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cora oggi il sogno delle fa- miglie e dei singoli, per cui sono disposti a investire tutti i risparmi di una vita? E per quante famiglie la proprietà della casa da sogno sta di- ventando chimera?

Lo studio ha un’impron- ta pragmatica: proporre ri- flessioni attuali, che possa- no orientare subito, mentre le cose accadono, le strate- gie di intervento delle istitu- zioni pubbliche e dei diversi operatori del mercato im- mobiliare in modo da dare risposte coerenti con i cam- biamenti strutturali e valoriali della società italiana.

Il testo è tripartito. Il pri- mo capitolo è una sintetica

CASA DI

PROPRIETÀ:

SOGNO, CHIMERA

O INCUBO?

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 12 gennaio 2018.

Dello stesso autore, v. anche: Politiche per la casa:

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mutui da parte delle famiglie e alle procedure dei pigno- ramenti. Un’assenza che insospettisce e preoccupa visto che in un solo anno, tra il 2015 e il 2016, sono state approvate due norme relative a questo tema, evi- dentemente non così margi- nale. Con due decreti legge sono stati velocizzati i tempi di liberazione degli immobili, affidata direttamente ai Cu- stodi Giudiziari e sono state rese più semplici e veloci le aste giudiziarie. E per rende- re la vendita degli immobili all’asta ancora più vantag- giosa l’imposta di registro del 9% è stata sostituita con una tassa fissa di 200 euro per le imprese che rivendo- no l’immobile entro cinque anni e per i privati che acqui- stano l’immobile come pri- ma casa. Misure deliberate per favorire le compravendi- te e il mercato, far rientrare il più possibile dei crediti le banche, ma che nella realtà lasciano per strada più ve- locemente e senza tutele le famiglie debitrici.

In continuo e inesorabile aumento sono infatti le fami- glie per cui la casa da sogno è diventata incubo. Sono le famiglie che non riescono a pagare più le rate del mu- tuo, a cui la banca ha pigno-

rato la casa, e che, in molti casi, si ritrovano per strada prima ancora che l’immobile sia venduto, ancora teori- camente proprietari; sono le famiglie a cui i condomi- ni staccano riscaldamento e acqua anche in presenza di minori, invalidi e anziani su ordine dei Tribunali; sono le famiglie oppresse dai de- creti ingiuntivi ottenuti delle banche per rientrare del- la quota di mutuo residua non coperta dalla vendita dell’immobile. Sono le fami- glie dei senza casa, coloro che stanno subendo uno sfratto o sono già per stra- da; sono coloro che a fatica riescono ancora a rimanere sul mercato delle locazioni, a costo di grandissimi sacri- fici e rinunciando a un vivere dignitoso.

Nel 2016 sono stati ese- guiti più di 35 mila sfratti e sono stati emessi 61mila nuovi provvedimenti (il 90% per morosità dell’inquili- no), sono state pignorate 13.000 abitazioni di resi- denza e sono state pre- sentate 647mila richieste di assegnazione di un alloggio popolare, mentre continua a diminuire il numero di alloggi di edilizia popolare disponi- bili a causa dei piani vendita e a crescere quello degli al-

loggi sfitti e non assegnati. Secondo i dati Istat il 72% delle famiglie italiane vive in proprietà e, tra queste, il 18% si sta facendo carico di un mutuo (con una rata media di 586 euro mensi- le). Contemporaneamente però risulterebbero più di 7 milioni di immobili vuoti, non occupati, il 22,7% del totale. Dagli inizi degli anni duemila risulta diminuito il numero di famiglie proprietarie del pro- prio alloggio di residenza, mentre risulta in constante aumento la percentuale del- le famiglie che dipendono da un mutuo; sono aumen- tate le persone che vivono in baracche, roulotte, cantine o soluzioni provvisorie e di fortuna (+131,8% dal 2001), così come sono cresciute le coabitazioni (+194,8%); sono in progressiva cresci- ta gli sfratti per morosità, i pignoramenti, così come continua a crescere l’inci- denza dell’affitto e della rata del mutuo sui redditi delle famiglie.

Sono dati che da soli restituiscono un quadro drammatico, articolato e complesso, attraversato da dinamiche contradditorie, poco raccontato e studiato, ma che richiede un drastico e radicale cambio di rotta, miare delle famiglie, ma ne

stanno forse condizionan- do i comportamenti, sia a livello di progettualità di vita, vincolata sempre più al

background d’appartenen-

za, che a livello valoriale e simbolico, delineando una diversa relazione rispetto al passato tra proprietà della casa, investimento e realiz- zazione sociale. La prospet- tiva di ricognizione statistica della ricerca, pur limitando l’approfondimento delle connessioni che i fenome- ni descritti intrecciano con le politiche abitative, riesce comunque a far emerge- re alcune contraddizioni strutturali, che meritereb- bero maggior attenzione nel dibattito pubblico, più propenso a ridurre il tema dell’abitare solo al binomio casa=bene di investimento. In questo senso può esse- re utile considerare quanto emerge dall’ultimo rapporto sul mercato immobiliare a cura dell’Osservatorio Mer- cato Immobiliare e Servizi in collaborazione con Abi (As- sociazione Banche Italiane), in cui viene delineato uno scenario della questione abitativa ben più tradiziona- le e ottimista, se paragonato a quanto descritto da Nomi- sma: l’indagine è incentrata

sull’aumento delle compra- vendite in Italia nel 2016 (+18,9% rispetto all’anno precedente), dato che fa sperare analisti e tecnici del settore nell’inizio di un nuo- vo ciclo economico. Una congiuntura economica mi- gliore collegata a un clima di fiducia, il più facile accesso al credito (tassi bassi, mutui facili), prezzi degli immo- bili buoni e riduzione delle performance dell’azionario, sono i fattori individuati per spiegare il trend positivo, che parte già dal 2014. In crescita risultano soprattut- to essere le case acquistate tramite mutuo (il 27,3% in più rispetto al 2015), il 50% delle transazioni complessi- ve. A completare il quadro, nelle conclusioni del rap- porto affidate ad ABI, viene prospettato l’allargamento del numero di famiglie che potrebbero accedere al mercato dei mutui ipotecari, in Italia la principale forma di indebitamento. La proiezio- ne è ricondotta alla riduzio- ne dei costi dei finanziamen- ti e per una minima parte al miglioramento del rapporto tra prezzi delle case e reddi- ti. Sintomatico è che in tut- to il rapporto nessun dato venga fornito relativamente agli indici di insolvenza dei

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dei procedimenti di pigno- ramento. In un contesto già di mercato libero dei cano- ni di locazione non è stato predisposto alcun vincolo capace di avvicinare i prezzi degli affitti alle reali capacità economiche delle famiglie, chiudendo gli occhi di fronte all’immane patrimonio im- mobiliare vuoto e inutilizzato presente su tutto il territorio e alla sofferenza di migliaia di famiglie. In questo modo in Italia l’affitto continua a non rappresentare un’alternativa più vantaggiosa all’acquisto, come accade in altri paesi europei, dove le percentuali di famiglie residenti in alloggi di proprietà sono conside- revolmente più basse. Resi- duali sono ad oggi le agevo- lazioni fiscali per i conduttori, azzerati i finanziamenti per il Fondo Sostegno Affitto e in continua diminuzione l’offer- ta dell’edilizia pubblica e cioè quel segmento di intervento destinato alle classi sociali più povere escluse dal mer- cato, lasciate così al loro de- stino. Gli incentivi fiscali per i locatori (es. cedolare sec- ca) e il tentativo di promuo- vere il canone concordato attraverso regimi fiscali più favorevoli per la proprietà e la revisione degli accordi lo- cali dei canoni al rialzo non

porteranno maggiori tutele, garanzie e possibilità alle fa- miglie che si devono rivolge- re al mercato degli affitti per trovare una casa dove vive- re, visto che in questo modo continuerà ad essere troppo onerosa l’incidenza dell’affit- to sul reddito.

Il superamento definitivo del modello dell’intervento pubblico diretto, sancito at- traverso l’introduzione del sistema dell’housing sociale e dei fondi immobiliari con il piano casa Berlusconi e portato a un maggiore com- pimento negli obiettivi da quello Renzi-Lupi nel 2014, anche a causa di una man- canza di visione strategica chiara, completa il quadro dell’inefficacia delle politiche abitative pubbliche, incapaci di rispondere ai bisogni abi- tativi delle famiglie.

Il processo di ristruttu- razione del sistema in corso sembra quindi essere diretto a ridurre le politiche pub- bliche per il diritto alla casa a interventi volti a favorire l’accesso al credito delle fa- miglie, contribuendo alla dif- fusione dell’indebitamento, sempre più condizione irri- ducibile e quindi “normale” per la soddisfazione anche dei bisogni primari (casa, salute, istruzione), secondo

una logica di finanziarizza- zione del welfare. E a rico- noscere il mercato come l’unico ambito di soddisfa- zione del bisogno di casa, lasciando al pubblico il solo compito di facilitatore dell’in- vestimento privato.

Da diritto e bene comu- ne la casa è diventa merce, soggetta alle fluttuazioni e alle regole del mercato. E a subire gli effetti di tale impo- stazione sono le famiglie più povere e vulnerabili che, in numero sempre maggiore, rimangono escluse, prive di ogni forma di tutela, ai mar- gini della società italiana.  perché, come rilevato anche

dalla ricerca di Nomisma, se proprietà e indebitamento continueranno ad essere i miti che guidano i compor- tamenti delle famiglie italia- ne e il modo attraverso cui anche le istituzioni pubbli- che ritengono debba essere soddisfatto il primario e fon- damentale bisogno di casa dei cittadini, non potremo che assistere a un peggiora- mento esponenziale della si- tuazione generale, come già accaduto in altri paesi, come per esempio la Spagna.

Rimane radicata e pro- fonda nel nostro Paese l’ideologia della casa in pro- prietà: investimento sicuro,

status symbol, rito di entrata

nel mondo degli adulti per i giovani, fondamento del progetto familiare. Le posi- zioni dei vari schieramen- ti politici sulla casa hanno contribuito a determinare in questi anni vittorie o scon- fitte elettorali e la cancella- zione della tassa sulla prima casa è ciclicamente uno dei modi attraverso cui viene ri- compattato il consenso. Da ultimo, nel 2013 la cancel- lazione dell’IMU, un provve- dimento che a fronte di un risparmio di poche centinaia di euro annue a famiglia, ha comportato una consistente

riduzione delle risorse da de- stinare alla spesa per le poli- tiche sociali. Con la legge di stabilità nel 2016 l’esenzione è stata poi estesa anche agli immobili di nuova costru- zione rimasti invenduti - in questo caso più pragmati- camente con l’obiettivo evi- dente di evitare l’abbassa- mento dei prezzi.

Le politiche per la casa hanno in Italia da sempre consolidato questo “mito” e, anche a seguito dello scoppio della crisi econo- mica, i Governi che si sono succeduti hanno continua- to a orientare le risorse e le politiche pubbliche a favore della rendita immobiliare e del sostegno degli istituti di credito, attraverso gli investi- menti per la ripresa del ciclo delle costruzioni, promossa anche con strumenti fiscali e urbanistici, la spinta all’ac- quisto grazie ad agevolazioni fiscali, finanziamenti a fondo perduto come il Fondo di

garanzia per l’acquisto e la ristrutturazione della prima casa, le norme relative al re-

cupero del credito nei casi di insolvenza dei mutui e alla velocizzazione delle proce- dure di rilascio degli immo- bili, come la sospensione della proroga degli sfratti per finita locazione e la riforma

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quanto, a mio avviso, sia infondata la convinzione di alcuni che la nuova legge e il nuovo piano della Regione Toscana siano tecnicamen- te idonei a difendere il ter- ritorio più di quanto - ed è ben poco - non siano riusciti leggi e piani precedenti.

Il governo del territorio riconfigurato per la terza volta in vent’anni dalla Re- gione Toscana riproduce - e non risolve - l’incoerenza tra scopo primario dichiarato e dispositivo normativo. Una costante delle leggi urbani- stiche nazionali e successi- vamente regionali a iniziare dalla prima statale risalente al 1942. Ho già avuto modo nelle due occasioni legi- slative regionali precedenti di intervenire criticamente mettendo in luce e argo- mentando diffusamente tale incoerenza tecnica di fondo (1). Ciò che ogni volta varia è la narrazione con la quale lo scopo primario viene posto. Quello della Legge regionale 65/2014 - come già recita- vano le precedenti - consi- ste nella volontà di “garan- tire lo viluppo sostenibile rispetto alle trasformazioni territoriali da esse indotte”, così come - sulla scorta di direttive europee - “evitare nuovo consumo di suolo”.

La nuova Legge, detta an- che “Marson”, aspira inoltre a “salvaguardare e valoriz- zare il patrimonio territoria- le”. Patrimonio questo, che include il paesaggio, le cui norme statali di tutela sono raccolte nel Codice dei Beni Culturali e Paesaggistici. La narrazione con la quale tali fini sono posti è presente in modo diffuso nell’enorme quantità di testi e documenti grafici prodotti per la legge e per il piano, ed è ben ra- dunata nel volume sopra citato. Nel mio commento per Città Bene Comune ho focalizzato la mia riflessio- ne sul contributo di Alberto Magnaghi relativo alle co- siddette “invarianti struttura- li” che sostanziano il cosid- detto “Statuto del territorio”, strumenti già istituiti dalle due leggi regionali prece- denti. Questo per tre ordini di motivi. Il primo perché la “Utopia concreta” - come Magnaghi stesso la chia- ma - è la più rilevante novità narrativa: il territorio letto, interpretato e raccontato nei suoi cicli storici come “un si- stema vivente ad alta com- plessità”. Il secondo perché, se si tiene presente lo scopo primario, le invarianti struttu- rali e lo Statuto costituisco- no la parte più significativa e

insieme più problematica di legge e piano rispetto all’al- tra parte detta “strategica”. Il terzo perché la pluridecen- nale elaborazione teorica di Magnaghi trae motivo dalla consapevole volontà di fondare una “scienza del territorio” quale superamen- to radicale dell’urbanistica tradizionale. Tutti gli altri contributi tecnici e scientifici presenti nel volume hanno sì un ruolo rilevante, ma solo in quanto mezzi strettamen- te finalizzati alla costruzione di quella determinata legge e di quel determinato piano territoriale e paesaggistico. Ciascun apporto tecnico scientifico specialistico si avvale - com’è ovvio - del suo proprio autonomo fon- damento, che è altro da quello della scienza territo- riale che Magnaghi va ten- tando di costruire, istituzio- nalizzare nell’accademia e rendere operativa nella pra- tica della pianificazione.

Sono piuttosto rari nel campo dell’urbanistica e dell’architettura i tentativi di elaborare teorie fondanti la disciplina. Ancora più raro è assistere allo sviluppo di un dibattito scientifico in grado di confutare gli argomen- ti che stanno alla base dei pochi costrutti teorici fin qui