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I POSSEDIMENTI DEL MONASTERO DI B OBBIO I) I BENI DEL MONASTERO DI B OBBIO

Dal momento che non si sono conservati documenti privati relativi a transizioni economiche effettuate dal cenobio di Bobbio, solo due tipi di fonti permettono di conoscere la struttura patrimoniale del monastero: i quattro polittici e i diplomi regi con cui imperatori e re d’Italia accordarono al cenobio la loro protezione.

Dopo la prima concessione da parte di re Agilulfo al monaco Colombano della basilica di San Pietro e del territorio circostante325, nell’anno 624 il re Adaloaldo affidò al cenobio, su preghiera della regina Teodolinda, la alpecella Penice, la cui assegnazione venne rinnovata due anni dopo326. La zona del monte Penice era cruciale dal punto di vista della viabilità, dato che da lì partivano diverse strade che raggiungevano le regioni transalpine.

A poco a poco si aggiunsero altre donazioni, che diedero il via allo sviluppo patrimoniale e economico del monastero, in cui sono riconoscibili due direttrici nuove, verso Nord e verso il Mar Ligure327. Re Liutprando, infatti, dotò il cenobio dei beni posti nell’area del lago di Garda e sul fiume Mincio328, mentre il re Rachis nel 747 confermò il controllo monastico su una zona che comprendeva al suo interno i territori di Turrio, Monte Calvo e Gambaro329. Tali possedimenti erano localizzati nella porzione dell’Appennino piacentino che si estendeva ad Ovest del fiume Nure e che era stata cruciale all’epoca del controllo bizantino della Liguria, dato che occupava una fascia di frontiera; tale territorio mantenne un’importanza strategica come corridoio di collegamento verso il mare, anche dopo la cacciata dei Bizantini.

Successivamente, nel 774, Carlo Magno donò al monastero di Bobbio la selva di Montelongo e l’Alpe Adra, nella zona di Sestri Levante, tra Liguria e Toscana330, confermando la strategia attuata dal cenobio per attestarsi in zone che permettevano il collegamento col mare, dato che quest’area era interessata dal passaggio di due percorsi principali, uno che congiungeva Sestri Levante con Piacenza e Parma, l’altro identificabile con l’attuale strada che da Casarza Ligure si dirige al passo del Bracco e da qui in Lunigiana331. Quella di Carlo Magno fu l’ultima donazione regia al monastero e, pur non essendocene traccia, è altamente innegabile che nel corso dell’VIII e del IX secolo il cenobio dovesse aver condotto un’attenta politica patrimoniale volta all’acquisizione di ampie porzioni di territorio. Le successive menzioni dei beni appartenenti al monastero, infatti, le ricaviamo dai tre polittici risalenti all’862, all’883 e attorno all’890332, che ci dimostrano come i beni del cenobio di San Colombano fossero dislocati ben oltre i confini appena illustrati. Il vastissimo patrimonio bobbiese si estendeva su aree geograficamente anche molto distanti, con caratteristiche differenti, soprattutto a livello di vocazione produttiva e nel Piacentino, oltre

324 Sul patrimonio del monastero in età altomedievale cfr. PETRACCO SICARDI 1973; CRINITI 1991, pp. 234- 236 con richiamo alla storiografia precedente; Piazza 1997, pp. 8-12; DESTEFANIS 2002b, pp. 66-90; EAD. 2008, pp. 7-9; LAURENT 2008-09.

325 Documento in copia ChLa2_LVII_10a, anno 613: si tratta di un documento la cui decifrazione è molto contrastata, dal momento che è stato fortemente interpolato nel corso del X secolo.

326 ChLa2_LVII_10b, anno 624 e ChLa2_LVII_11, anno 626. Le medesime concessioni sono ribadite anche dai successivi re longobardi, tra cui Rodoaldo (ChLa2_LVII_12).

327 DESTEFANIS 2002b, pp .66 e sgg.

328 CDSCB, I,n. LX. Non si sono conservato altri documenti precedenti alla metà dell’VIII secolo.

329 Rispettivamente Torrio di Ferriere, Montecarevolo di Ferriere e Gambaro di Ferriere ( CDL III, n. 22, anno 747).

330 CDSCB, I, XXVII, anno 774. 331 DESTEFANIS 2002b, pp. 69-71.

332 ChLa2_LVII_19, anno 862; ChLa2_LVII_21, anno 883; seguono il terzo inventario datato all’anno 890 e il quarto, che dovrebbe risalire al X-XI secolo (INVENTARIALTOMEDIEVALI, VIII, 4).

che nella val Trebbia, era localizzato nelle valli dei fiumi Ceno e Taro (ad Est), Staffora e Coppa (ad Ovest), Tidone, Tidoncello e Nure (a Nord). L'accrescimento del patrimonio bobbiese ebbe diverse provenienze: da un lato divennero sempre più numerose le donazioni di privati333, dall’altro vi furono casi di piccoli proprietari che, spinti dalla carestia e dalla miseria, cedevano le proprie terre al monastero334.

Tornando ai polittici, in tutti e tre i documenti del IX secolo la descrizione dei beni prendeva avvio dalle terre poste direttamente sotto al controllo del monastero di Bobbio, seguivano poi quelle dette infra valle, collocate in val Trebbia, quelle al di fuori di questa valle, dette de cellis exterioribus, le aziende che dipendevano dagli xenodochia ed infine quelle relative a pievi rurali.

In questa sede ci occuperemo in particolare dei possedimenti localizzati nel territorio piacentino, tentando di illustrare le differenti strategie di affermazione sul territorio attuate dal monastero335.

Dai polittici emerge che il monastero di Bobbio poteva contare sulla presenza di alcuni beni dislocati in val Taro nelle località di Turris e Saloniano336, ben collegati alle celle liguri di

Carelio e di Comorga337. Questi possedimenti occupavano una posizione chiave, in quanto inseriti in una fitta rete di percorsi che li metteva in comunicazione sia con la pianura padana, sia con il mare338.

Nella valle del Ceno sono attestate proprietà del cenobio di Bobbio già a partire da un diploma regi dell’860339. Si tratta di beni posti nel territorio tra il Monte Moiolasca, il Monte

Tomaruli ed il Monte Cudule340. Oltre a ciò, dagli inventari emerge che il monastero presentava altri possedimenti nelle località di Bocolo341, Variaco342, Bardi, Fao343, Carice e Serra344. In particolare, la località di Carice, ove il monastero possedeva la “cella in honore Sancti Apollinari”345, era di importanza strategica, in quanto si trovava alla confluenza della valle del Ceno con quella del fiume Aveto, che fu al centro di una contesa con il conte di Piacenza346.

Nel corso del IX secolo il monastero di Bobbio, tuttavia, dovette moderare le sue spinte espansionistiche in questa zona, dato che, quest'ultima, per il suo valore strategico, aveva

333 Cfr. a riguardo il diploma emanato da Ludovico II dell’860 (ChLa2_LVII_18). 334 POLONIO 1962, p. 55.

335 Rispetto alle identificazioni dei toponimi proposte nel più recente studio che si è occupato di questo territorio (che è Destefanis 2002b) sono stati differentemente interpretati: Canianum come Cascina Cagnano (Varzi, PC); Casa Nova come Casa Nova (Pianello Val Tidone); Casellis come Caselle (Pecorara); Montelongo come Montelongo (Ruino, PV); Rivarioli come Rivarolo (Val di Nizza, PV); Salse come Salsominore (Ferriere); Venni come Cascina Avegni (Bobbio).

336 Rispettivamente Borgo Val di Taro e Solignano, ora entrambe in provincia di Parma.

337 Rispettivamente Caregli di Borzonasca e Gomorga di Rivarola di Carasco, entrambe in provincia di Genova.

338 Cfr. supra, Capitolo 1, Paragrafo 1.II. In particolare, nella zona di Carasco la confluenza dei torrenti Lavagna e Sturla assicurava un ampio ventaglio di possibilità di percorsi transappenninici, attraverso: 1) la val Fontanabuona – Passi della Scoffera/Ventarola – val Trebbia/val d’Aveto; b) la valle Sturla - Passi della Forcella, del Bozale, delle Rocche, della Spingarda, dell’Incisa, del Ghiffi, del Bocco – Val d’Aveto/Val di Taro; c) la val Graveglia – Passo della Camilla – val di Vara/Val Taro. Per un quadro dettagliato della viabilità della zona in età storica, cfr. BENENTE 2000.

339 ChLa2_LVII_18, anno 860.

340 Rispettivamente Monte Maggiorasca, Monte Tomarlo, Monte Chiodo, tutti ora in comune di Bedonia, PR.

341 Boccolo dei Tassi, Bardi, ora PR. 342 Varano de’Melegari, ora PR. 343 Faggio di Bardi, ora PR.

344 Rispettivamente Calice di Bedonia e Selvola di Bedonia, entrambe ora in provincia di Parma.

345 Attestata in: ChLa2_LVII_19 (polittico dell’862); ChLa2_LVII_21 (polittico dell’883); INVENTARI ALTOMEDIEVALI, VIII, 4 (quarto polittico).

attirato l’attenzione di altri potenti enti ecclesiastici, primo tra tutti la chiesa cattedrale di Piacenza, che aveva una curtis nella località di Bethonia347 e poteva contare sui possedimenti della pieve di Varsi, che dalla seconda metà del secolo era sotto alla protezione vescovile348. In val Ceno, inoltre, erano radicati l’abbazia di Nonantola, che possedeva beni nei pressi di Bardi349, la chiesa di San Pietro in Cielo d’Oro di Pavia, il monastero di San Salvatore di Tolla, oltre a quello di Gravaco.

L’alta val Nure era quasi interamente sotto all’influenza del cenobio e a Nord-Ovest del monte Penice si apriva una vasta area montuosa, compresa tra le valli del Tidone e dello Staffora, dove la presenza bobbiese si registra almeno dal IX secolo. E’, inoltre, possibile individuare una sorta di distretto che, lungo i suoi margini, toccava le zone dell’alta valle del Tidone e del Tidoncello, incorporava Montelongo di Ruino e Memoriola350, buona parte della Val di Nizza e raggiungeva quindi la valle dello Staffora, in corrispondenza di San Pietro di Casasco351. Il limite dei possessi bobbiesi si spingeva quindi nella fascia montuosa tra i fiumi Staffora e Trebbia, fino alla zona di Ponte Organasco, dove, proprio seguendo il corso del Trebbia, si portava verso Est, a comprendere i territori di Rossi e di Caulo352, dove i beni del patrimonio di Bobbio si interfacciavano con aree di preminenza patrimoniale del vescovo piacentino.

Una questione piuttosto complessa a cui è necessario fare un accenno353 è quella relativa alla divisio che subì il patrimonio del monastero di Bobbio nel corso della seconda metà del secolo IX: il preceptum divisionis non si è conservato, ma ci è noto grazie alla menzione che ne fanno diversi documenti. Il primo riferimento alla divisio compare in un diploma di Ludovico II dell’anno 865 da cui si evince che la divisione del patrimonio del monastero avvenne per volere dello stesso imperatore e che dovette essere temporanea354:

“Quia pro summa rei necessitate pacisque tranquillitate quandam divisionem de rebus iam fati coenebii ad oram fieri permisimus, iubemus atque omnimodis statuimus, ut de illa parte, quam in usus monachorum delegavimus, interim, dum domino opitulante ad pristinum revocetur statum, nullus iudex publicus, nullus missus, (....) violentiam vel inquietudinem iniuste inferre presumat”.

Un successivo riferimento si ha nel polittico dell’anno 883355:

“quod fecimus propter necessitatem de nostra silva post quam preceptum divisionis factum est”.

così che possiamo apprendere che tale frazionamento venne effettuato tra l’862, quando venne redatto il primo inventario dei beni, e l’865.

Non è chiaro quali ragioni spinsero l’imperatore ad una simile iniziativa, ma l’attuazione della divisio sarebbe da attribuirsi ad un'esigenza concreta, improvvisamente apparsa, sintetizzata nella frase oscura “pro summa rei publicae necessitate pacisque tranquillitate”. Tale intervento di fatto costituì una pesante interferenza nella politica del cenobio

347 ChLa2_LXXI_33.

348 Cfr. infra, pp. Capitolo 5, Paragrafo 4.I. 349 Cfr. infra, Capitolo 6, Paragrafo 4. 350 Borgoratto Mormorolo, PV. 351 Casasco di Menconico, PV. 352 Coli, PC.

353 Per un inquadramento della questione della divisio cfr: Carlo Cipolla in CDSCB, I, pp. 187 e sgg; MOR 1953, pp. 80 e sg; POLONIO 1962, pp. 59-62; BERGAMASCHI 1971, pp. 31-36; NOBILI 1980, pp. 303-304; PIAZZA 1997, p, 24, nota 46; RICHTER 2008, pp. 104-110.

354 LUDOVICI IIDIPLOMATA, doc. 42, anno 865. E' di diverso parere Mario Nobili che suggerisce invece che la divisio fosse precedente al Breve di Wala (NOBILI 1980, p. 91).

piacentino ed alcuni studiosi hanno suggerito che da quel momento in poi il monastero e i suoi possessi vennero considerati dai sovrani alla strega di un feudo imperiale356. Diversamente, si è ipotizzato che la divisio dipese da una condizione di ‘monastero regio’ di Bobbio, che fin dall’origine era stato dotato di beni di cui era stato concesso in perpetuo esclusivamente il mero uso, ma la cui reale proprietà restava della corona. Secondo tale prospettiva, con tale frazionamento vennero distinti i beni che il monastero aveva ottenuto tramite contratti privati da quelli di provenienza fiscale357.

Tale divisio perdurò ben oltre la fine del IX secolo e venne menzionata nei diplomi di Carlomanno dell’877, di Berengario I dell’888, di Guido nell’893, di Berengario I nel 903358. Un’ultima conferma si ebbe in un placito del 915, che vide coinvolti il monastero e Radaldo marchio per la proprietà della corte di Barbada359: Radaldo pretendeva il possesso della corte che aveva avuto “de parte regia in beneficio”, ma alla fine questa venne riconsegnata al cenobio di San Colombano.

356 POLONIO 1962, p. 59. 357 MOR 1953, pp. 80-82.

358 CDSCB, I,n. LXVI, anno 877; CDSCB, I,n. LXIX, anno 888; ChLa2_LVII_22, anno 893; CDSCB, I,n. LXXXI, anno 903

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