• Non ci sono risultati.

sec. XIV, è un indiscusso centro nevralgico del Ba- naadir, era organizzata su due zone distinte, rispettiva- mente dedicate all’esercizio di diverse attività economi- che: Hamar Weyne, vicina all’ingresso principale alla città murata, era organiz- zata prevalentemente per il commercio di animali vivi (capre e cammelli) e di merci provenienti dall’Etiopia me- ridionale; Shingaani, adia- cente alla spiaggia e agli approdi delle imbarcazioni mercantili, era invece il pun- to di smistamento per i traf- fici provenienti dai vari paesi dell’Oceano Indiano e diretti verso l’entroterra. Grazie a tale rete di scambi commer- ciali - che dalle aree costiere del Banaadir si spingevano verso i villaggi più remoti del Corno d’Africa - anche la cultura islamica si propa- ga via via nell’area orientale del continente per merito di missionari votati all’insegna- mento del Corano.

Il testo si articola in otto capitoli: nei primi quattro, Nuredin Hagi Scikei ci intro- duce, dapprima, nel mondo

e nella cultura del Banaadir, quindi nella campagna di dif- famazione contro lo stesso che apriva sostanzialmente la strada per la cosiddetta “colonizzazione umanitaria”, per arrivare allo sviluppo ur- bano durante il periodo ita- liano e chiudere con la po- litica della damnatio memo-

riae che costituisce il primo

grido di allarme che Nuredin Hagi lancia in questo testo. Un grido che sarà ripreso al termine, nell’ottavo capito- lo, dove l’autore si sofferma sulle criticità e le urgenze del patrimonio architettoni- co e avanza alcune propo- ste per la sua salvaguardia e la sua tutela. Se i primi quattro capitoli sono dedi- cati alla conoscenza critica della cultura del Banaadir e alle principali questioni sto- riche, i capitoli che seguono costituiscono un suggesti- vo viaggio tra il patrimonio culturale di Mogadiscio: architetture e resti archeo- logici sono rigorosamente schedati e raccontati con brevi testi e fotografie che ne descrivono l’attuale stato di conservazione seguendo un metodo affine a quello utilizzato in Europa per la catalogazione dei beni ma- teriali. L’ottavo capitolo, infi- ne, conclude questo viaggio

Elio Trusiani

Negli ultimi quindici anni, l’Europa non è riuscita a pro- muovere concrete occasioni di studio né sulla città di Mo- gadiscio né sul suo millena- rio patrimonio edificato. Se non fosse per un articolo di Rashid Ali (ALI, 2013), per il catalogo della mostra “Mo- gadishu - Lost Moderns” (tenuta, dallo stesso Ali con il fotografo Andrew Cross, alla galleria londinese The Mosaic Rooms fra marzo e aprile 2014) e per un sag- gio fotografico di Guillaume Bonn (BONN, 2015), si po- trebbe quasi ipotizzare che il panorama architettonico e urbanistico di questa città abbia subito un vero e pro- prio “oscuramento”. Eppure sugli altri insediamenti co- loniali d’oltremare, che nel corso della prima metà del Novecento hanno espresso il livello decisamente alto della maturità progettuale degli architetti e ingegneri italiani dell’epoca, esistono numerose pubblicazioni. A far data dall’indimenti- cata Architettura Italiana

d’oltremare. 1870-1940

(GRESLERI, MASSARETTI, ZAGNONI, 1993), le pub- blicazioni su Eritrea, Etiopia, Libia o Dodecaneso hanno proliferato sia in Italia sia all’estero. Se, alle nostre la-

RITROVARE

MOGADISCIO

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 27 aprile 2018.

203 202 CITT À BENE COMUNE 2018 viaBorgog a3 | supplemento (p. 52). Le indagini, le os- servazioni e le conclusioni di Nuredin Hagi sono alla triplice scala: urbana, ar- chitettonica e archeologi- ca. Alla scala urbana pone l’accento in particolar modo sulle aree di Shingaani e Ha- mar Weyne che, dalla lettura della mappa di Mogadiscio del 1908, risultano essere i due nuclei insediativi del- la città, separati tra loro da uno spazio occupato da edifici isolati, apparente- mente a destinazione pub- blica, compresi all’interno di una cinta muraria con due accessi principali di cui uno proprio nell’insediamento di Hamar Weyne. Su questi due nuclei si agganceranno formalmente e struttural- mente i piani urbanistici del 1912 e del 1927; quest’ul- timo, sull’impianto tracciato dal piano del 1912, organiz- zerà l’espansione, in tutte le direzioni, della città. La lettura critica dei piani, a partire proprio dalla descri- zione di Shingaani e Hamar Weyne, ci rivela l’importanza dei due nuclei su cui l’autore si sofferma: essi sono l’an- coraggio culturale e fisico- spaziale tra preesistenze e città coloniale, almeno per quanto concerne i due stru- menti urbanistici sopra cita-

ti, rivelandone un approccio non invasivo o per lo meno non totalmente distruttivo.

Le conclusioni/richieste, cui arriva Nuredin Hagi, si collocano sotto un duplice aspetto; da un lato assu- mono connotazioni tecnico- scientifiche, dall’altro hanno il sapore di un grido di allar- me e di aiuto, al contempo, rivolto esplicitamente alla comunità scientifica inter- nazionale: “È difficile vedere come ciò possa essere re- alizzato se non con l’aiuto di partner internazionali, la- vorando insieme con i team locali, pianificando il proces- so, ottenendo finanziamenti per questo progetto e poi lavorando insieme nella sua esecuzione. Pertanto sareb- be utile cooperare con quei Paesi che hanno affrontato problemi di ripristino del- le città e attingere alla loro esperienza” (p. 52). Nella proposta della creazione di un Centro di eccellenza sul modello del nostro Istituto superiore per la conserva- zione e il restauro si può in- travvedere un’ulteriore spe- cifica richiesta direttamen- te rivolta al nostro paese nonostante l’ambiguità del suo rapporto con la Soma- lia che, come spiega bene Nicola Pedde su “Limes”,

rappresenta, tra narrazione della relazione storica e tra- gica conclusione del nostro impegno nei primi anni No- vanta, ancora oggi un ele- mento delicatissimo sotto il profilo storico e geopolitico.

Riferimenti bibliografici

R. Ali 2013, Making of a

modern African city, “RIBA

journal”, n. 3, 2013 Mar, p. 42-43.

R. Ali e A. Cross 2017, Moga-

dishu - Lost Moderns, London,

Mosaic Rooms, 2017. G. Bonn 2015, Mosquito Co-

ast: Travels from Maputo to Mogadishu, Berlin, Hatje Cantz

Verlag, 2015.

G. Gresleri, P.G. Massaretti, S. Zagnoni 1993, Architettura Ita-

liana d’oltremare. 1870-1940,

Venezia, Marsilio, 1993. E. Godoli, M. Giacomelli (a cura di) 2005, Architetti e Ingegneri

Italiani dal Levante al Magreb 1848-1945. Repertorio biogra- fico, bibliografico e archivistico,

Pistoia, Maschietto, 2005. N. Pedde, Così abbiamo per-

so la Somalia (http://www.

limesonline.com/cartaceo/cosi- abbiamo-perso-la-somalia).

ponendo all’attenzione degli addetti ai lavori e della co- munità scientifica interna- zionale le principali criticità ed emergenze; come lo stesso Nuredin Hagi sotto- linea: “Il quartiere storico di Hamar Weyne necessita di un serio lavoro di restauro per preservare la sua anti- ca identità. Il distretto non ha sistemi di drenaggio per l’acqua piovana e ogni vol- ta che piove intensamente l’area è ulteriormente de- gradata. Il drenaggio stra- dale è un requisito urgente in quanto l’acqua stagnante che si raccoglie nelle pas- serelle strette e tortuose è un terreno fertile per gravi malattie. […] A Saraha ven- gono costruiti nuovi edifici, che da un certo punto di vista possono essere visti come un segnale positivo di crescente fiducia nel futuro. Tuttavia, il tipo di costruzio- ne deve essere regolato e le decisioni prese sull’armonia dei nuovi edifici con il patri- monio storico del distretto. […] In breve, l’appello è ri- volto a una pianificazione e a un restauro competenti e professionali per creare un paesaggio urbano adegua- to per i cittadini che sono già stati colpiti da così tante difficoltà” (p. 52).

Alla denuncia delle emergenze, al richiamo a una pianificazione e a un restauro consapevoli se- gue, da parte dell’auto- re, la proposta di creare un’istituzione simile al no- stro Istituto superiore per la conservazione e il restauro (ISCR) dove, in un unico organismo, storici, architet- ti, archeologi e altri profes- sionisti altamente qualificati possano svolgere attività di ricerca, formazione e, allo stesso tempo, tutelare e restaurare il patrimonio cul- turale. La proposta dell’au- tore è indirizzata anche alla formazione di maestranze edili in grado di affrontare con competenza e profes- sionalità la gamma di attività collegate al restauro e alle tradizionali tecniche costrut- tive. A fronte degli “ultimi venti anni di incertezza, con il declino della società e la mancanza di opportunità, le competenze specialistiche sono diminuite. È neces- sario un completo rinasci- mento per produrre i mastri costruttori, falegnami, spe- cialisti in intonaci decorativi e artigiani con conoscenza delle tecniche di costruzione e restauro in pietra corallina, legno locale e altri materiali da costruzione tradizionali”

205 viaBorgog a3 | supplemento 204 CITT À BENE COMUNE 2018 trasporti e mobilità (p. 7). Sul tema il libro di Martens offre sia una trattazione si- stematica, ben argomentata e ricca di riferimenti (box di approfondimento), sia una teoria al contempo “sostan- tiva” e “prescrittiva” (p. 9) i cui principi possono orienta- re la definizione di politiche capaci di risolvere questioni pratiche di giustizia (p. 43). L’elemento che contraddi- stingue il libro di Martens è infatti la ricerca di stru- menti attraverso cui dare contenuto operativo a una pianificazione dei trasporti basata su principi di giu- stizia, perché, come scrive Martens “justice is too im-

portant to remain within the realm of academic debate. Real questions of justice, regarding the distribution of real goods, regarding power and domination, oppression and autonomy, are too im- portant to be left unresolved because no comprehensive framework can be designed to solve them once and for all” (p. 43).

Questa intenzionalità orienta l’impianto generale del libro e i contenuti stes- si dei capitoli 4, 5 e 6 che ricostruiscono le posizioni di Walzer, Rawls, Dworkin, Sen in quella “compre-

hensive theories of justice”

che non rappresentano un corollario teorico fine a sé stesso, ma sono concepite come potenti strumenti per interagire e aiutare a risol- vere questioni pratiche di giustizia. Non tanto perché le teorie considerate pos- sano essere semplicemente applicate a una particolare questione di giustizia, ma perché forniscono una linea di ragionamento importante che può aiutare a far luce su questioni di giustizia legate ai temi del diritto di acces- so alla città e ai suoi servizi e opportunità. La posizione di Martens rimanda alla ne- cessità che “every theory

of social justice should be assessed in terms of the extent to which it succeeds in reducing the plethora of (implicit) transcendental po- sitions to a range that allows for a practical ranking of pol- icy options” (p. 43).

Si inscrive dunque in questo contesto l’attenzio- ne che Martens presta alla accessibilità che rappre- senta il concetto chiave o, meglio, “the focal variable

of transportation planning based on the principles of justice” (p. 154), poiché

strumento per misurare la possibilità di ognuno di par-

tecipare alle attività di una comunità a cui permette di accedere un sistema di tra- sporto, la cui equità si mi- surerà sulla capacità dello stesso di “garantire a tutte le persone un livello suffi- ciente di accessibilità nella maggior parte delle circo- stanze” (p. 9 e p. 215). La questione fondamentale dell’approccio di Martens riguarda proprio il determi- nare quel livello sufficiente di accessibilità che definisce la soglia minima fondamentale per consentire a ciascuno di prendere parte alle diverse attività. L’accessibilità, che fa riferimento non tanto o non solo al funzionamento di un sistema di trasporto, ma piuttosto al “potential of

opportunites for interaction wich locations dispersed over space” (p. 51), diventa

quindi lo strumento per mi- surare le condizioni minime, necessarie per garantire la “activity participation” ad ogni persona.

 

Dal concetto di “sufficient

level of accessibility” e dalla

sua misura (cap. 7), Martens sviluppa, nel capitolo 8 del libro, un approccio pratico per la valutazione dei siste- mi di trasporto, in una pro- spettiva di equità e per spe-