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G LI INSEDIAMENTI DELLA C AMPANEA VEL PRATA P LACENTINA

L' ARTICOLAZIONE DELLA PROPRIETÀ NEL P IACENTINO

L' ASSETTO PATRIMONIALE DEGLI INSEDIAMENTI DEL P IACENTINO

1. G LI INSEDIAMENTI DELLA C AMPANEA VEL PRATA P LACENTINA

Il territorio a Sud di Piacenza che rientrava nella cosiddetta campanea vel prata Placentina è attestato nei documenti a partire dall’anno 824 e non ci restano dati relativi al periodo longobardo e ai primi anni del regno franco1043 (Tavola 1).

Nel IX secolo quest'area era legata con un filo rosso al centro urbano, come emerge dall'analisi dei territori dei singoli villaggi, dato che quasi tutti presentavano al loro interno possedimenti di chiese cittadine, prime fra tutte quella di Sant’Antonino e quella di San Savino, oltre che della stessa cattedrale1044.

Oltre ad enti ecclesiastici urbani, vi possedeva beni anche il monastero di San Pietro di Caput Trebi1045, fondato dalla regina Angilberga1046.

Un discorso a parte merita il quadro relativo ai proprietari fondiari laici. Per i territori di cui è restata una documentazione precedente alla metà del IX secolo si nota una diffusa presenza di beni appartenenti a piccoli e medi possessores locali. A partire dalla seconda metà del secolo, invece, apparvero nella campanea Placentina anche beni di grandi proprietari fondiari. In particolare in quest'area erano presenti due ricche famiglie, quella di Sigelberga “Christi ancilla” e di suo figlio Manfredi e quella dei fratelli Martino e Donnino de Lovenciassi, figli di Giovanni da Sala. Uno dei figli di Martino fu Agostino presbiter, che verosimilmente si trasferì in città per fare parte del clero di Sant'Antonino, facendosi promotore di un'ambiziosa politica patrimoniale che riguardò non solo quest'area della pianura, ma soprattutto la val Luretta.

Trascurabile sembra invece la presenza nella campanea di personaggi connotati come di stirpe salica o professanti legge longobarda, dato che si registra la presenza unicamente della franca Imetruda, che acquistò dei beni nel territorio di Cornido1047.

Gli insediamenti meglio attestati per la zona dei “prata vel campanea Placentina” sono vico Tagoni1048 e Lovenciassi1049. La prima menzione di Vico Tagoni risale all'834, quando un certo

1043 Ringrazio il dott. Nicola Mancassola che mi ha anticipato i risultati della sua ricerca sugli uomini liberi del Piacentino , da cui traggo i dati su medi possessori e piccoli allodieri trattati in questo capitolo (MANCASSOLA c.s.).

1044 La chiesa di Sant’Antonino aveva beni in ciascuno dei siti della campanea vel prata individuati nella fonti scritte, ossia in vico Corvoli e Tagoni, in Lovenciassi, Plectole, Montegucio e in Cornido; quella di San Savino vi aveva una curtis. Inoltre, presentavano delle proprietà nei prata e nella campanea le chiese urbane di San Salvatore (in Lovenciassi), di San Faustino (in vico Tagoni e in Plectole), di Sant’Alessandro, di San Silvestro (entrambe in Plectole) e di San Germano (in Cornido).

Tali considerazioni sono confermate da quanto emerge dai documenti che hanno per oggetto beni posti genericamente in “campanea vel pratas Placentinas”, senza l'indicazione di un insediamento di riferimento. Si tratta di circa una decina di atti che comprovano il radicamento in questa zona delle chiese urbane di Sant’Antonino e Vittore (ChLa2_LXIV_18, anno 834; ChLa2_LXV_23, anno 877), di San Savino (ChLa2_LXVIII_31, anno 845) e di Sant’Eufemia (ChLa2_LXIX_14, anno 861).

1045 Attuale Cotrebbia di Calendasco.

1046 Un documento dell’873 ci testimonia l’interesse per questa zona nutrito dalla regina Angilberga, moglie di Ludovico II (ChLa2_LXV_15, anno 873).

1047 ChLa2_LXV_34, anno 882.

1048 Non è stato possibile identificare l'attuale località corrispondente a Vigo Tagoni, che secondo le informazioni emerse dai documenti era posta verosimilmente tra Placentia e il fiume Po.

Seneverto da vico Tagoni, verosimilmente un piccolo proprietario, acquistò per dodici soldi un campo cum frascario nella campanea Placentina in località Le Valli1050. Pochi anni dopo, lo stesso Seneverto donò alcuni suoi possedimenti posti nella stessa area ai fratelli Martino e Donnino di Lovenciassi, esponenti di una famiglia emergente locale1051. Grazie alla lista delle confinazioni dei terreni oggetto di questo contratto emerge che alla metà del IX secolo possedevano beni nel territorio di vico Tagoni diversi piccoli proprietari locali, ma anche San Sisto e di San Pietro di Caput Trebie, oltre che la chiesa cittadina di San Faustino1052.

Un analogo quadro emerge dalle fonti per il villaggio di Lovenciassi, attestato per la prima volta in una permuta dell’824 in cui fece da testimone un certo “Luboni de Lubenciassi”1053. Fino alla metà del IX secolo sul territorio di questo insediamento si distinsero beni esclusivamente appartenenti a piccoli proprietari locali1054.

A partire dalla seconda metà del secolo, la situazione fondiaria dei due villaggi mutò. Particolarmente incisiva, infatti, fu la politica patrimoniale condotta dai fratelli Martino e Donnino di Lovenciassi, che appartenevano una famiglia emergente del Piacentino, il cui primo esponente fu Iohannes de Sala, della val Nure1055. Questi vendettero nell'843 un terreno posto nel territorio di vico Taguni a due piccoli allodieri del posto1056 e nello stesso anno ricevettero in dono un terreno con casa e orto posto nel loro villaggio di origine, dando come launegild due cavalli1057.

Sempre nell'843 Martino e Donnino acquistarono per dodici soldi un ulteriore terreno posto nei pressi di Lovenciassi1058, confinante con beni appartenenti alla cattedrale di Piacenza. Poco dopo i due, assieme al terzo fratello Sabatino, comprarono dei beni anche in Castruciano, in un territorio localizzato circa quindici chilometri a Sud-Est di Lovenciassi, per trenta soldi1059, mentre il solo Martino edificò un mulino1060.

E' possibile seguire l’attività economica di questa famiglia di Lovenciassi anche durante la generazione successiva, grazie ai documenti relativi ad Agostino, figlio di Martino, che fece parte del clero Sant'Antonino1061. Nell’872, infatti, un certo Vualperto da vico Tagoni diede al presbiter Agostino e ai suoi cugini1062 un terreno dotato di una condotta d’acqua localizzato

1049 Non è stato possibile identificare l'attuale località corrispondente a Lovenciassi, che non doveva trovarsi lontano dalle rive del Trebbia.

1050 ChLa2_LXIV_15, anno 834.

1051 ChLa2_LXIV_20, anno 842; Seneverto fece anche da testimone in una donazione che riguardò i suoi fratelli dell’anno 843 (ChLa2_LXIV_24).

1052 Così sono descritti i confini del terreno “cui est adfines ad ipsa pecia terre: de uno latere Sancti Petri, da alio Sancti Faustini, da uno capite Pasquali, et da quarta parte Ariperti et si quis aliis adfine sunt” (ChLa2_LXIV_27, anno 843).

1053 ChLa2_LXIV_05, anno 824.

1054 Si tratta di tali Adelbertus (ChLa2_LXIV_24, anno 843; ChLa2_LXIV_26, anno 843), Alpertus racionator (ChLa2_LXIV_21, nno 842; ChLa2_LXVIII_32, anno 845), Savini, Hodoni e Leoni e Ritpertus (ChLa2_LXIV_20, anno 842), Lupus (ChLa2_LXIV_05, anno 824, ChLa2_LXIV_26, anno 843), Rodelandus (ChLa2_LXIV_24, anno 843).

1055 Cfr. infra, Capitolo 6, Paragrafo 3.II.

1056 Si tratta dei fratelli Leone e Garimundo (ChLa2_LXIV_27, anno 843): Leone compare nelle vesti di testimone in due atti giuridici (ChLa2_LXIV_15, anno 834 e ChLa2_LXIV_20, anno 842).

1057 Prosperius de Nobiliano fu l'autore di questa donazione (ChLa2_LXIV_24, anno 843), verosimilmente un medio possessore intenzionato a legarsi ai fratelli di Lovenciassi. Tra i confinanti dei beni donati vi erano proprietà della chiesa di San Salvatore.

Prosperius partecipò come testimone ad un placito (VOLPINI, n. 3, anno 847) e fece da testimone in due negozi giuridici (ChLa2_LXIV_20, anno 842; ChLa2_LXIV_27, anno 843).

1058 Il terreno era posto in località Tavellole (ChLa2_LXIV_26, anno 843). 1059 ChLa2_LXIV_36, prima metà del IX secolo.

1060 Si tratta di due notizie che si apprendono a posteriori dal documento ChLa2_LXV_10, anno 872. 1061 Augustinus presbiter fu attivo soprattutto nella parte occidentale del Piacentino, in val Luretta, dove acquistò vari beni nei territorio di Seliano e di Pomario (cfr. infra, Capitolo 6, Paragrafo 3.I).

nel territorio di Lovenciassi, nei pressi del mulino edificato da Martino, ricevendo in cambio un campo sito in casale Quarto Scorticoto1063. Nello stesso anno, inoltre, Agostino comprò dai cugini un campo posto nella medesima zona, per il prezzo di venti soldi1064.

Sembrerebbe abbastanza evidente che questa zona a ridosso di Piacenza nella seconda metà del IX secolo fu al centro degli interessi di una famiglia locale piuttosto abbiente, che annoverava un mulino all'interno del suo patrimonio e che poteva permettersi di dare in launegild due cavalli1065.

Altro territorio rappresentativo della situazione fondiaria dei prata et campanea Placentina è quello di Cornido1066.

La sua prima menzione si rintraccia in una permuta dell’824 in cui Lamperto presbiter diede ad un certo Petronace un appezzamento di terreno arativo, ottenendo in cambio altri terreni, tra cui uno in Cornido1067. Dalle confinazioni si apprende che in questa zona erano localizzati beni appartenenti alla chiesa di Sant’Antonino e alla chiesa urbana di San Germano.

Nell’842 un certo Martino vendette a Peredeo detto canevario per tredici denari d'argento un prato nel medesimo territorio, che confinava su tutti e quattro i lati con altri proprietari terrieri locali1068. Anche una vendita dell’868 attesta la presenza in questa zona di vari piccoli proprietari locali:1069 un certo Sabatinus vendette a Petronilla moglie di Leoperto calegario un prato il località Corniclo per un soldo e due denari d'argento e dalle confinazioni trapelano solo beni appartenenti a coltivatori della zona

Elementi interessanti fornisce un contratto di livello dell’842, in cui Madelberto liber omo chiese di coltivare dal custode della chiesa di San Savino dei beni situati in località Casteniola, un tempo gestiti dal padre, con l’obbligo di lavorare quattro giorni l’anno presso i vigneti posti in Cornido1070.

Infine, anche in Cornido è attestata la presenza del presbiter Agostino, il quale nell’anno 882 acquistò dei beni in questo territorio da una certa Imetruda, di stirpe franca, per quindici soldi1071.

L'insediamento di vico Corvoli1072 compare nelle fonti scritte a partire dall’8731073 ed è interessante notare che nel suo territorio si attesta la presenza di beni appartenenti

Faustinus, Iohannes e Fratellus (ChLa2_LXV_10, anno 872).

1063 ChLa2_LXV_10 ,anno 872: Valpertus stesso figurò tra i confinanti dei beni oggetto della permuta; egli possedeva anche un terreno in un’altra località dei prata Placentinas, come si apprende da un documento dell’874 (ChLa2_LXV_17, anno 874); suo padre Agepertus compare come testimone in una donazione dell’843 (ChLa2_LXIV_24).

1064 ChLa2_LXV_13, anno 872.

1065 Notizia tratta a posteriori dalla donazione dell’anno 843 (ChLa2_LXIV_24). 1066 Si tratta di una località non identificabile tra quelle odierne, forse scomparsa. 1067 ChLa2_LXIV_05, anno 824.

1068 ChLa2_LXIV_21, anno 842: circa le confinazioni si ricava che “da uno lato Rotperti presbiter, da alio latere et uno capite ipsius emtori, et alio caput in Dagiberti manetiario germano suprascripto venditori, si quis aliis adfine sunt”. (a proposito dei confini del prato si ricava, infatti, “coere ibidem fine ad suprascripto prato: uno caput et uno lato iam dicto Leoperto, alio caput Andrea, alio lato Odelberti de Leo notario”).

1069 ChLa2_LXV_08, anno 868. 1070 ChLa2_LXVIII_31, anno 845. 1071 ChLa2_LXV_34 (a) e (b), anno 882.

1072 Forse equivale all'odierna località La Corva, in comune di Piacenza, che dista circa cinque chilometri dal nucleo urbano.

1073 Risale a quell’anno una donazione riguardanti dei beni posti nella campanea Placentina dove comparve come testimone “Andrei filio bone memorie Aliverti de vico Corvoli” (ChLa2_LXV_14 anno 873).

esclusivamente a piccoli proprietari locali. Si rintracciano, infatti, i coniugi Martino e Aldedruda che vendettero ad un certo Sabatino un casalivo et vinea e una terra arativa in Corvoli per venti soldi1074; un certo Pietro da Corvoli, che nell'882 alienò ad un Vualperto presbiter due campi nei pressi del monastero di San Sisto, per il prezzo di tre soldi1075 e nell'892 due terreni arativi posti nel territorio di vico Corvoli al già menzionato Sabatino per dieci denari1076.

Leggermente diversa era la situazione fondiaria dei villaggi della campanea che si trovavano negli immediati dintorni del centro urbano. In particolare, l'insediamento di Plectole1077 si presentava alla fine del IX secolo come una proiezione della città, dato che il suo territorio presentava diversi terreni che facevano capo al clero di Sant'Antonino1078 e altri che vennero acquistati nell'892 dal diacono Gariberto per conto della cattedrale piacentina1079. Dalla liste delle confinazioni di questa compravendita emerge, inoltre, che possedevano beni in Plectole anche le chiese cittadine di Sant’Alessandro, San Faustino e San Silvestro1080. Non diverso era il quadro del territorio di Montegucio1081, come attestano circa una dozzina di documenti1082. La prima menzione di questo insediamento risale all’anno 834, quando Sigelberga “Christi ancilla” e suo figlio Maginfredo, esponenti di una famiglia emergente, donarono alla chiesa di Sant'Antonino e Vittore due massarici localizzati nei villaggi di Larciano e Missano, un orticello posto in Piacenza e un terreno arativo in Montegucio1083. La presenza di beni della basilica di Sant'Antonino emerge anche da una cartula divisionis dell’882, riguardante diversi terreni localizzati nei prata vel campanea Placentina “prope Montegucio”1084. Infine, due documenti confermano l’esistenza di piccoli proprietari in questo territorio, ossia un certo Paolo presbiter di Montegucio che aveva due vigne in località Gudi e Rodaldus de Monte Gucio1085.

Concludendo, in base ai pochi dati ricavabili dai documenti precedenti alla metà del IX secolo la situazione fondiaria della zona della campanea vel prata era caratterizzata dalla presenza di beni appartenenti a piccoli e medi allodieri locali accanto a proprietà che facevano capo ad alcune chiese piacentine. Resta, tuttavia, arduo ipotizzare il grado di

1074 ChLa2_LXVII_19, anno 898. La stessa Aldedruda permutò alcuni beni a Veclano in cambio di altri beni presumibilmente della stessa estensione (ChLa2_LXVII_38, fine IX -inizi X secolo).

1075 ChLa2_LXV_36, anno 882.

1076 ChLa2_LXVI_41, anno 895. Tra i confinanti ai beni menzionati in questo contratto vi è un altro abitante di Corvoli, Antoninus, che comparve in sei contratti nelle vesti di testimone (ChLa2_LXV_19, anno 874; ChLa2_LXV_36, anno 882; ChLa2_LXXI_33, anno 884; ChLa2_LXX_26, anno 888; ChLa2_LXX_28, anno 888; ChLa2_LXVI_22, anno 889).

1077 Attuale Pittolo, in comune di Piacenza.

1078 ChLa2_LXV_35, anno 882. Interessante notare che nell’889 diversi famuli della Chiesa piacentina dichiararono di abitare a Plectole (ChLa2_LXVI_21, anno 889)

1079 Gariberto diacono, infatti, fu vicedomino domui sancte Placentine Eclesie (per la figura di Garivertus cfr. MANCASSOLA c.s. e infra, Capitolo 6, Paragrafo I.II, a proposito del sito di Goselingo). 1080 ChLa2_LXX_33, anno 892.

1081 Attuale Montecucco in comune di Piacenza.

1082 Circa l'insediamento di Montegucio restano poche menzioni circa il suo territorio, perché si hanno le attestazioni soprattutto degli abitanti: “Gariberti de Placencia de Montegucio” (ChLa2_LXIV_33, anno 850; ChLa2_LXV_03, anno 858), “Andrei de Montegucio” (ChLa2_LXV_23, anno 877; ChLa2_LXVII_30 (anno indeterminato); ChLa2_LXVI_22, anno 889; ChLa2_LXVI_26, anno 890; ChLa2_LXX_33, anno 892; ChLa2_LXVI_31, anno 892), “Radeverti filio quondam Giseperti” (ChLa2_LXVII_33, fine IX-inizi X secolo).

1083 ChLa2_LXIV_17, anno 834: avevano dei beni in Montegucio gli “heredes quondam Radualdi”. 1084 ChLa2_LXV_35, anno 882.

coesione e di forza delle comunità rurali di quest'area che era tanto vicina al centro abitato da sembrarne una diretta emanazione.

Dalla documentazione successiva, invece, si deduce che la situazione dei territori dei villaggi andò complicandosi nel tempo a discapito della piccola proprietà locale, dato che si segnala la presenza di numerosi proprietari esterni e pochi medi possessores benestanti e piccoli allodieri originari della zona, in particolare a partire dalla seconda metà del IX secolo.

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