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ESISTONO GLI SPECIALISTI DEL

PAESAGGIO?

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 19 ottobre 2018.

Della stessa autrice, v. anche: Bellezza ed economia

dei paesaggi costieri (3 marzo 2017).

Sul libro oggetto di questo commento, v.inoltre: Giampaolo Nuvolati, Città e paesaggi: traiettorie

per il futuro (8 dicembre 2017); Francesco Ventura, Sapere tecnico e etica della polis (28 settembre

2018); Lodovico Meneghetti, Stare con Settis

ricordando Cederna (5 ottobre 2018); Andrea

Villani, Democrazia e ricerca della bellezza (29 novembre 2018).

Sul contributo di Salvatore Settis ai temi della città, del territorio e del paesaggio, v. anche la sintesi video della conferenza tenuta alla Casa della Cultura il 12 dicembre 2017 e il testo integrale, a cura di Oriana Codispoti, con la presentazione di Salvatore Veca (Ed. Casa della Cultura, 2018).

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Settis chiarisce ulterior- mente un concetto centrale delle sue riflessioni: quello del paesaggio come patri-

monio culturale e del suo valore collettivo per l’umani-

tà che lo vive, lo conosce, lo utilizza: ne consegue che il paesaggio è per Settis “te-

atro della democrazia” e in

quanto tale dovrebbe orien- tare le politiche territoriali. Questa affermazione - che, sottolinea l’Autore, non è “né ovvia né scontata” (e sulla quale svilupperà nel libro ulteriori analisi) - viene posta subito all’attenzio- ne degli studenti-architetti e all’etica del loro futuro operare. Nel suo ruolo di docente ricorda, perciò, ai futuri architetti, che nell’atti- vità progettuale non devono ritenersi solo al servizio dei committenti, e cioè al “pro-

fitto dei pochi”, ma devono

“tener presente un quadro

assai più vasto, quello del- la comunità dei cittadini”.

Così nel libro richiama più volte le responsabilità pro- fessionali che riguardano gli architetti di fronte alla disor- dinata crescita delle città e dei quartieri che erodono i confini urbani e divorano le campagne, alla “verticalizza-

zione selvaggia” dell’edifica-

to, alla continua espansione

di una forma urbana spesso non pianificata che avviene a spese dello spazio natu- rale ed agricolo, al declino dell’identità culturale della città storica e alla devasta- zione crescente dei paesag- gi.

Nelle lezioni svolte da Settis agli studenti dell’Ac- cademia di Architettura di Mendrisio i riferimenti alla “responsabilità professio-

nale degli architetti” sono

numerosi e frequenti: re- sponsabilità non solo nei confronti degli insegnamenti ricevuti e delle nozioni ap- prese, ma anche verso que- gli spazi nei quali si svolge, generalmente, l’attività degli architetti e che rappresenta- no importanti valori e parti- colari significati per la col- lettività. Sono responsabilità “che hanno molto a che fare

con la democrazia”, perché

l’intero contesto in cui l’ar- chitetto si trova ad operare è paesaggio, è spazio col- lettivo, è patrimonio cultura- le della società. È su queste affermazioni che vorrei in- trodurre alcune mie consi- derazioni, che svilupperò dettagliatamente più avanti, come architetto, laureato all’Università La Sapienza di Roma e docente per ol- tre trent’anni alla Facoltà di

Architettura di Genova: sono considerazioni sulle carenze esistenti nella formazione universitaria dell’architetto - almeno in Italia - nel settore del paesaggio: carenze cul- turali che non gli consento- no di affrontare, nell’attività progettuale, con la neces- saria professionalità, quelle problematiche, che Settis definisce “etiche” e che ri- guardano fenomeni estesi e complessi come l’inces- sante espansione della città oltre i confini urbani che devasta le campagne, la crescente alterazione dell’identità dei beni culturali e paesaggistici, la frequente devastazione del paesag- gio, bene comune e patri- monio collettivo. L’architetto è impreparato ad operare nella complessità del pae- saggio, attraverso la com- prensione dei processi che lo generano, la conoscen- za dei numerosi elementi e fattori che lo caratterizzano, dei molteplici fenomeni e re- lazioni che interagiscono su di esso. Il paesaggio è molto di più di una veduta o di un bel panorama, è una risorsa comune del nostro abitare, permeata da segni, tracce e culture di molteplici stra- tificazioni storiche, sintesi di un’incessante rete di azioni vincolo paesaggistico nuove

categorie di beni e di oggetti geografici da tutelare e da

introdurre nella pianificazio- ne a seguito di particolari analisi delle linee e delle for- me che strutturano il pae- saggio ed esprimono i suoi assetti e i suoi caratteri natu- rali biotici e abiotici. Eppure anche questi innovativi prov- vedimenti non coglievano ancora pienamente la com- plessità del paesaggio e non ne comprendevano la sua vera natura. Solo in seguito alla presentazione, a Firenze nel 2000, della Convenzio- ne Europea del Paesaggio, questo è stato definito più chiaramente e portato a una nuova e maggiore attenzio- ne di amministratori, studio- si e professionisti, e anche della collettività, per le im- portanti funzioni che svolge “sul piano culturale, scien-

tifico, ecologico, sociale ed economico”. I cambiamenti

intervenuti nella versione finale del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, del 2008, hanno introdotto, a loro volta, nuovi principi fondati sulla “cooperazione

tra amministrazioni pubbli- che per la conservazione e la valorizzazione del paesag- gio” a partire dai “piani urba- nistico-territoriali con speci-

fica considerazione dei valori paesaggistici”: piani da ela-

borarsi congiuntamente tra Ministero e Regioni.

Nell’analizzare la nozione di paesaggio - riconosciuto dall’art. 9 della Costituzio- ne Italiana come un valore

della Nazione da sottopor-

re, unitamente al patrimonio

storico e artistico, a tutela giuridica - Settis introduce alcune interessanti riflessioni sulle valutazioni estetica ed

etica del paesaggio: egli so-

stiene che se riconosciamo come paesaggio solamente ciò che vediamo e osservia- mo, ciò che attrae lo sguar- do di ognuno di noi e che si manifesta come una veduta ai nostri occhi, allora il pae- saggio è da considerarsi un oggetto di valutazione este- tica. Se, invece, guardiamo al paesaggio come al luo- go in cui si vive, si sosta, si passeggia, si lavora, allora ci rendiamo conto che tutti noi abbiamo su di esso un

diritto di fruizione e che il pa-

esaggio non è un mosaico

di interessi individuali, ma

una ricchezza collettiva che racchiude valori naturali e storico-artistici verso i quali l’intera comunità ha un do- vere di protezione, di difesa dagli abusi, dagli usi impro- pri e dal degrado.

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novamento delle concezioni esclusivamente estetiche e percettive del paesaggio. Un’interessante analisi illu- stra anche come nel Nove- cento un numero crescente di Costituzioni abbia affron- tato, in vari Paesi, il tema del rapporto tra spazi urbani e paesaggio, riconoscendo come paesaggio e patrimo-

nio culturale siano entrambi

parte integrante della storia dei luoghi. L’analisi mette a confronto tra loro, in parti- colare, la Costituzione tede- sca e quella spagnola che hanno preceduto di alcuni anni quella italiana, che, nel 1948, ha elevato la tutela del paesaggio a principio fondamentale del nostro or- dinamento perché parte in- tegrante della nostra storia e della nostra cultura.

Nel capitolo Man and

Nature, analizzando i rap-

porti tra città e paesaggio in diversi Paesi e nei vari aspetti “storici, artistici, an-

tropologici, sociologici, di geografia storica e cultura- le”, Settis ricorda come negli

Stati Uniti di fronte all’occu- pazione intensiva del territo- rio furono assoggettati a tu- tela, con l’istituzione di par- chi e aree protette, milioni di ettari di suoli naturali, incon- taminati, per preservarli al

godimento delle generazioni future: il patrimonio natu- rale era cioè considerato elemento identitario e van- to della nazione. Nei paesi Europei, invece, sull’impor- tanza dei paesaggi naturali ha prevalso l’attenzione per il paesaggio plasmato dagli uomini nel corso dei seco- li. Le riflessioni storiche di Settis percorrono anche momenti dell’antica cultura greca e romana attraverso il pensiero di importanti fi- losofi, letterati, trattatisti, e numerose rappresentazioni musive e pittoriche dei siti storici. Nell’interessante ca- pitolo Confini difficili. Patri-

monio culturale, paesaggio città è sviluppata un’artico-

lata analisi sui difficili limiti che definiscono l’habitat umano dentro e intorno alla città, limiti che sono spesso considerati “merce passiva

da sfruttare” anziché “vivo scenario di una democrazia futura”. L’ultimo capitolo è

una grave e spietata attribu- zione di responsabilità all’ar- chitetto nei confronti degli attuali scenari di degrado e perdita di identità paesisti- ca delle città storiche nelle quali ancora, in futuro, “do-

vrà dispiegare la propria im- maginazione progettuale”.

Architettura e democra-

zia. Paesaggio, città, diritti civili è un libro colto e ricco

di approfondimenti sul rap- porto tra paesaggio e diritti dei cittadini e sul suo valore come “teatro della ‘demo-

crazia’”. Sorprende, però,

che nell’excursus storico e geografico sul significato del termine paesaggio, anche in rapporto al patrimonio storico-culturale, non venga considerata la Convenzione Europea del Paesaggio, im- portante testo giuridico in- teramente e specificamente riferito al paesaggio, ratifica- to fino ad oggi da 38 Pae- si, tra i quali la Svizzera, e dall’Italia nel 2006. La Con- venzione Europea del Pae- saggio fonda il suo impianto normativo e la sua efficacia giuridica sulla promozione della dimensione paesaggi-

stica dell’intero territorio de-

gli Stati: riguarda i paesaggi naturali, quelli rurali, urbani e periurbani, quelli considerati eccezionali, quelli della vita quotidiana e quelli degrada- ti; valorizza il ruolo delle co- munità locali chiamandole ad una partecipazione attiva ai processi di identificazione dei valori e delle strategie d’intervento nei paesaggi della vita quotidiana, fonda- mento delle identità locali; sollecita la sensibilizzazione, e rapporti che hanno legato

e legano l’uomo al suo ter- ritorio.

Ma ritornando alle analisi e alle considerazioni di Set- tis, leggiamo che l’Autore, accingendosi ad affronta- re il tema del paesaggio, centrale nel nostro tempo, anche in rapporto ai futuri sviluppi, ricorda al lettore di non essere in alcun modo uno “specialista” su questi argomenti! Vorrei ricordare a proposito di questa affer- mazione che sono note a molti non solo le sue inte- ressanti trattazioni su Il pa-

esaggio come bene comu- ne (La scuola di Pitagora,

2013), sulle modificazioni degli spazi naturali ad opera dell’uomo che rappresenta- no “la memoria delle storie

e delle società che lo hanno plasmato nel tempo”. Egli

è anche conosciuto per gli importanti contributi dati nel presiedere la Commissione di Studio per la redazione del Codice dei beni cultu- rali e del paesaggio dove i

beni paesaggistici ed i beni culturali sono riconosciuti,

nel loro insieme, come un

patrimonio culturale che,

in riferimento all’art. 9 della Costituzione, sono da tute- lare e valorizzare. Il Codice inoltre, nella versione fina-

le del 2008, ha introdotto con il contributo di Settis, in riferimento al paesaggio, alcune modifiche migliorati- ve alla precedente legge e ha affrontato il complesso, necessario coordinamento tra il ruoli dello Stato e quel- lo delle Regioni nella legge che si riferisce al paesaggio (1939) e in quella sull’urba-

nistica (1942).

Nei cinque capitoli del libro sono ricordati, con in- teressanti riflessioni ed eru- dite citazioni storiche, alcu- ni precedenti sulle misure di protezione nei confronti del patrimonio culturale, storico-artistico e arche- ologico e quelle del pae- saggio. È ricordato il primo atto legislativo della storia d’Italia (1922) Per la tutela

della bellezze naturali e de- gli immobili di particolare interesse storico dell’allo-

ra Ministro dell’Istruzione Pubblica Benedetto Croce, massimo teorico dell’esteti- ca italiana; sono sviluppate necessarie riflessioni sulle leggi che hanno applicato nuovi vincoli alle “bellezze

panoramiche” e ai “belvede- re accessibili al pubblico”,

analizzandone i significati politici e culturali e ricordan- do i contributi che sono stati introdotti, a seguito del rin-

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zione delle opere da valuta- re e/o realizzare in zone di comprovato interesse per la nostra storia e il nostro pa- trimonio culturale. Nell’opi- nione comune si è ritenuto a lungo che la progettazione paesaggistica non dovesse richiedere una preparazione specialistica e i professioni- sti, laureati in architettura e in scienze agrarie e forestali, ingegneri e geometri, han- no potuto svolgere anche attività paesaggistica senza aver conseguito una prepa- razione specifica. Queste varie carenze e vari aspetti del ritardo nella formazio- ne e nel riconoscimento istituzionale della profes- sione del paesaggista mi sorprendevano perché in Italia la delicata materia del paesaggio aveva già avuto la necessaria rilevanza con l’articolo 9 della Costituzio- ne che dichiarava l’impegno della Repubblica a tutelarlo in quanto bene da difendere perché parte integrante del- la nostra storia e del nostro patrimonio culturale. Non intendo, in queste mie rifles- sioni sul libro di Settis, riper- correre la mia più che tren- tennale attività di docente alla Facoltà di Architettura, ma desidero ribadire la mia diretta constatazione delle

carenze esistenti nella for- mazione dell’architetto nel campo del paesaggio e di conseguenza sull’assoluta impreparazione ad affronta- re, nell’attività progettuale, le problematiche - che Set- tis definisce “etiche” - che riguardano il contesto terri- toriale nel quale l’architetto deve assai frequentemente intervenire. Nel percorso formativo quinquennale de- gli studi di architettura, nel contenuto dei vari insegna- menti, avevo potuto consta- tare come nella struttura di- dattica dei corsi era dedica- ta un’attenzione prevalente, se non esclusiva, alla di- mensione conclusa del pro- getto, mentre scarsa o nulla attenzione veniva rivolta al contesto nel quale l’opera progettuale doveva inserirsi. Ma la responsabilità del de- grado dei nostri paesaggi, della crescita urbana che ha stravolto la forma della città, ha profanato i centri storici ed ha trascurato l’integra- zione dei nuovi interventi nel contesto paesaggistico non può essere attribuita esclusivamente agli archi- tetti. Quando nella cultura del progetto di architettura è assente la conoscenza e, di conseguenza, la capa- cità di considerazione del

contesto, ritengo errato at- tribuirne solo agli architetti la responsabilità, dimenti- cando che i volumi architet- tonici da progettare hanno una loro collocazione nelle norme imposte dalla piani- ficazione urbanistica: voci troppo spesso dissonanti nei confronti del territorio e del paesaggio urbano e delle periferie che non sono state la “naturale e organi-

ca estensione delle città”. È

opportuna, dunque, anche una considerazione sulle attività urbanistiche degli ultimi decenni, dove è evi- dente la carenza di una ma- turazione e evoluzione degli apparati concettuali con cui la cultura della pianificazio- ne si accingeva a guidare le politiche del paesaggio e le interazioni tra i fattori natura- li e culturali, per l’attivazione di processi di valorizzazione durevole e sostenibile e il miglioramento dei paesaggi e delle condizioni di vivibilità delle popolazioni.

Queste ed altre consi- derazioni mi avevano fatto riflettere sull’importanza di attivare una preparazione specifica idonea ad operare nel paesaggio, per supplire alle carenze degli ordinari percorsi universitari delle Facoltà di Architettura; studi l’educazione e la formazione

di una cultura paesaggistica della società civile. Pone l’attenzione sulla necessità di promuovere insegnamen- ti universitari specializzati nella formazione di spe- cialisti della conoscenza e dell’intervento sui paesaggi, di programmi pluridisciplina- ri di formazione sulla politi- ca, la protezione, la gestio- ne e la pianificazione del paesaggio, destinati ai pro- fessionisti del settore privato e pubblico; raccomanda di provvedere a queste speci- fiche formazioni attraverso diplomi riconosciuti dagli Stati.

I temi del paesaggio e della formazione di una cultura paesaggistica han- no costituito uno dei miei interessi principali già dalla metà degli anni ‘70 quan- do professore alla Facoltà di Architettura ero stata in- caricata di svolgere il corso di Architettura dei Giardini

e Paesistica. Mi domanda-

vo allora quali basi culturali, quali fondamenti scientifici e quali approfondimenti pro- gettuali fosse utile, e soprat- tutto possibile, trasferire nel- la formazione degli studenti di Architettura, attraverso questa sola disciplina collo- cata alla fine del ciclo di stu-

di quinquennale, per con- tribuire a sviluppare, nella loro formazione e nella loro futura attività progettuale, un’attenta considerazione dei codici genetici dei pae- saggi e delle storiche sinto- nie tra architettura, territorio e ambiente. In particolare, ritenevo necessario pro- muovere nelle Facoltà di Ar- chitettura una conoscenza e una comprensione dei pro- cessi di trasformazione del territorio e dell’ambiente na- turale, riservando una speci- fica attenzione al benessere e alla qualità della vita delle popolazioni, al miglioramen- to degli equilibri dei nostri paesaggi, introducendo il paesaggio come elemento centrale del progetto di ar- chitettura.

Oltre alla carenza di competenze specifiche nell’analisi e soprattutto nella progettazione del pa- esaggio, già ricordate sopra nella formazione degli archi- tetti, occorre sottolineare la carenza di una domanda di mercato che richiedesse operazioni di trasformazione e riqualificazione del pae- saggio; si è spesso affidata a tecnici privi di preparazione ed esperienza, l’analisi e la progettazione paesaggistica e l’approvazione e/o valuta-

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chitetto del paesaggio, un professionista che viene for- mato attraverso studi inter- disciplinari, per poter inter- venire in modo propositivo sulle azioni antropiche che interagiscono con i processi naturali, per saper integrare metodi e tecniche di proget- tazione e pianificazione del paesaggio e contribuire a riqualificare situazioni pae- sistiche degradate, rendere sostenibili differenti interven- ti in vari territori, per operare attraverso la conoscenza dei paesaggi naturali, per rispondere con competen- za alle esigenze di vita del- la società contemporanea. Un professionista con una formazione interdisciplinare, per interpretare la comples- sità del paesaggio e delle sue leggi evolutive, per tute-

lare e gestire i paesaggi nella

loro integrazione tra natura, cultura e storia; per valoriz-

zarli nelle numerose secolari

testimonianze di equilibrati rapporti tra intervento uma- no e contesto naturale; per

risanarli da degrado e inqui-

namenti causati da interven- ti e negligenze insostenibili; per progettarli con capacità creativa e con dialogo attivo e fertile con i valori cultura- li, con i caratteri e le leggi evolutive della natura e con

le esigenze della società at- tuale; per recuperare ferite e alterazioni prodotte, in poco più di cinquant’anni, dallo sviluppo rapido e incoeren- te di periferie, infrastrutture e turismo. Una complessa figura professionale che im- plica una specifica forma- zione universitaria, presente ed attiva da decenni in Italia e in molti paesi del mondo. e approfondimenti sul pae-

saggio e sulla professione di uno “specialista del pae-

saggio” e continui rapporti

con le Facoltà esistenti in questo settore in altri Pa- esi, che non posso qui ri- cordare, mi consentono di arricchire di contenuti la ri- sposta al quesito che Settis pone all’inizio del suo libro sull’esistenza o meno degli “specialisti del paesaggio”. Si era concretizzata in me la convinzione della necessità di istituire, anche in Italia, Corsi di specializzazione post-lauream in Architettura

del Paesaggio per colmare i

ritardi e le carenze didattico- culturali nei confronti delle complesse problematiche emergenti con la crescita dell’urbanizzazione e la tra- sformazione delle città e del territorio: trasformazioni av- venute in modo particolar- mente rilevante con l’inizio del Novecento e in partico- lare dalla febbrile attività di ricostruzione del dopoguer- ra. Ricordo anche le nume- rose costruttive discussioni svolte tra colleghi di varie facoltà umanistiche e scien- tifiche sulle conoscenze e le analisi che dovevano essere poste alla base degli inter- venti da programmare in un “paesaggio” non conside-

rato esclusivamente come

immagine ma come realtà complessa per i numerosi

elementi e fattori che lo co- stituiscono, per i molteplici fenomeni e relazioni che in- teragiscono con esso e per i processi che lo generano. Ricordo anche i ripetuti in- contri al Ministero per defini- re un percorso idoneo a una nuova formazione in ambito universitario nel settore del paesaggio, già sollecitata dalla Convenzione Euro- pea del Paesaggio agli Stati membri che avevano l’ave- vano ratificata. Nel 1983 veniva così attivata all’Uni- versità di Genova la prima scuola italiana di Specializ-

zazione in Architettura del Paesaggio seguita, in breve

tempo, dalle Università di Fi- renze e di Roma.

Dunque, la risposta alla domanda che Settis pone all’inizio del suo libro, se “esistono davvero spe-

cialisti del paesaggio che siano in grado con piena competenza di affrontare tutti gli aspetti del proble- ma, da quelli estetici, storici, storico-artistici a quelli geo- grafici, architettonici, giuri- dici, biomedici, sociologici, antropologici (…)” è certa-

mente affermativa: questo professionista esiste, è l’ar-

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