III) L’ ORGANIZZAZIONE DEL TERRITORIO : I FINES
3. L A GEOGRAFIA ECCLESIASTICA I) L A DIOCESI DI P IACENZA TRA IL VII E IL X SECOLO
L’attuale diocesi di Piacenza è l’esito di articolati e complessi fenomeni di aggregazione e di sottrazione di aree, i quali hanno contrassegnato dall’altomedioevo ad oggi un vasto comprensorio173. Ricostruire il territorio episcopale in periodo altomedievale è molto complesso, non soltanto per il silenzio delle fonti scritte ed archeologiche, ma anche per la limitatezza dei dati relativi alla fase tardoantica, durante la quale si hanno le prime attestazioni della presenza vescovile a Piacenza174. E’ tuttavia possibile ipotizzare che i confini della circoscrizione diocesana comprendessero quelli del municipio romano di Placentia e di quello di Veleia175. Questo territorio era delimitato a Nord dal corso del fiume Po, mentre ad Est era separato da quello parmense dal torrente Stirone e dal fiume Taro fino all'attuale Ostia Parmense; il torrente Gotra separava a Sud la diocesi piacentina da quelle di Luni e di Genova, mentre ad occidente la demarcazione tra gli ambiti sottoposti ai presuli piacentino e tortonese resta alquanto incerta e verosimilmente correva lungo i torrenti Staffola, Ardivestra, Schizzola e Coppa176.
Con l'arrivo dei Longobardi non abbiamo notizie certe riguardanti la sede episcopale piacentina fino all'anno 613, quando re Agilulfo fondò il monastero di Bobbio in val Trebbia177. I Longobardi, dapprima pagani, poi seguaci della dottrina dei Tre Capitoli ed ariani, si convertirono all’ortodossia romana nel corso del VII secolo, nel tentativo di assimilarsi al popolo da loro assoggettato e per ottenere la fiducia del vescovo di Roma178. In accordo con queste ipotesi, alcuni studiosi sostengono che a Piacenza abbiano convissuto due vescovi, uno cattolico ed uno ariano, sebbene non vi siano prove documentarie in tal senso179, visto che i primi atti non sono precedenti all’VIII secolo. Il più antico documento è un diploma del 744 con cui re Ildeprando assicurava al presule cittadino Tommaso il controllo sui monasteri della diocesi180: questo è il primo di una serie di privilegi, soprattutto di ordine economico, accordati dai sovrani longobardi e poi carolingi, alla Chiesa di Placentia, che fu così in grado di accrescere la propria influenza sulla città181.
173 Circa la configurazione attuale della diocesi e la bibliografia attinente cfr. DESTEFANIS 2008, p. 3, nota 1. Per un’introduzione alla storia della diocesi di Piacenza cfr. CERIOTTI 2004, RACINE 2008.
174 GHIZZONI 1990, in particolare pp. 127-137. 175 GHIZZONI 1990, p. 135; RACINE 1990, pp. 213-214.
176 Per la descrizione precisa dei limiti del Piacentino altomedievale cfr. supra, Capitolo 1, Paragrafo 2.I. 177 Il monastero di Bobbio venne fondato per volere di re Agilulfo dal monaco irlandese Colombano, cui venne concessa la chiesa diroccata di San Pietro in val Trebbia, nel cuore dell'Appennino piacentino, che divenne il nucleo del cenobio. Era stata la regina cattolica Teodolinda, moglie di Agilulfo, a chiamare Colombano sul suolo italico per convertire il popolo dei Longobardi, dopo che questi aveva creato i cenobi di Luxeuil e di San Gallo. La fondazione del monastero di Bobbio ben si coniugava, inoltre, con il progetto longobardo di conquista di tutte le terre settentrionali della penisola: l’abbazia di San Colombano sorse, infatti, in una zona compresa tra il Piacentino e la Liguria che nel 613 era ancora bizantina (per le vicende e la bibliografia relativa al monastero di Bobbio cfr. Capitolo 2, Paragrafo 1).
178 RACINE 1990, pp. 201-205.
179 Secondo il racconto di Paolo Diacono, in un primo momento le città sottomesse ai Longobardi avevano due vescovi, uno cattolico ed uno ariano(Historia Langobardorum, 4, 42): Pierre Racine ha ipotizzato che ciò potesse essere valido anche per Piacenza (RACINE 1990, p. 201).
180 Non abbiamo dati certi a proposito della fondazione dei monasteri piacentini. Secondo il Campi, questi sorsero su iniziativa regia, a partire da quello di San Salvatore in val Tolla nel 680 (CAMPI, I, p. 176). Per il diploma del 744 cfr. CDL III, n. 18.
181 Per una disanima dettagliata dell’evoluzione del ruolo e dell’importanza politica dei vescovi piacentini a partire da un’analisi puntale dei documenti, cfr. infra, Capitolo 5, Paragrafo 1. I vescovi che si susseguirono a Piacenza furono: Tommaso ai tempi dei re Ildeprando e Rachis, Giuliano dal 788 all’808, Podone dall’815 all’832, Seufredo dall’837 all’861, Paolo, vescovo negli anni 870-889/890 ca., Bernardo negli anni 890-893,
Carlo Magno, in Italia dal 774, confermò le precedenti concessioni garantite alla sede episcopale piacentina, anzitutto l’uso di una riva del Po da cui derivò il controllo di diversi porti che rese il vescovo padrone di una parte del traffico fluviale182. Il presule era innanzitutto il capo spirituale della diocesi e il suo potere faceva da contrappeso dal punto di vista temporale a quello del conte carolingio: la partecipazione di entrambe queste figure ai placiti più importanti nel corso del IX secolo svela un’iniziale collaborazione tra le due autorità183.
I diritti fiscali riconosciuti dall'imperatore Ludovico II nell'872, tra cui soprattutto la possibilità di tenere tre fiere annuali nei pressi del centro urbano, conferirono al presule un dominio economico quasi incontrastato sulla città e sul territorio184. Da questo momento in poi andò definendosi uno squilibrio di potere a danno del conte cittadino e la vita commerciale piacentina fu di fatto governata dal vescovo. Questo processo culminò nel 997 con la concessione da parte di Ottone III al presule Sigifredo dei poteri comitali sulla città di Piacenza e sul territorio circostante, fino ad una distanza di un miglio dalle mura185. Al presule vennero conferiti, infatti, una parte dei economici e finanziari, oltre che poteri di ordine disciplinare. Da questo momento il vescovo piacentino poté percepire le tasse sui transiti (teloneum) e su attività cittadine (exhibitiones vel reddibitiones) e fu insignito del diritto di tenere i placiti e di sovraintendere all'ordine pubblico (districtum et placitum), compiti fino ad allora propri del conte, alla cui figura vennero invece delegate le funzioni analoghe per il territorio rurale186. Il diploma del 997 consacrò la rottura tra città e contado sul piano amministrativo e l'allontanamento del conte dal centro urbano prefigurò la sua eliminazione totale dal comitato.
Everardo dall’893 al 904, Guido dal 904 al 936, Bosone dal 943 al 946, Sigulfo nel 976 e Giovanni dal 976 al 991, infine Sigifredo dal 997 (GAMS 1957).
182 ChLat2_LXVIII_11. A tal proposito cfr. RACINE 1986; GALETTI 2011.
183 MANARESI, I, n.59; ChLa2_LXV_18; ChLa2_LXX_17; ChLa2_LXX_36; ChLa2_LXXI_26. 184 LUDOVICI DIPLOMATA, n. 56, anno 872.
185 RACINE 1997. 186 RACINE 1990, p. 246.