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LEGGERE LE CONNESSIONI PER

CAPIRE IL PIANETA

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 21 giugno 2018.

Dello stesso autore, v. anche: Il suolo come infra-

269 268 CITT À BENE COMUNE 2018 viaBorgog a3 | supplemento si ricompone di continuo a seconda delle interferenze (politiche, militari, ambien- tali), della densità di attrito e della variabilità dei fattori di costo. Per questo il futuro ci appare complesso e in- certo.

È evidente in Khanna la fiducia nel ruolo positivo dell’investimento infrastrut- turale, il riferimento costan- te è infatti Keines che ve- deva nei lavori pubblici lo strumento per il sostegno dell’occupazione e della domanda interna aggrega- ta. Dalla seconda guerra mondiale la formazione di capitale fisso è cresciuta vertiginosamente, pas- sando da meno del 20% a oltre il 30% del Pil mondia- le. “Oggi la Cina ha fatto di Keines il proprio verbo come nessun altro” (ibidem p. 41). Infrastrutture per connettere i territori interni e sostenere l’occupazione, ma sempre di più interventi per sviluppare una connet- tività globale. Attraverso le tante vie della seta la Cina sta ampliando le proprie reti in direzione dell’Europa che viene raggiunta via terra (i container possono arrivare da Pechino direttamente a Duisburg) e via mare con nuove postazioni portuali

nel Mediterraneo (il porto di Pireo costituisce in questo senso un vero avamposto). A differenza delle potenze coloniali del passato che occupavano militarmente i territori, la Cina di Xi Jinping estende la sua influenza mediante accordi per con- cessioni minerarie, forniture energetiche, connessioni infrastrutturali, insediamenti di nuove ZES, accessi alle risorse idriche. L’obiettivo è l’estensione e la continuità delle supply chain. Le reti infrastrutturali promosse dalla Cina avanzano in ogni direzione: dalla Siberia alla Mongolia, all’Asia meridio- nale, al Pakistan e Afgani- stan, al Medio Oriente. In Africa la presenza cinese è pervasiva: ha già finanziato un corridoio stradale dal Su- dan all’Etiopia, all’Uganda al Kenia, ma il progetto più ambizioso sarà la promozio- ne di una ferrovia dal Cairo a Città del Capo.

C’è una sorta di orgoglio quando Khanna elenca i dati del patrimonio infrastruttu- rale mondiale: “la nostra gri- glia d’infrastrutture oggi in- clude approssimativamente 64 milioni di chilometri d’au- tostrade, 2 milioni di chilo- metri di oleodotti e gasdotti, 1,2 milioni di chilometri di

ferrovie, 750.000 chilometri di cavi Internet sottomarini che collegano i tanti centri nevralgici, per popolazione ed economia [...]. Secondo alcune stime l’umanità co- struirà più infrastrutture nei prossimi quaranta anni che nei quattromila passati” (ibi- dem, p.43). La connettività avanza e i suoi effetti con- tribuiranno, secondo Khan- na, a migliorare la stabilità economica e sociale del mondo. Possiamo esserne certi? In realtà le contrad- dizioni non mancano. “Le supply chain sono anche lo strumento con cui i mercati violentano il mondo” (p. 63). La connettività avanza e con essa aumenta il saccheggio delle foreste dell’Amazzonia e dell’Africa centrale; cre- sce lo sfruttamento dei gia- cimenti di gas e di petrolio (l’Artico e l’Antartico garan- tiscono lunga vita all’energia fossile); crescono le emis- sioni di gas serra con effetti negativi sul cambiamento climatico (surriscaldamento, desertificazione, instabilità meteorologica, inondazioni, ondate di calore, dissesti idrogeologici...); aumenta l’inquinamento delle acque nei fiumi, nei laghi, nei mari, nello stesso tempo lo sfrut- tamento delle falde acqui- fare di più. Del resto, la ra-

dice di infrastruttura deriva dal latino infra che significa sotto, ma anche tra, tramite: per infrastruttura possiamo intendere una costruzione che unisce, che lega, che mette in relazione. Dovrem- mo chiederci, allora, in che misura le infrastrutture, così centrali per il funzionamen- to del sistema globale, si relazionano all’ambiente e incidono sulla sua resilienza. Questa prospettiva di ricer- ca manca nella riflessione di Khanna, ma in qualche modo l’esaltazione della connettività non può che sottenderla.

Il trapasso verso un futu- ro dominato da grandi città è pieno di ostacoli e di attriti, come dimostrano le tensioni politiche sovraniste diffuse in tutto il mondo e partico- larmente accese in Europa (si pensi alla vicenda Londra Brexit o alla Catalogna). Gli Stati resistono alla disper- sione, al decentramento, all’autodeterminazione delle metropoli e delle città regio- ni, ma nello stesso tempo non possono sottrarsi alla domanda di connettività ri- chiesta dagli interessi com- merciali ed economici interni e internazionali. Il mondo è sempre più connesso da

corridoi autostradali e fer- roviari, da rotte marittime, da canali, da reti elettriche e condotti per il trasporto di combustibili, da cavi di fibra ottica. Trattati commerciali, sanzioni, partenariati e ac- cordi regolano un comples- so equilibrio di scambi com- merciali, di transazioni finan- ziarie e di dati. Non tutto è trasparente e lineare, ma il grosso fluisce in questo re- ticolo, superando ostacoli, attriti, improvvise interruzio- ni. Come in una fitta rete di vasi comunicanti alla fine i flussi trovano sempre i per- corsi per arrivare a desti- nazione. “Il nostro mondo continuerà ad essere pieno di attriti, ma l’attrito del fu- turo consisterà nel controllo dei flussi” (ibidem, p. 70). In questa prospettiva anche le guerre sui dazi (oggi si è aperto lo scontro tra USA e Cina) alla fine troveranno una soluzione di equilibrio.

Ci sono attriti doga- nali, sanitari, di sicurezza, affinché il sistema continui a funzionare occorrono mi- sure speditive e controlli ri- gorosi. Il controllo dei flussi sarà sempre più controllo delle connessioni e dei nodi di passaggio e di scambio. Il reticolo che avvolge il mon- do è dinamico e mutevole,

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300 milioni di persone che hanno lasciato la loro terra e che attualmente vivono la condizione precaria del migrante. Alla connettività che sostiene lo scambio e la valorizzazione delle mer- ci, dovremmo aggiungere una connettività per l’ac- coglienza delle persone. La connettività non è solo col- legamento e comunicazione tra continenti, tra aree geo- grafiche, tra regioni e città. C’è una connettività a scala urbana che non può essere solo distribuzione di merci, ma accessibilità a beni, ser- vizi, opportunità. Più con- nettività per avere più de- mocrazia. Questo discorso ne apre un altro: può la con- nettività, che riconosciamo essere uno dei paradigmi del mondo contemporaneo e futuro, contribuire a rista- bilire l’equilibrio ambientale minacciato dal cambiamen- to climatico che noi stessi stiamo producendo?

Il cambiamento climati- co è in corso e produrrà mu- tamenti ambientali (e politici) che rivoluzioneranno la ge- ografia insediativa del mon- do (il pianeta si suddividerà in terre abitabili e terre del tutto inospitali). Khanna è convinto che questi cambia- menti avverranno nel corso

del XXI secolo e che a poco varranno gli accordi interna- zionali promossi dall’ONU per contenere l’aumento della temperatura al di sot- to dei due gradi centigradi rispetto ai livelli preindustria- li. Come del resto è emerso dalla conferenza di Parigi del 2017, dove alcuni Stati, a partire dagli USA, hanno rivisto i propri impegni. La ragione di questa resistenza e della incapacità di man- tenere gli impegni assunti circa la riduzione dell’inqui- namento e delle emissioni di gas serra, sta nel fatto che, in fondo, non sono gli Stati i principali responsabili ma la pluralità di soggetti che intervengono nella catena di valore delle supply chain. Metterli d’accordo non sarà una impresa facile, perché questi non sono riferibili a uno Stato preciso, ma a in- siemi variabili che investono operatori di nazionalità di- versa. Una recente analisi di “La Repubblica. Econo- mia e Finanza” sulle com- ponenti di un Boeing, la cui produzione è distribuita in una moltitudine di Stati, ha descritto mirabilmente la re- altà industriale di un mondo globalizzato.

Una nuova geografia è in formazione per l’aumen-

to della temperatura e lo scioglimento dei ghiacci. Vedremo l’Artico divenire una nuova rotta marittima; paesi freddi e scarsamente popolati come la Groelan- dia, la Siberia, il Canada si trasformeranno in terre ap- petibili in grado di accogliere centinaia di milioni di nuovi abitanti; lo scongelamento del permafrost che oggi co- pre grande parte del Nord Europa e dell’ Eurasia tra- sformerà quelle terre deso- late in terreni fertili e abitabili, (ma Khanna omette di ricor- dare che lo scioglimento del permafrost rilascerà nell’at- mosfera enormi quantità di metano con il conseguente aumento della temperatura). Lo scioglimento dei ghiacci produrrà un innalzamento dei mari con gravi rischi per le urbanizzazioni costiere. E non basterà decentrare le città verso l’interno, come propone con insistenza Khanna. Abbondanza di ac- qua nel Grande Nord della Russia, dove lo scongela- mento delle distese di per- mafrost accrescerà la porta- ta dei fiumi (per cui si preve- de una loro deviazione vero il Sud dell’Eurasia), e scar- sezza di risorse idriche nella Cina meridionale. Siccità e desertificazione renderanno fere produce subsidenza e

disastri idrogeologici. L’ac- qua, anche a causa dello sfruttamento intensivo agri- colo e industriale e della cre- scita della popolazione ur- bana, è divenuta una risorsa limitata che mette a rischio la sopravvivenza di intere re- gioni. Cresce la produzione e il consumo e la questione dei rifiuti diventa sempre più drammatica. Accanto alle reti della connettività che sostengono le supply chain scopriamo le reti dismesse, gli scheletri delle fabbriche abbandonate, i vuoti del- le cave e delle miniere, le discariche e i depositi dei rifiuti. Si delinea una geo- grafia parallela di cui non si parla e che non trova posto neppure nella pur ampia e complessa connettografia con cui Khanna descrive il mondo.

Lungo le supply chain il lavoro legale incontra quello irregolare che sfrutta il la- voro a basso costo, senza tutela e senza sicurezza per la salute. Nelle maglie delle transazioni è frequente il ri- corso al lavoro minorile, e questo coinvolge anche le grandi multinazionali. Non sarà facile garantire la qua- lità delle condizioni di lavoro lungo le filiere produttive che

hanno fatto del decentra- mento e della frammenta- zione il sistema per abbas- sare i costi del processo. Occorre un codice etico, ma chi è in grado di introdurlo e farlo rispettare? Alcune filie- re, del tutto clandestine e fuorilegge, dal traffico della droga, allo smaltimento dei rifiuti pericolosi, al commer- cio di armi, realizzano rami- ficazioni che si appoggiano alla connettività generale. Ecco che via via emerge un mondo oscuro e miserabile che vive all’ombra delle reti di connessione dei grandi poli di produzione e delle grandi città direzionali e di consumo. Intorno alle ZES e al cuore tecnologico delle megalopoli, sterminate pe- riferie e insediamenti infor- mali crescono a dismisura in condizioni di disuguaglianza e precarietà ambientale e igienica.

La connettività non si traduce in accoglienza e pari opportunità. Lo scopriamo nel degrado delle periferie urbane, nel dramma dei migranti che lasciano i loro paesi oppressi dalla pover- tà, dalla fame, dalle guerre, dai disastri ambientali, per trovare ospitalità e riscatto nei Paesi più sviluppati. Se- condo Khanna ci sono oltre

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Shanghai e il Jiaozhou Bay Bridge che collega la città di Tsingtao con il distretto di Huangdao). Mentre sono terminati i lavori per l’amplia- mento dei canali di Suez e di Panama per consentire il passaggio nelle due direzio- ni di grandi navi portacon- tainer capaci di trasportare oltre 15.000 TEU, viene an- nunciato il programma (rus- so kazako) per realizzare un canale tra il Mar Caspio e il Mar Nero e il progetto (cine- se), anch’esso ambizioso, di connettere l’Atlantico con il Pacifico attraversando il Ni- caragua. Un canale di con- nessione tra il Mar Rosso e il Mar Morto, con impianti di desalinizzazione e centrali idroelettriche, è in studio da parte della Banca Mondiale. Progetti di canali per l’irriga- zione e l’approvigionamento idrico sono in corso di rea- lizzazione in Cina tra il Sud e il Nord connettendo il fiume Yangtze con il fiume Huang Ho e le provincie di Pechino e Tianjin (questi grandi pro- getti di ingegneria idraulica richiamano alla mente im- prese storiche come l’ac- quedotto del Colorado che ha consentito lo sviluppo della California o la deva- stante esperienza del cana- le Karakum che deviando le

acque del fiume Amu Darya, ha stravolto l’equilibrio am- bientale del lago d’Aral). Mi- lioni di chilometri di gasdotti, di oleodotti attraversano i territori di tutto il mondo, appoggiandosi a nuove in- frastrutture stradali. Nuove connessioni ferroviarie sia a Nord che a Sud sono pre- viste per potenziare le ‘vie della seta’. Nuovi porti si affiancano a quelli preesi- stenti che aumentano le loro dimensioni, gli hub aereo- portuali si ingigantiscono, si moltiplicano le piattaforme logistiche. Lungo le traiet- torie delle supply chain si impiantano immense zone economiche speciali e nuovi insediamenti.

Grandi dighe, centra- li idroelettriche, impianti termoelettrici, ma anche impianti eolici e campi fo- tovoltaici con potenti reti di trasmissione (come il Solar Africa Europa Trans Green). Sterminati programmi di fo- restazione sono promossi in Cina per fermare, con una grande muraglia verde, la desertificazione che minac- cia la provincia di Pechino. Un’altra grande muraglia verde è in studio in Afri- ca, dal Senegal all’Oceano Indiano. Contro il rischio di inondazioni si fa tesoro

dell’esperienza olandese e si progettano dighe per la protezione delle urbanizza- zioni costiere (ma su que- sto punto Khanna lancia un preoccupato allarme: “con gli oceani che stanno sommergendo gli habitat in cui viviamo saremo costret- ti a deurbanizzarci con la stessa rapidità con la quale abbiamo affollato le coste?” (p.498). Per accrescere la produzione alimentare sono state realizzate grandi estensioni di serre (come ad Almere in Spagna) e spe- rimentate efficienti colture idroponiche in contesti privi di acqua e suolo fertile. Per contrastare la siccità, pro- durre acqua potabile e irri- gare terreni per l’agricoltura sono già attivi in Israele e in Marocco enormi impianti di desalinizzazione. La que- stione alimentare è al cen- tro della ricerca sia per la crescita della popolazione, sia per un futuro climatico a rischio. E proprio pen- sando al futuro che è stato realizzato lo Svalbard Glo- bal Seed Vault, una sorta di banca fortificata scavata in un ghiacciaio norvegese per preservare le sementi provenienti da tutte le parti del mondo e proteggere la biodiversità agricola. gran parte del pianeta ina-

bitabile, con conseguenze drammatiche sulla popola- zione. L’esodo dei rifugiati ambientali è già iniziato. La nuova geografia indotta dal cambiamento climatico sarà accompagnata da tragedie epocali (catastrofi ecologi- che, guerre, epidemie) di cui non si parla sufficien- temente. Ed è sempre più evidente come alla disu- guaglianza sociale prodotta dal mercato capitalistico e dalle politiche neoliberiste si associ una disuguaglianza nella condizione di rischio ambientale (Bech, 2017).

Il mondo osservato e descritto da Khanna è il pro- dotto di questo intreccio, il racconto che ne trae rivela una disincantata accetta- zione, ma anche una fiducia che alla fine la connettività possa estendere le oppor- tunità di lavoro e di vita per centinaia di milioni di perso- ne. C’è dell’utopia positiva in Khanna. Una utopia politica nel prefigurare che megalo- poli interconnesse possano evolversi in un organismo tecnocratico e cosmopolita in grado di guidare un nuovo ordine mondiale e imporre un capitalismo “regolatorio” più equo, capace di sfrutta- re la connettività per fini di

utilità collettiva. E una utopia tecnologica legata alla po- tenza conformativa e salvi- fica delle reti infrastrutturali.

Un progetto di diffusa modernizzazione si cela die- tro le grandi opere di inge- gneria. Un sommario elenco di grandi opere realizzate, in corso di attuazione o in pro- gramma può dare la misura di come una tale processo stia trasformando il pianeta. I tunnel sottomarini e i pon- ti sono le infrastrutture che maggiormente rappresenta- no il progetto mondiale di in- terconnessione. Dopo il tun- nel sotto la Manica e quello giapponese di Seikan, i tun- nel più lunghi saranno quelli intercontinentali (la Cina e la Russia propongono di re- alizzare un tunnel di 85 km nello stretto di Bering per connettere la Siberia con l’Alaska, mentre Spagna e Marocco stanno progettan- do l’attraversamento dello stretto di Gibilterra). Il pon- te di Ørensud che collega Copenaghen con Malmö in Svezia è il ponte più lungo europeo, ma i ponti di mag- giore sviluppo li troviamo negli USA (Lake Pontchar- train Causeway e Manchac Swamp Bridge) e in Cina (il Danyang Kunshan Bridge che connette Pechino con a

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no essere lasciati cadere su una indefinita collettività.

Il progetto di infrastrut- tura deve incorporare fin dall’inizio i costi aggiuntivi legati ai suoi effetti sull’am- biente e trasformarsi in un dispositivo complesso che produce servizi per l’equili- brio del pianeta. Dobbiamo pensarle come infrastrutture ambientali, come reti che dialogano con la natura e la rafforzano nella funzione di riproduzione delle condizio- ni di vita del nostro habitat. James Lovelock ci ha ricor- dato che Il pianeta, funziona come una grande infrastrut- tura capace di autoregolare le condizioni climatiche con la sua massa d’acqua, il suo suolo poroso e organico, il suo manto vegetale (Love- lock, 2006). Questo equi- librio è ora fortemente mi- nacciato dalle nostre attivi- tà. Per questo l’attuale fase geologica è stata chiamata Antropocene, in cui per la prima volta il tempo breve dell’umanità si è incontra- to con quello profondo del pianeta (Ghosh, 2017). Un mondo artificiale si è so- vrapposto al sistema orga- nico e naturale: le infrastrut- ture (dalle città, alle reti della connettività) avvolgono ora il pianeta come una seconda

pelle. Naturale e artificiale si combinano insieme in ogni angolo della Terra, per cui la crosta terrestre appare un unico grande suolo di cui, come aveva anticipato William Morris all’inizio della modernità, occorre pren- dersi cura.

I fiumi sono insieme reti naturali e artificiali. Eliminato il loro inquinamento, le reti fluviali esemplificano molto bene la nozione di infra- struttura ambientale (Pavia, 2012). Come i fiumi, le in- frastrutture ambientali incor- porano la natura e contribu- iscono all’equilibrio dell’ha- bitat (producendo energia pulita, assorbendo carbo- nio, contenendo il rischio idrogeologico, incrementan- do le dotazioni di verde….). In questa fase di transizione verso incerti equilibri cli- matici non mancano spe- rimentazioni e programmi di rilievo sia a livello urbano che territoriale (esistono un pluralità di piani per l’adat- tamento climatico). Tutta- via, abbiamo l’impressione che tali esperienze siano insufficienti, che la scala d’azione debba assumere una dimensione globale. Le infrastrutture che sorreggo- no le supply chain, e con esse l’economia del mondo,

hanno una grande potenza di sviluppo e di distruzione, nello stesso tempo hanno l’estensione, le risorse e la connettività necessarie per poter agire in favore dell’am- biente e contenere gli effetti del cambiamento climatico. Forse, per questa via, potre- mo non soltanto descrivere il nuovo ordine del mondo, ma tentare di reinventare la Terra.

Riferimenti bibliografici

Bech U., La metamorfosi del

mondo, Laterza, Bari-Roma

2017.

Farinelli F., L’invenzione della

Terra, Sellerio, Palermo 2007.

Ghosh A., La grande cecità. Il

cambiamento climatico e l’im- pensabile, Neri Pozza, Vicenza

2017.

Khanna P., Connectography.

Le mappe del futuro ordine mondiale, Fazi, Roma 2016.

Lovelock J., La rivolta di Gaia, Rizzoli, Milano 2006. Pavia R., Eco-Logiche, in “Pia- no Progetto Città”, n. 25-26, 2012.

A Dubai, per l’Expo 2020 il cui tema è Con-

necting minds. Creating fu- ture, avremo probabilmente

un quadro aggiornato delle realizzazioni più innovative e dello sviluppo tecnologico futuro. Temiamo, tuttavia, che sarà un quadro par- ziale e insufficiente, ma che rappresenterà assai bene le forze e le intelligenze che si propongono di governare attraverso le supply chain l’ordine del mondo. Tra l’or- dine del mondo e l’equilibrio ambientale del pianeta c’è uno scarto profondo, ma anche una condizione di si- milarità. Da un lato l’attuale sistema di produzione, di- stribuzione e consumo pro- duce un continuo saccheg- gio delle risorse naturali e una progressiva alterazione del clima, dall’altro sia l’or-