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I L MONASTERO DI B OBBIO E LE STRUTTURE DEL R EGNO I) L A POTESTAS S ANCTI C OLUMBAN

II) I L SISTEMA DELLE CHIESE E DELLE PIEVI DI B OBBIO

4. I L MONASTERO DI B OBBIO E LE STRUTTURE DEL R EGNO I) L A POTESTAS S ANCTI C OLUMBAN

Rispetto al dibattito circa l’appartenenza o meno del cenobio di Bobbio alla diocesi di Piacenza, il problema del rapporto tra il monastero e la distrettuazione pubblica ha attirato meno l’attenzione degli studiosi: su quest’ultima questione, infatti, i dati documentari sono ancora più di difficile interpretazione, tanto che secondo alcuni sarebbe vano cercare di situare all’interno di distretti e circoscrizioni pubbliche l’area dell’Appennino prossima a Bobbio393.

Sono fondamentali le ricerche condotte tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta da Vito Fumagalli, che si è occupato in modo complessivo delle strutture periferiche dell’ordinamento pubblico nell’Emilia occidentale, entro il più ampio dibattito sull’organizzazione del regno in età carolingia394. Lo studioso ha preso in considerazione anche la zona dell’Appennino bobbiese, individuando sulla base di un placito dell’anno 747395 un gastaldato indicato come iudiciaria Medianenses, con centro nell’attuale Mezzano Scotti, nella val Trebbia, poco a Nord di Bobbio. Inoltre, egli ha ipotizzato che in età carolingia tale distretto fosse stato assorbito nel distretto dei fines Placentina396. Paola Galetti ha riesaminato la questione, potendo anche disporre di una nuova edizione del placito del 747397 e del testo, prima sconosciuto, di un placito dell’847 riguardante il monastero di San Colombano398. La studiosa da un lato ha messo in discussione l’esistenza di un vero e proprio distretto pubblico nell’Appennino bobbiese in età longobarda399, dall’altro ha convalidato l’ipotesi di Fumagalli che in epoca carolingia il territorio facente capo a Mezzano fosse confluito nell'area di influenza del conte di Piacenza400; in tal senso si sono anche espressi Pierre Racine401 e Pierpaolo Bonacini402.

Alla luce della recente pubblicazione nella collana delle Chartae Latinae Antiquires dei documenti di IX secoli dell’Archivio di Stato di Torino relativi al monastero di San Colombano, è stato possibile riesaminare l’intera questione del rapporto tra Bobbio e le strutture del regno403. Elemento chiave per la discussione di questo tema è il diploma di Ludovico II dell’anno 860 che, per dirimere una contesa tra il conte piacentino Wifredo e il cenobio di Bobbio, definì in modo puntuale i confini del monte qui appellatur Carice404. Il confine venne descritto in maniera piuttosto precisa, in modo analogo a quello della zona di Gambaro e Turrio, oggetto del diploma di re Rachis del 747405:

393 PIAZZA 2001, p. 102.

394 Cfr. supra, Capitolo 1, Paragrafo 2.III.

395 CDSCB, I, XXIV, anno 747. Il re Rachis conferma al monastero di Bobbio il possesso dei territori dei “fines Medianenses” dopo che i messi regi Gumperti, Gaideris e Giselpert ne hanno ricercato i confini. Tali possessi, infatti, erano stati sottratti al cenobio al tempo del re Liutprando.

396 FUMAGALLI 1971, p. 913; ID. 1976, p. 66; a tal riguardo cfr. anche NASALLI ROCCA 1964-65, pp. 146-147. 397 Il documento dell’anno 747 è stato pubblicato sia dal Cipolla (CDSCB, I, XXIV) che nel Codice Diplomatico Longobardo (CDL III, n. 22).

398 VOLPINI, n. 3, anno 847.

399 Anche Giulia Petracco Sicardi nega l’esistenza di una iudiciaria Medianenses che avesse capo a Mezzano Scotti ipotizzando che il termine Medianensi che compare nella copia del diploma di Rachis del 747 (CDL III, n. 22) sia frutto di un fraintendimento compiuto dal trascrittore del documento, che la studiosa data al XI-XII secolo (PETRACCO SICARDI 1965, p. 9).

400 GALETTI 1994, pp. 82-83. 401 RACINE 1990, p. 187.

402 BONACINI 2001, p. 70 (in particolare cfr. nota 94). 403 Cfr. il volume ChLa2_LVII.

404 ChLa2_LVII_18, anno 860.

405 Si è conservata la copia di X secolo di un diploma di conferma emanato nel 747 dal re longobardo Rachis a favore del monastero di Bobbio riguardante alcuni territori sottratti all’abbazia al tempo di re Liutprando

“De monte etiam qui appellatur Carice [Calice di Bedonia, PR] unde contentio orta fuit inter partem Sancti Petri Sanctique Columbani et Uifridum comitem Placentinum decernimus ut per illos fines quos antiquitus memorati loci potestas optinuit, id est per serram qua descendit de monte Moiolasca [Monte Maggiorasca di Bedonia, PR] ubi terminus stat et inde in transversum per designata loca ad pedem et finem montis Tomaruli [Monte Tomarlo di Bedonia, PR] atque inde per summum montem inter duas vias, ex quarum una parte est possessio Sancti Petri Celle Auree, ex altera Sancti Columbani ubi etiam stat platanus in qua clavus est fixus et inde in transversum ad pedem montis Cudule [Monte Chiodo di Santo Stefano d’Aveto, GE] per rivum Modicum usque ad descensum fluminis Cene”.

Le indicazioni fornite qualificano puntualmente un’area di nodale rilevanza nelle comunicazioni della fascia appenninica occidentale, imperniate sul passo del monte Tomarlo, che consentiva l’accesso dalla val Ceno a quella dell’Aveto, corridoio per la Liguria. Si tratta di un documento molto interessante, che offre diversi spunti di riflessione sull’inserimento del monastero di Bobbio e del suo patrimonio all’interno delle circoscrizioni pubbliche del regno.

A tal proposito nel diploma si sottolinea che la contentio dell’860 sorse a causa di “illos fines quos antiquitus memorati loci potestas optinuit”, dove con potestas si indica il cenobio di San Colombano. Va notato che gli elementi geografici all’interno del testo vengono definiti terminus, designata loca, platanus in qua clavus est fixus, utilizzando una terminologia propria della confinazione pubblica406. Secondo la volontà dell’imperatore, tali “fines et termini antiqui” dovevano essere preservati (custodiantur) “inter potestatem Sancti Petri Sanctique Columbani et comitatum Placentinus”: si ha quindi il riconoscimento della coesistenza di due distinte entità politiche presso una precisa linea di confine, da un lato il comitato, rappresentato dal conte, e dall’altro il monastero di Bobbio. Da questi elementi si evince che la contesa sorta alla metà del IX secolo non riguardava la rivendicazione da parte di Wifredo della soggezione del cenobio di San Colombano, ma, al contrario, che aveva per oggetto la proprietà di beni posti sulla linea di separazione tra i territori di due enti che stavano sul medesimo piano giuridico. Il conte di Piacenza aveva allargato la propria sfera di influenza a discapito del cenobio di Bobbio, il quale aveva invocato l’intervento dell’imperatore per ristabilire i limiti antichi tra i due territori. Questa vicenda, in definitiva è più simile alla lite intercorsa tra i gastaldati longobardi di Parma e Piacenza per la demarcazione dei confini delle loro terre, piuttosto che alla controversia sorta tra il monastero di San Colombano e la diocesi di Piacenza per la questione delle decime.

Nel medesimo diploma Ludovico II prendeva sotto la propria protezione il monastero ed i suoi uomini concedendo il mundeburdio, facendo divieto a tutti i funzionari di entrare nei possedimenti presenti e futuri del cenobio per tenervi giudizio (“ad causas iudicario more audiendas”) o esigervi pubbliche contribuzioni (“freda vel teloneum exigendum”)407. Da questo diploma dell’860 emerge, quindi, che alla metà del IX secolo al comitato di Piacenza si affiancava un'area che faceva capo all’abbazia di San Colombano e che era dotata di una qualche valenza pubblica. Si trattava di una sorta di isola immunitaria, dove i poteri giurisdizionali del conte piacentino e dei suoi ufficiali erano sospesi e delegati ai

nella zona di Turrio/ Torrio di Ferriere e Gambaro/ Gambaro di Ferriere (CDL III, n. 22, anno 747). Anche se l’editore Carlo Cipolla sostenne l’autenticità dell’atto, pur ammettendo che avesse subito qualche ritocco, non sarebbe del tutto fuori luogo ipotizzare che tale diploma fosse stato prodotto in un momento successivo per suffragare le ragioni del monastero di San Colombano in una qualche disputa circa il territorio di sua pertinenza. Tale ipotesi è inoltre convalidata dalla presenza di alcune formule utilizzate nel diploma che sono un unicum per l’età longobarda, ma che compaiono in documenti imperiali della fine del IX secolo di cui si conservano alcuni esemplari autentici.

406 LAGAZZI 1991, pp. 22-24. 407 ChLa2_LVII_18, anno 860.

funzionari del monastero di San Colombano. Di fatto, questo territorio presentava delle caratteristiche affini a quelle di una “circoscrizione”, senza tuttavia essere mai menzionato dei documenti come fines. Dal precetto dell'860, infatti, ben si evince che l'abbazia di Bobbio era dotata della libertà di tenere giudizio nel proprio territorio e che non aveva l’obbligo di versare tributi (e pertanto di essere soggetta) al conte della città di Piacenza. Un passo in particolare rivela la volontà di Ludovico II di distinguere il territorio del comitato di Piacenza da quello che faceva capo al monastero (potestas) di Bobbio408:

“fines et termini antiqui inter potestatem Sancti Petri Sanctique Columbani et comitatum Placentinum custodiantur nullusque comitum aut ministrorum ipsius comitatus eos transgredi et immutare presumat”.

Alla luce di quanto fin qui è stato detto, possiamo quindi affermare che difficilmente un distretto rurale denominato iudiciaria Medianenses, sottoposto prima al cenobio di San Colombano ed in seguito alla città di Placentia, possa essere esistito in età longobarda nel territorio collinare e montuoso della val Trebbia409. A tal proposito va osservato come di fatto non vi sia un’affidabile prova documentaria della sua presenza. La stessa menzione di tali fines riportata in un unico atto risulta un’interpretazione dell’editore, che interpolò una parte di testo illeggibile anteponendo i vocaboli iudiciaria e fines all’aggettivo Medianense410. Per tali ragioni è invece verosimile ipotizzare che in età longobarda quel territorio, che la storiografia aveva ricondotto alla iudiciaria Medianenses, rientrasse nell’orbita del cenobio di San Colombano, anche se non si è conservata traccia nei documenti di un riconoscimento ufficiale da parte regia.

408 IBID.

409 Di diverso parere BONACINI 2001, pp. 69-71: secondo Pierpaolo Bonacini la presenza di scavinis comitatu Placentino accanto a notai piacentini al placito di Barberino sembra comprovare l’avvenuto assorbimento della fascia montana occidentale entro i fines Placentini (VOLPINI, n. 3, anno 847). In risposta a tale asserzione, facciamo osservare che il documento del placito dell’847 ci è giunto in una trascrizione settecentesca che potrebbe sì riprendere un documento originale, ma che è stato in più parti interpolato: a tal proposito, infatti, l’esplicita e anomala menzione al comitatu Placentino all’interno del testo richiama i documenti prodotti dal Comune di Piacenza per rispondere alla serie di falsi creati dai copisti del monastero di Bobbio per scongiurare l’assoggettamento dei consoli e degli uomini di Bobbio al Comune di Piacenza del 1173 (Cfr. CDSCB, I,n. XL, anno 846; CDSCB, I,n. LXVII, anno 883; CDSCB, I,n. LXXXIX, anno 940; CDSCB, I,n. XCV, anno 972; CDSCB, I,n. CVI, anno 999).

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