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I VILLAGGI E LE COMUNITÀ

L’ INSEDIAMENTO RURALE PIACENTINO NELL ' ALTO MEDIOEVO

1. L A SINTASSI STORICA

Lo studio delle dinamiche del popolamento e dell’organizzazione fondiaria a partire dalle fonti documentarie si basa sull’analisi delle formule con cui i notai identificarono nell’ambito di un negozio giuridico un bene immobile attraverso la sua collocazione nello spazio429. Si tratta di una ricerca che presuppone che tali formule siano il frutto di una dialettica tra cultura notarile e percezione dell’organizzazione dello spazio, la quale a sua volta deriva dal rapporto tra le comunità umane e il territorio su cui agirono430.

Una lunga tradizione storiografica ha posto al centro dell’attenzione la corrispondenza i tra termini ubicatori e la realtà materiale431, anche se diversi studiosi hanno raccomandato la prudenza nell’assegnazione di precisi significati a singoli vocaboli432.

In base a quanto visto per gli insediamenti del Piacentino, tuttavia, si è giunti alla conclusione che solo il superamento della lineare corrispondenza tra le espressioni che compaiono nelle fonti documentarie e la realtà materiale può mettere in luce la potenzialità dello studio dei termini legati all’insediamento. Ciò comporta, quindi, uno studio che per ogni contesto geografico proponga un’interpretazione specifica dei vocaboli impiegati nelle formule ubicatorie.

Chiarito questo punto, qui di seguito si esplicita il significato assunto dai principali termini legati all’insediamento impiegati dai notai piacentini tra VIII e IX secolo.

a) vicus

429 CAMMAROSANO 1991, pp. 74-88.

430 BRUGNOLI 2010, p. 21 (cfr. in part. nota 1).

431 Tra i primi studiosi che si sono occupati di tale tema, Gina Fasoli nel 1958 metteva in luce l’inaffidabilità dei termini connessi all’insediamento impiegati nelle fonti scritte (FASOLI 1958) e Giovanni Tabacco auspicava una collaborazione tra storici delle fonti scritte ed archeologiche per la comprensione delle dinamiche di popolamento medievali (TABACCO 1967, p. 105). L’esigenza di un’analisi comparativa dei termini ubicatori utilizzati nella documentazione di più regioni della penisola emergeva in un articolo di Cinzio Violante, dedicato allo studio dei documenti privati per la storia medievale fino al XII secolo (VIOLANTE 1976). A questi temi si dedicò Andrea Castagnetti, che esaminò l’organizzazione del territorio rurale a partire dalle circoscrizioni plebane e pubbliche rispettivamente in due volumi del 1976 e 1979 (CASTAGNETTI 1976; ID. 1982). Furono gli anni Ottanta del secolo scorso i più proficui per gli studi legati alle strutture dell’insediamento e alle formule ubicatorie (PETRACCO SICARDI 1980; ANDREOLLI-FUMAGALLI 1983, pp. 177-200), che, tuttavia, si conclusero mettendo in dubbio la possibilità di fare affidamento sui termini della documentazione per lo studio del popolamento (WICKHAM 1979; MONTANARI 1988, pp. 211-213) Negli anni Novanta emerse il problema del rapporto tra storici ed archeologici in relazione allo studio dell’insediamento, per il quale fu fondamentale il saggio del 1995 di Elizabeth Zadora Rio (ZADORA RIO 1995; cfr. inoltre GINATEMPO-GIORGI 1996; FRANCOVICH 2004, pp. XX-XXII; BROGIOLO-CHAVARRIA 2005, p. 125). Tale dibattito venne portato al limite estremo da Riccardo Francovich e Richard Hodges, che rivendicarono la centralità del dato archeologico rispetto all’uso delle fonti scritte (FRANCOVICH-HODGES 2003, pp. 29-30). La diatriba, non ancora sopita del tutto, trova una possibile soluzione nella posizione assunta da Chris Wickham, secondo cui agli archeologi spetta comprendere la funzione delle strutture materiali, mentre agli storici compete la ricerca sulle cause che portarono alla costituzione di quella realtà materiale (cfr da ultimo WICKHAM 2010). Su questi temi si rimanda, infine, al recente volume di Andrea Brugnoli, che a partire dalle formule ubicatorie, ha indagato l’insediamento nel Veronesa tra il IX e il XII secolo (BRUGNOLI 2010).

432 Sui singoli aspetti terminologici cfr.. SETTIA 1984 che raccoglie diversi interventi precedenti dell’autore (cfr. inoltre ID. 1999; da ultimo ID. c. s.); GUGLIELMOTTI 2005, p. 29.

Il termine vicus è piuttosto controverso433 e secondo quanto emerge dalla documentazione piacentina viene utilizzato dai notai secondo due differenti accezioni: la prima legata generalmente alle strutture dell’insediamento (vicus come centro abitato), la seconda connessa all’aspetto sociale di organizzazione del territorio (vicus come villaggio).

Circa l’uso di vicus per designare un insediamento in senso generico possiamo citare la carta di manomissione del 753 in cui l’attore per qualificarsi si definisce “havitatore in vico Carocia”434, mettendo così in luce la valenza del termine come luogo fisico in cui si abita. L’uso frequente di questo vocabolo in tale senso si ha nella datatio di ogni documento, ossia laddove si dichiara il luogo in cui l’atto viene stipulato, secondo la formula “actum vico Octabo”435, che compare in un placito dell’832, oppure “actum in vico Fontana Thieterici” attestata in un diploma emesso da Carlo III nell’883436. E’ interessante notare che il termine vicus nell’accezione insediativa veniva impiegato più di frequente per designare siti localizzati in aree di antico insediamento, occupati fin dall’età classica o tardoantica437.

Il termine vicus nel senso di “villaggio” ricorre invece in una vendita dell’881, nella quale tra i sottoscrittori vi sono “Gruvualperti de Varianulo teste” e “Fideli et Petroni de ipso vico Varianulo testibus” 438. Il suo uso in questo caso intende probabilmente ribadire l'appartenenza del secondo e del terzo testimone alla stessa comunità di villaggio cui appartiene il primo sottoscrittore. Allo stesso modo, in un breve dell’884 due coniugi di Niviano ricevettero da una certa Ragimperga un prestito che garantirono con dei beni di loro proprietà: gli atttori si definivano rispettivamente “Stradeverti et Gisempergi iugalis qui sumus de Neviano” e “Ragimperga coniunge Petroni de ipso vico Neviano”.

b) casale

Il termine casale439 nelle fonti piacentine fin dall’età longobarda assume il significato di “territorio di pertinenza di un insediamento”440. Così, in una vendita del 737, un piccolo appezzamento di terreno era ubicato in casale Varsio441. La prima impressione è quella che i

433 CASTAGNETTI 1982, pp. 69-72 e 278-280; SETTIA 1984, p. 255; GINATEMPO-GIORGI 1996, p. 7; FRANCOVICH 2004, p. XX:

434 ChLa_XXVII_822, anno 753. 435 ChLa2_LXVIII_20, anno 832. 436 ChLa2_LXX_09, anno 883.

437 FUMAGALLI 1978b, p. 136. Ne sono testimonianza i numerosi nuclei abitativi localizzati nella fascia di pianura a Sud di Piacenza, nel cui toponimo compare stabilmente il vocabolo vico, tra cui Vico Ussoni, Vico Iustini, Vico Canino, Vico Probati, Vico Corvoli, Vico Tacuni, Vico Cotoria, Vico Cerroni, Vico Erpesi, Vico Savori. 438 ChLa2_LXV_33, anno 881.

439 Il significato del vocabolo casale ha attirato l’attenzione di numerosi studiosi che hanno tentato di ricostruire l’origine ed i caratteri della sua realtà nel corso dell’altomedioevo, cogliendo un nesso con un’organizzazione di villaggio legata allo sfruttamento degli spazi incolti (ANDREOLLI 1989, pp. 362-363); in area bizantina ad iniziative di colonizzazione e dissodamento (ANDREOLLI 1989, p. 366; CASTAGNETTI 1982, pp. 225-247). In particolar modo secondo Vito Fumagalli i casalia del IX secolo devono essere intesi come complessi fondiari di dimensioni e importanza inferiori alle curtes, che si presentavano come gruppi di poderi accentrati privi di dominico, proiettati alla coltivazione dei boschi (FUMAGALLI 1976, pp. 25-60; cfr. in tal senso anche PETRACCO SICARDI 1980, p. 363). Diversamente, in Sabina il casale è visto come un villaggio, originariamente semplice unità agraria di nuovo impianto sviluppatasi in un insediamento rurale di una certa qual consistenza che poteva divenire spesso un'azienda agricola autonoma (TOUBERT 1973, p. 202 e p. 328; ID.1995, pp. 65-67; MIGLIARIO 1988, p. 56). Infine, è stato addirittura ipotizzato che i casali si fossero formati in corrispondenza a “gualdi” pubblici, cioè territori incolti di proprietà del fisco regio (CATARSI 2004, p. 215). 440 A tal proposito cfr. l’accenno in PETRACCO SICARDI 1969, p. 381.

441 ChLa_XXVII_820, anno 737. Esempio analogo lo si individua in ChLa_XXVII_826, anno 770: si tratta di una permuta in cui Artemione e i nipoti danno ad Audeperto del terreno con la formula “terrola in casale que dicitur Lacore, locas montanas, prope Cene, tam terra aperta seo selva vel omnia quantum inivi suprascripta locas havere visi sumus, tam campis, pratis, pascuis, rivis, rupinis seo usum aquarum vel omnia ut supra diximus”.

beni fossero ubicati all’interno del centro. Tuttavia una precisazione del notaio lascia trasparire una situazione differente. lI terreno era, infatti, posto tra un lago ed una via pubblica, segno di come il casale di Varsi fosse da intendere non tanto o non solo come un preciso centro demico, ma piuttosto come un più vasto territorio di appartenenza.

Un livello dell’887 ha per oggetto diverse proprietà che sono ubicate “in casale Neviano, Lucaniano, Mocomeria, Aminiano et ad ipsis casalis pertinentes”442. Anche in questo caso sembra essere abbastanza chiaro l’uso che si fa di casalis, nel senso di territori appartenenti ai villaggi di Neviano, Lucaniano, Mocomeria, Aminiano.

In un unico caso il termine casale assume la valenza di “azienda contadina”, in un contratto di livello del 784 in cui si concede “excolendum massarico nomine casale posito in fundo Casallagnelani”443.

c) loco et fundo, vico et fundo, fundus casale, vico et loco

Le espressioni loco et fundo, vico et fundo, vico et loco, fundus casale, sono probabilmente da intendersi come sinonimi444 e sono utilizzati come il termine casale per indicare il territorio di pertinenza di un insediamento445.

d) fundus

Il termine singolo fundus è poco attestato nel Piacentino446, dove denota talvolta il territorio appartenente ad un centro demico, talvolta delle mere partizioni della proprietà agraria. Per il primo caso si veda l’esempio relativo ad una donazione di alcuni beni posti “in fundo Caput Ursi, ubi Ocucio dicitur”447, ossia nel territorio di Caorso, più precisamente nella località denominata Ocucio.

e) locus

Il termine locus è polisemico448, tanto da venire usato sia come sinonimo di vicus, sia all’interno di sequenze ubicatorie per indicare elementi di microtoponomastica e unità socio-insediative minime449.

442 ChLa2_LXVI_16, anno 887. 443 ChLa_XXVII_828, anno 784.

444 Aldo Angelo Settia aveva dimostrato che il centro abitato, sin dalla fine del secolo IX, viene designato indifferentemente con gli appellativi di villa, vicus, locus, cui si aggiunge et fundus se si intende anche il territorio dipendente (Settia 1984, pp. 258).

445 Alcuni esempi: nel 758 Gunderada vende la sua porzione di terra localizzata “in fundo casalis Furtiniaco et in Macomeria de quantumme in ipsus casalis havere videntur” (ChLa_XXVII_824); una vendita dell’888 ha per oggetto “pecia una de vites in fundo et loco Gudi” (ChLa2_LXX_26); nell’890 è oggetto del contratto di vendita una “casa massaritia illa cum rebus omnibus ad eam pertinentibus iuris nostris, qui abere et possidere videmur in vico et fundo Fareniano” (ChLa2_LXVI_23).

446 Il termine fundus da solo possedeva una valenza più ampia in altri territori della penisola. Andrea Castagnetti ha distinto il significato di fundus per il territorio di occupazione longobarda e per le zone bizantine: in quest’ultimo caso il fundus fa ancora riferimento all'azienda o alla piccola proprietà contadina. Per il Bolognese, invece, con questo termine si intende un’area liberata totalmente o parzialmente dal bosco, dai rovi, dalle acque stagnanti, che costituivano elementi peculiari del paesaggio rurale di età medievale (CASTAGNETTI 1982, pp. 343 e sgg.). Sempre per il Bolognese, secondo Alessandra Cianciosi il termine fundus nel X-XI secolo era associato agli spazi coltivabili all’interno dell’incolto ancora dominante e costituiva il punto di riferimento ubicatorio per le porzioni di terra oggetto dei contratti agrari. Per queste stesse caratteristiche i fundi non rappresentavano, quindi, una forma di organizzazione del territorio omogenea e sistematica, perché fortemente adattata alle condizioni ambientali; il numero cospicuo di fundi attestati dalle fonti e il fatto che spesso alcuni di essi presentassero un’unica attestazione, suggerisce che venissero abbandonati dopo un periodo più o meno lungo di sfruttamento (CIANCIOSI 2008, pp. 73-74).

447 ChLa2_LXIV_02, anno 818. 448 CAVANNA 1967, p. 422.

Circa la prima accezione si vedano i seguenti esempi: in una permuta del 791 compare “Theudoald, qui est avitatur in finibus Placentina, locus ubi dicitur Carpeneto” 450; in una vendita dell’890 sono attestati come testimoni “Adelberti de Pontenure”, “Eroardi Salicho de ipso loco testis” e “Dadelfredi de ipso loco testis”451.

Circa la seconda valenza del vocabolo locus si consideri una vendita di diverse peciae localizzate nel territorio di Niviano, di cui la prima è “posita in loco ubi ad Quercia dicitur” e la seconda è “posita in loco ubi ad Valli dicitur”452.

d) villa

Villa è un termine utilizzato genericamente per indicare un insediamento, sia nel senso di città453 che di abitato rurale454. Secondo Angelo Arturo Settia questo vocabolo si impose nei documenti privati dell’Italia settentrionale dai primi decenni del IX, soppiantando lentamente vicus455 e in effetti nel Piacentino villa ha la sua prima attestazione in un placito dell’879456.

Concludendo, nella documentazione scritta piacentina di VIII e IX secolo il centro abitato viene designato indifferentemente con gli appellativi di vicus, locus, villa, cui si aggiunge la locuzione et fundo quando si intende il territorio da esso dipendente457. A partire da queste indicazioni, è possibile proporre un'interpretazione delle caratteristiche degli insediamenti rurali piacentini e l’organizzazione delle relative comunità di villaggio.

450 ChLa_XXVII_830, anno 791. 451 ChLa2_LXVI_25a.

452 ChLa2_LXVI_11, anno 886.

453 Una vendita ha luogo in “villa Placentina” nell’897 (ChLa2_LXVII_04).

454 Un placito dell’884 si tiene “in villa nocupante Caput Ursi ad eclesia Sancti Miheli” (ChLa2_LXX_17). 455 SETTIA 1984, p. 324.

456 MANARESI, I, n. 87: il documento ci è giunto in una copia tarda. Tuttavia, la prima attestazione di villa in un documento che ci è giunto in originale risale all’880 (FALCONI, Le carte, n. 42).

2.GEOGRAFIA DEGLI INSEDIAMENTI RURALI

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