attività artigianali o servizi in altri centri (Ivi, pp. 175-176).

286 Casi leggermente diversi furono quelli degli xenodochia e delle curtes date in beneficio (Ivi, pp. 178-179). 287Sul monastero di Santa Giulia cfr. infra, Capitolo 5, Paragrafo 5.III. Sulla gestione delle curtes piacentine di questo cenobio cfr. MANCASSOLA 2009, pp. 182-187.

288 INVENTARI ALTOMEDIEVALI, V, redatto tra l'879 e il 906.

289 Si trattava delle curtis infra civitate Plasentia (la città di Piacenza); curtis Cinctura (non identificato); curtis Isula Rosberga (verosimilmente una località sul Po); locus que dicitur Capursa (Caorso).

scomparsa di prestazioni d'opera e l'emergere del centro urbano quale terminale in cui convogliare le eccedenze agricole.

Se per l’azienda signorile di tipo curtense è possibile tracciare un quadro piuttosto esaustivo, è più difficile individuare le caratteristiche delle aziende appartenenti a piccoli e medi proprietari. Nella documentazione piacentina la maggior parte dei contratti si riferisce alla proprietà con i termini terra aratoria, sorte, sorticella, casis et rebus ed altri, non solo per indicare parti più o meno estese di piccole o grandi aziende, ma spesso “unità aziendali” 290. In un unico caso viene indicata un’azienda contadina con il termine casale291, ma si tratta di un unicum: si tratta di un livello risalente al 784, ai primi anni della dominazione franca quindi, con cui Stavelene riceveva da Walcauso un casale posto in pianura, con l’obbligo di coltivarlo “massaricio nomine” per un periodo di quindici anni.

290 FUMAGALLI 1976, p. 37. 291 ChLa_XXVII_828, anno 784.

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