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L' ARTICOLAZIONE DELLA PROPRIETÀ NEL P IACENTINO

L A GRANDE PATRIMONIALITÀ LAICA ED ECCLESIASTICA

IV) S AN S ILVESTRO DI N ONANTOLA

7. I FUNZIONARI PUBBLIC

Non vi sono notizie circa la situazione patrimoniale degli ufficiali pubblici d’età longobarda994, mentre qualcosa di più si ricava dai documenti a proposito dei beni dei funzionari carolingi.

La prima figura attestata è quella del conte Aroin a partire da una permuta dell’anno 791 in cui ricevette da un certo Lupo diversi terreni nei pressi di Carpeneto, dando in cambio alcune terre poste nello stesso territorio con l'aggiunta di venti soldi995. Da un breve dell’anno 823 che riguarda una disputa per il diritto di scatico rivendicato da alcuni uomini liberi presso la selva di Septemsorores996 loclizzata tra val d’Arda e val Ceno, nell’Appennino, si ricava che Aroin fu proprietario anche di una porzione di detta selva997.

Circa i successivi conti piacentini, abbiamo qualche notizia solo relativamente al patrimonio fondiario di Wifred, in carica intorno alla metà del IX secolo. Due documenti, una donazione dell’872 e un placito dell’897, menzionano una corte in Piacenza un tempo appartenuta al “bone memorie Vuifi come”998.

Si hanno a disposizione pochi dati a proposito dei patrimoni dei visconti. Noe vicecomes acquisì nell’886 un terreno in località Costa in val d’Arda per dieci soldi d'argento999, mentre nell’895 l'imperatore Lamberto in persona concesse al visconte Amalgiso quattro massaricia nella pianura a Sud e ad Est di Piacenza1000.

Sia per i conti, che per i visconti, sembra si tratti di grandi possessores, con ampia disponibilità di liquidità e di terre, in alcuni casi organizzate in forme curtensi.

Per quanto riguarda i funzionari pubblici minori, che ricoprivano un ruolo subordinato rispetto a quello delle maggiori cariche del regno, ci sono giunte alcune notizie in più sull’entità dei patrimoni dei singoli personaggi.

Nel 796 un abitante di via Plana, nei pressi della città di Piacenza donò al gastaldo franco Aidolfo delle terre localizzate in pianura, presso le località Foleniano e Centoria1001. Il medesimo gastaldo comprò nell’802 una porzione di una selva in Caput Ursi, ad Est del centro urbano1002.

Nell’842 alcuni uomini liberi chiesero a livello al gastaldo Grimenulfo i suoi beni posti in Casteniola1003, nella pianura centrale1004. Su Gamenulfo sappiamo, inoltre, che nell’870 era padrone di alcuni terreni con abitazioni e vigneti localizzati nella pianura ad occidente di Piacenza, sul confine col Pavese1005; altre sue proprietà si trovavano presso l'insediamento di Perocledo, ad Ovest del centro urbano, nell’anno 8881006 e nell’anno 8921007.

Nell’873 Liutardo gastaldio era in possesso di un mulino e di vari terreni nella località a Sud di Piacenza di Puteo Pagano1008.

994 Per le figure dei funzionari pubblici d’età longobarda e carolingia cfr. supra, Capitolo 1, Paragrafo 2.II. 995 ChLa_XXVII_830, anno 791.

996 Attuale località Settesorelle di Vernasca. 997 GALETTI n. 21, anno 823.

998 ChLa2_LXV_11, anno 872 (“Actum civis Placencia, in curte bone memorie Vuifi”); ChLa2_LXXI_19, anno 897 (un placito ebbe luogo “in curte qui fuit quondam Vuifredi comes”).

999 ChLa2_LXX_24, anno 886. 1000 ChLa2_LXXI_04, anno 895.

1001 Si ignora la localizzazione attuale di Foleniano, che verosimilmente dovette essere non distante da Centoria/Centovera di San Giorgio Piacentino (ChLa_XXVII_832, anno 796).

1002 ChLa2_LXVIII_02, anno 802. 1003 Casina Castagnola di Gazzola. 1004 ChLa2_LXIV_22, anno 842. 1005 ChLa2_LXIX_21, anno 870. 1006 ChLa2_LXVI_19, anno 888. 1007 ChLa2_LXVI_31, anno 892.

Nell’881 Teuperto gastaldo e sua moglie vendettero secondo la loro legge Alamannorum un terreno in Niviano1009 in val d’Arda, per dieci denari d'argento1010; lo stesso gastaldo è nominato tra i confinanti di beni posti sempre in Niviano in due transazioni dell’881 e dell’8821011.

Infine nell’899 il re Berengario, su richiesta del conte Sigefredo, concesse a Vualferio gastaldo tre massaricia nell’alta valle del Nure, nell’Appennino piacentino1012.

Il quadro che emerge da queste attestazione è piuttosto omogeneo. Nonostante i funzionari di cui si ha notizia siano vissuti in momenti diversi, tutti quanti fecero parte della categoria dei medi possessores in quanto proprietari di aziende (massaricia) e di terreni piuttosto estesi, con una discreta liquidità di denaro a loro disposizione. E’ interessante notare, inoltre, che i possedimenti di questi personaggi pubblici erano collocati nei pressi di Piacenza e nelle zona di pianura rientranti nei fines Placentina, oppure in val d’Arda (Figura 16). In quest’ultima zona si concentrò il patrimonio fondiario del funzionario Pietro sculdassio, che dall’878 fino alla fine del secolo condusse una politica di acquisizioni nei pressi del suo villaggio Niviano e negli insediamenti posti nelle immediate vicinanze1013. Sappiamo inoltre che in Niviano aveva beni il conte parmense Suppone, i cui eredi appaiono come confinanti in contratti risalenti all’882, all’anno seguente1014 e all’8861015.

Figura 16. I possedimenti dei funzionari pubblici

1009 Niviano di Lugagnano. 1010 ChLa2_LXV_32, anno 881.

1011 Rispettivamente ChLa2_LXV_38, anno 882; ChLa2_LXVI_01, anno 883. 1012 ChLa2_LXXI_29, anno 899.

1013 La figura di Pietro da Niviano viene analizzata in dettaglio nel capitolo successivo (cfr. infra, Capitolo 6, Paragrafo 3.III).

1014 ChLa2_LXV_38, anno 882; ChLa2_LXVI_01, anno 883.

8.I VASSALLI

Oltre ai funzionari pubblici, anche i vassalli fecero parte dell’élite della società piacentina, a partire dalla seconda metà del IX secolo1016. Alcuni di questi si segnalarono come fedeli dell’imperatore o dell’imperatrice, altri furono direttamente legati al conte, al visconte, al vescovo, oppure a signori fondiari locali.

Nell’arco di circa un cinquantennio si distinsero nel Piacentino circa un’ottantina di vassalli, perlopiù di nazionalità franca, la maggior parte dei quali sono attestati un'unica volta nei documenti1017. Tra i più attivi vi fu il franco Seufredo, connotato come “vassus domini imperatoris”. Questi nell’855 acquistò da due fratelli di legge salica dei vigneti ed un terreno in Flabiano1018 e fu proprietario della curtis di Tuna, che contava al suo interno numerosi terreni nella zona di pianura, tra cui un mulino, come testimoniano due contratti di livello dell'8631019 e dell'8731020. Seufredo, inoltre, possedeva dei beni nell'area collinare della val Tidone e della val Nure, come si ricava dalle liste delle confinazioni di due documenti dell’8771021 e dell’8821022.

Contemporaneo di Seufredo fu Gontardo di Piacenza, vassallo del vescovo, che attorno agli anni Sessanta del IX secolo annoverò diversi beni in val d’Arda1023 e nella pianura ad Ovest di Piacenza1024.

Nella bassa valle del Nure Raginelmo nell’876 ebbe in beneficio dal vescovo, di cui era vassallo, la corte di Carmiano, in val Nure1025.

A cavallo tra il IX ed il X secolo, il franco Everico “vasus domni Everardi episcopus,” fu attivo in Piacenza, dove acquistò da due coniugi franchi un terreno nei pressi della Porta Nova1026 e da un certo Gariberto di legge longobarda una pecia posta in città per dodici denari d’argento1027. Infine Everico donò al clero della chiesa di Sant'Antonino una casa dotata di un appezzamento di terra sempre localizzata nel centro urbano1028.

Tirando le somme di quanto emerge dai documenti, sembra che i vassalli piacentini, pur lasciando poche tracce di sé, fossero particolarmente radicati nella zona di pianura a Sud di Piacenza, ma non nel centro urbano, con l’eccezione di Everico1029 (Figura 17).

1016 ChLa2_LXIV_40, anno 855. La progressiva diffusione dei rapporti vassallatico-beneficiari si ha, tuttavia, a partire dall'ultimo quarto del IX secolo.

1017 Per quanto riguarda l'inquadramento dei vassalli nel territorio, dalle fonti emerge che solo pochi di questi si connotarono in base al loro villaggio di appartenenza, al contrario dei liberi proprietari. Inoltre, i vassalli sono attestati nei documenti quasi solo come astanti ai placiti o testimoni in atti che non li coinvolsero direttamente.

1018 Attuale Fabbiano di Rivergaro (ChLa2_LXIV_40, anno 855). 1019 Odierna Tuna di Gazzola (ChLa2_LXIX_15, anno 863). 1020 ChLa2_LXIX_25, anno 873.

1021 ChLa2_LXX_01, anno 877. 1022 ChLa2_LXX_08, anno 882. 1023 ChLa2_LXIX_12, anno 861.

1024 ChLa2_LXIX_16, anno 864. Ancora in pianura ebbe dei beni il vassallo franco Gotefredo in Casteniola (ChLa2_LXXI_01, anno 893).

1025 Attuale Carmiano di Vigolzone (ChLa2_LXIX_36, anno 876). Il vassallo Raginelmo inoltre possedeva sempre iin val Nure, in località Fabrica dove abitava, dei terreni che alla fine del IX secolo diede in permuta al presule Everardo (ChLa2_LXXI_22, anno 897).

1026 ChLa2_LXVII_20, anno 899. 1027 ChLa2_LXVII_23, anno 900. 1028 ChLa2_LXVII_28.

1029 Conosciamo il luogo di provenienza di: Garibaldo de Cassine/ Cassino di Pontenure (ChLa2_LXVI_23, anno 890), Garibaldo “vassus vicecomes” de Farininiano (ChLa2_LXXI_19, anno 897), Garibaldo de Perocledo (ChLa2_LXXI_19, anno 897), Eriberto “vassus domne Goile” de Planiciano sul confine con il Parmense (ChLa2_LXX_30, anno 891), il franco Odelfredo de Pontenure/ Pontenure (ChLa2_LXVI_36, anno 892), Gausola “vassus vicecomes”de Seliano, in val Luretta (ChLa2_LXXI_19, anno 891) e Rotari “vassus et iudice

Dai pochi negozi giuridici in cui i vassalli appaiono coinvolti come attori, inoltre, possiamo notare che il loro patrimonio era cospicuo, perlopiù organizzato in forme curtensi e distribuito tra l’alta pianura e le prime zone collinari del Piacentino.

Figura 17. I possedimenti dei vassalli

9.IFRANCHI

Dalla documentazione emerge che molti dei vassalli erano di stirpe franca, come pure diversi funzionari pubblici, tra cui il conte Amandus, i gastaldi Aidolf, Gamenufus e Teutpertus e il vicecomes Elmericus; inoltre agirono nel Piacentino i comites Palacii Amedeus ed Everardus1030. I Franchi si radicarono nel Piacentino all’indomani del 774 e anche se la loro presenza è attestata in numerosi documenti si hanno pochi elementi circa la loro qualifica e l'attività svolta ed è difficoltoso inserirli nel quadro sociale. Una parte ristretta dei Franchi attestati nel Piacentino nel IX secolo, infatti, ricoprì una carica pubblica, mentre solo tre di questi seguirono la carriera religiosa1031 e due sono attestati come artigiani1032.

Per quanto riguarda la loro diffusione sul territorio, ciò che spicca è la loro appartenenza, quando esplicitata1033, quasi esclusivamente ai villaggi di pianura e alla città di Piacenza. Le uniche eccezioni sono rappresentate dai coniugi Rotari e Adelberga de Sarturiano, in val Tidone1034, Solesca “abitatrice in fundo et loco Siliano” in val Luretta1035 e da un enclave di Franchi localizzata in val d’Arda e negli immediati dintorni, la cui attestazione beneficia del dossier relativo allo “sculdassio” locale Pietro da Niviano1036.

Analizzando nel dettaglio la documentazione a disposizione, si nota che i Franchi erano particolarmente attivi sul piano delle transazioni economiche, sia come attori giuridici che come testimoni, mentre è del tutto assente la loro partecipazione a placiti come componenti del collegio giudicante, tranne nel caso dei funzionari pubblici transalpini. Da un esame dei beni oggetto di transazione si evince la quasi esatta corrispondenza tra il territorio di provenienza di attori giuridici di nazionalità franca e la zona ove questi concentrarono i loro interessi economici e, quindi, le loro proprietà. Tra i più significativi in tal senso,vi furono i coniugi Daniele e Domenica che vissero nel territorio di Gudi e che si interessarono a terreni e case poste esclusivamente tra Gudi e Centoria1037; i già menzionati Rotari e Adelberga de Sarturiano, che tra l’889 e l’899 furono al centro di una serie di negozi giuridici riguardanti beni posti tra la pianura occidentale e la val Tidone, ove risiedevano1038; Walperga de Zoroni, in pianura, che vendette terreni di sua proprietà attestati nei dintorni del suo villaggio1039.

Non a caso, inoltre, i Franchi residenti in Piacenza sono attestati in compravendite riguardanti esclusivamente case e terreni dislocati nel centro urbano oppure nella campanea vel prata Placentina1040.

1030 Per la loro attestazione nei documenti cfr. supra, Capitolo 1, Paragrafo 2.II.

1031 Si tratta di Suniberto presbiter in ChLa2_LXIX_28, anno 874, Adalberto presbiter de ordine eclesie Sancti Antonini in ChLa2_LXVI_37, anno 892 e Manfredo clericus in ChLa2_LXXI_24, anno 898.

1032 Si tratta di Odelberto faber e Alperto maniciario in ChLa2_LXX_13, anno 884.

1033 Su circa 180 Franchi attestati nel Piacentino dal 796 (documento ChLa_XXVII_832) alla fine del IX secolo, meno di 70 dichiarano il loro luogo di provenienza.

1034 I due coniugi, attestati in vari documenti, dichiarano di essere de Saturiano in ChLa2_LXVII_11, anno 898; ma lo stesso Rotari in precedenza si era definito genericamente de finibus Placentina nell’890 (ChLa2_LXVI_23).

1035 ChLa2_LXVII_07, anno 897.

1036 Per la vicenda di Pietro sculdassio e il suo dossier documentario cfr. infra, Capitolo 6, Paragrafo 3.III. 1037 Rispettivamente odierne località di Godi di San Giorgio Piacentino e Centovera di San Giorgio Piacentino. Per i riferimenti documentari circa i possedimenti di Daniele e Domenica di Gudi cfr. infra, Capitolo 6, Paragrafo 2.III.

1038 ChLa2_LXVII_11, anno 898; ChLa2_LXVII_13, anno 898; ChLa2_LXVII_22, anno 899. 1039 ChLa2_LXVI_04, anno 884; ChLa2_LXVI_38, anno 892.

1040 Si tratta dei coniugi Giseperto e Cristina (ChLa2_LXIX_40, anno 878), Imetruda e Giseperto (ChLa2_LXV_34, anno 882), di un Pietro (ChLa2_LXVII_18, anno 898) e di Alperto con la moglie Adelberga (ChLa2_LXVII_20, anno 899). Un certo Iohannes abitator ic civitate Placentia aveva beni in pianura presso il territorio di Gudi (ChLa2_LXX_13, anno 884) e di Mariano/ Marano di Vigolzone (ChLa2_LXX_08, anno 882).

Per quanto riguarda, invece, personaggi di nazionalità franca di cui non si ricavano elementi dai documenti circa la zona di provenienza, i dati che emergono confermano il quadro appena delineato, ossia le loro proprietà risultano esclusivamente distribuite in Piacenza stessa oppure nella fascia di pianura meridionale.

Concludendo, emerge un quadro piuttosto coerente circa i personaggi di origine transalpina e la distribuzione dei loro patrimoni, in alcuni casi cospicui1041, che si radicarono preferibilmente nella civitas e nei villaggio posti nei fines Placentina (Figura 18).

Una significativa eccezione è rappresentata dall’enclave franca localizzata nella zona della val d’Arda, dove si segnale la presenza sia di funzionari pubblici, sia di esponenti di famiglie illustri collegate alla regalità franca, quale il conte Suppone ed Etone figlio del salico Bosone1042. Difficile comprendere, tuttavia, perché la valle del torrente Arda presentasse una simile concentrazione di individui di origine franca. Si potrebbe ipotizzare che quest'area del Piacentino si presentasse nel IX secolo come particolarmente appetibile sia per la sua posizione strategica dal punto di vista della viabilità, sia per la presenza di antichi insediamenti risalenti all’antica diocesi romana di Velleia.

Figura 18. I possedimenti dei Franchi

1041 Cfr. il caso dei coniugi Daniele e Domenica di Gudi, del “vassus domini imperatoris” Seufredo. 1042 ChLa2_LXVII_01, anno 895.

CONCLUSIONI

Riprendendo i dati salienti emersi dalla documentazione, la cattedrale, amministrata dal vescovo, dimostrò fin dall'età longobarda un interesse specifico per le aree a ridosso del fiume Po, ma al contempo condusse una politica patrimoniale su ampia scala, volta soprattutto al controllo di aree nevralgiche per la viabilità, quali la pianura occidentale nei pressi della via Emilia. La documentazione risalente alla fine del IX secolo mostra, infine, oltre ad una capillare presenza dei suoi possedimenti soprattutto nella zona centrale della pianura piacentina, una certa proiezione nelle vallate dei fiumi Ceno e Taro, grazie al controllo esercitato dal vescovo sul patrimonio della pieve di Varsi.

Decisamente diverso si dimostra invece il quadro relativo ai possedimenti degli altri enti ecclesiastici cittadini. Nonostante si noti una certa differenza in termini di ricchezza e di prestigio tra le diverse chiese appare significativo, infatti, il fatto che le loro proprietà fossero tutte concentrate nell'area circostante il centro urbano. Leggermente di più ampio respiro fu la politica economica condotta dai rettori di Sant'Antonino, il cui patrimonio contò al suo interno anche proprietà dislocate nella pianura meridionale e sulle prime colline. Le altre fondazioni ecclesiastiche cittadine, in realtà poco fortunate dal punto di vista dell'entità della documentazione superstite, presentavano possedimenti posti soprattutto nella zona della campanea vel prata Placentina.

Circa le pievi rurali, la situazione è affine a quella appena delineata per gli enti cittadini. Con la significativa eccezione di San Pietro di Varsi, le pievi controllavano beni (anche di una certa entità) localizzati generalmente nelle proprie circoscrizioni ecclesiastiche. La situazione di San Pietro di Varsi, invece, è piuttosto articolata: questa pieve presentò una dislocazione delle proprietà affine a quello delle altre pievi durante l'età longobarda (con proprietà concentrate nei pressi di Varsi e nei territori limitrofi), mentre a partire dalla prima età carolingia la sua politica patrimoniale assunse un ampio respiro territoriale, che le consentì di acquisire beni anche in aree molto distanti dalla val Ceno. La ricchezza accumulata da questa chiesa rurale, tuttavia, attirò le mire del vescovo cittadino, particolarmente interessato, a radicarsi nella zona a cavallo tra Piacentino e Parmense, dove correva la via Francigena. Il presule, infatti, a partire dall'ultimo quarto del secolo, controllò in maniera diretta o tramite suoi missi il patrimonio della pieve di Varsi, indirizzandone le acquisizioni alle vallate dei fiumi Ceno e Taro.

Interessante è il quadro che emerge dallo studio dei patrimoni dei cenobi che disponevano di proprietà in questa zona del Regnum. Oltre a diversi enti monastici locali, infatti, diverse abbazie la cui sede non era ubicata nel Piacentino acquisirono beni in quest'area della pianura padana. In particolare, l'abbazia di Nonantola sembrò particolarmente attenta al controllo di zone del Piacentino che erano nevralgiche dal punto di vista della viabilità, dato che i suoi possessi si concentravano nei pressi della via Francigena e della via Emilia. Il monastero bresciano di Santa Giulia, invece, era dotato alla fine del IX secolo di possedimenti dislocati nella fascia di pianura a ridosso della riva del Po, tra cui uno scalo sul fiume. Verosimilmente, quindi, questo ente monastico, tramite i suoi possedimenti piacentini (e all'alleanza col presule locale emersa dalle fonti) era riuscito ad inserirsi nei circuiti commerciali padani. Intenti simili dovettero muovere anche la politica patrimoniale del monastero piacentino di San Sisto, fondato su iniziativa regia nell'ultimo quarto del IX secolo, che possedeva un porto fluviale nei pressi del centro urbano e venne dotato dai sovrani di una serie di possedimenti disposti lungo il fiume Trebbia, tra cui la curtis regia di Caput Trebiae.

Per quanto riguarda la grande patrimonialità laica, infine, il quadro si dimostra piuttosto omogeneo. Se tra l'età longobarda e le prime fasi del Regnum si registra la presenza di proprietà del fisco regio in quasi ogni zona del Piacentino, a partire dall'ultimo quarto del

IX secolo si nota una particolare concentrazione di beni regi organizzati in forme curtensi nell'area di bassa pianura ad Est e ad Ovest del centro urbano e in val d'Arda. Leggermente diversa la situazione per quanto riguarda i vassalli e i franchi, dato che i loro patrimoni (quando documentati) erano generalmente disposti nella zona centrale e meridionale della pianura, perlopiù nei pressi dei territori dove potevano eventualmente risiedere o, nel caso dei vassalli, dove erano localizzati i beni dei loro seniores.

Alla luce dei dati esposti è possibile proporre alcune considerazioni a proposito delle aree rurali del Piacentino più soggette alla pressione signorile. Verosimilmente, la pianura centrale e la zona a ridosso del Po attirarono più di ogni altra area gli interessi dei grandi proprietari fondiari, sia laici che ecclesiastici, soprattutto a partire dalla seconda metà del IX secolo. Le ragioni di questa preferenza potrebbero essere ricondotte alla vicinanza di questi comprensori al centro urbano, sede dei principali poteri del Piacentino, e, soprattutto, alla presenza del Po, che rappresentava il principale vettore del commercio altomedievale del Nord della penisola, nonché dei maggiori assi stradali che conducevano verso Est (la via Postumia diretta a Genova e il mar Ligure) e verso Ovest (la via Emilia).

Oltre a ciò, bisogna aggiungere due notazioni.

La prima riguarda l'interesse dimostrato nell'ultimo quarto del IX secolo dalla cattedrale per le vallate del Ceno e del Taro, che causò la perdita di autonomia del principale proprietario fondiario locale, la chiesa di San Pietro di Varsi. Analizzando in dettaglio l'assetto patrimoniale di queste due vallate, tuttavia, emerge che la presenza dei beni della cattedrale era puntiforme e discontinua ed inoltre che vi era una significativa assenza di proprietà di altri signori laici esterni (con l'eccezione del fisco regio e dei monasteri di Bobbio e Nonantola), il che potrebbe aver comportato una bassa pressione signorile su queste zone. La seconda notazione riguarda le valli dei torrenti Arda, Chiavenna ed Ongina. In quest'area, infatti, si può notare una particolare concentrazione di beni appartenenti a signori fondiari di stirpe franca, alcuni dei quali ricoprirono cariche pubbliche e che appartennero all'élite della zona, non essendo originari né del centro urbano, né della pianura. Si potrebbe ipotizzare che la particolare presenza franca fosse dipesa dalla situazione anomala di queste zone, che erano anticamente parte del municipium di Veleia e che anche dopo il collasso delle strutture romane probabilmente mantennero una continuità insediativa, nonché un certo prestigio legato all'antico ruolo di civitas di Veleia.

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