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SU “LA STRUTTURA DEL PAESAGGIO”

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 12 gennaio 2018.

Dello stesso autore, v. anche: Urbanistica: tecnica

o politica? (14 febbraio 2016); Lo stato della piani- ficazione urbanistica. Qualche interrogativo per un dibattito (1 aprile 2016); Urbanistica: né etica, né diritto (30 giugno 2016); Più che l’etica, è la tecnica a dominare le città (16 febbraio 2017), Antifragilità (e pianificazione) in discussione (28 luglio 2017); Così non si tutela né il suolo né il paesaggio (1

dicembre 2017); Sapere tecnico e etica della polis (28 settembre 2018).

Sul libro oggetto di questo commento, v. inoltre:

Anna Marson, È così che si commenta un libro? (15 dicembre 2017); Angela Barbanente, Paesaggio:

la ricerca di un terreno comune (18 gennaio 2018);

Paolo Pileri, L’urbanistica deve parlare a tutti (21 settembre 2018).

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agli speculatori e un tradi- mento di ciò che la cultura urbanistica dell’epoca aveva tentato di proporre attraver- so il neofondato INU, era già chiaro all’atto della sua ap- provazione e fu denunciato in sede di commissione dei lavori pubblici dall’urbani- sta Alberto Calzabini (uno dei fondatori dell’INU e dei corsi universitari di urbani- stica). Nel ruolo politico di deputato non ebbe remore a dichiarare che quella legge avrebbe favorito accordi tra redattori del piano e privati proprietari di aree per ac- crescerne il valore di merca- to di decine di volte (come a esempio mostra il film di Rosi Le mani sulla città). Spesso non è necessario sperimentare una legge per vederne le incoerenze, che sono innanzitutto logiche, ma con effetti concretissimi. Giovanni Ortolani, Ordinario di Diritto nell’Università di Roma, pubblica nel 1943 La

nuova disciplina urbanistica

rilevando tutte le crepe e le incongruenze della legge 1150 del 1942, soprattutto in relazione al problema del- le aree edificabili, e insieme indicando i possibili rimedi. Un libro che gli urbanisti do- vrebbero leggere e sul quale riflettere ancora oggi.

È questa la ragione di fondo per cui nel mio pre- cedente articolo ho portato l’esempio di Lucca, per far emergere questa stessa in- congruenza. I Piani struttu- rali, già istituiti dalla Regio- ne Toscana nel 1995, altro non sono che distribuzioni all’ingrosso della edificabilità dei suoli. La distribuzione al dettaglio, particella per par- ticella catastale, spetta ai successivi piani operativi. La Legge regionale 65/2014 da un lato persegue lo scopo di bloccare il consumo di suo- lo, dall’altro contiene una norma che ne consente il superamento. Il Comune di Lucca ne ha legittimamente approfittato per costituirsi una riserva di suoli, di pro- prietà privata, per possibili edificazioni, che altrimenti non avrebbero potuto esse- re urbanizzati. E, purtroppo, c’è da attendersi che altri sfrutteranno questa possi- bilità.

La pianificazione ur- banistica moderna nasce nell’Ottocento con l’intento di favorire l’urbanizzazione, configurandone l’ordine e la forma tramite piani redatti dalle amministrazioni co- munali. Tali piani sono atti normativi emanati in forza di legge e costituiscono di-

chiarazioni di pubblica uti- lità che danno la facoltà di espropriare i suoli in esso compresi. L’espropriazio- ne ha svolto, tra l’altro, la funzione di liberalizzare il mercato dei suoli urbani, essenziale perché l’urbaniz- zazione divenisse appetibile e praticabile per l’economia capitalistica. Tuttavia, fin dalla prima legge nazionale urbanistica, la già citata n. 1150 del 1942, lo scopo primario dichiarato si pre- senta come contrasto all’ur- banizzazione, in un dire che peraltro è indizio di contrad- dizione: “allo scopo - recita il testo - di assicurare, nel rin- novamento ed ampliamento edilizio delle città, il rispetto dei caratteri tradizionali, di favorire il disurbanamento e di frenare la tendenza all’ur- banesimo”. Dal dopoguerra, con questa legge in vigore e con la pianificazione basata sul suo diritto e in base a essa progressivamente im- posta a tutti i comuni, l’ur- banizzazione (in cui consiste essenzialmente il cosiddetto “consumo di suolo”) è dila- gata o no? Era necessario sperimentarla per renderse- ne conto? No. Al lettore at- tento e dotato di spirito cri- tico non poteva sfuggire pri- ma di qualsiasi sperimenta- prodotti. È così che l’urbani-

stica resta un sapere povero e una tecnica piuttosto im- potente. La teoria “tipologi- ca” ispirata da Saverio Mu- ratori è forse, tra i tentativi fondanti, la più strutturata. È presente diffusamente nelle pratiche in vari paesi euro- pei, spesso senza che vi si faccia esplicito riferimen- to. E la si può rintracciare anche nell’opera teorica e nella pratica di Magnaghi. Il tutto in assenza di una seria e approfondita confutazio- ne scientifica. Accade così che le teorie circolano come pure ideologie etico-politi- che, andando a ingrossare una variegata mitologia del territorio. L’invito ai lettori di Città Bene Comune a leg- gere e, nel caso, intervenire va dunque esteso almeno al principale contributo teori- co di Magnaghi: Il progetto

locale. Verso la coscienza di luogo (Bollati Boringhieri,

2010). In particolare, sol- leciterei i lettori a chiedersi quanto la teoria magna- ghiana sia già così scien- tificamente matura e tec- nicamente consolidata da illuminare un nuovo governo del territorio e una diversa pratica della pianificazione, tale cioè da superare la pia- nificazione urbanistica e la

salvaguardia del paesaggio tradizionali. E ciò tenendo ben presente che il diritto urbanistico è rimasto quel- lo della legge 1150/1942 e che nessuna legge regiona- le può modificarlo.

Ciò che vado argomen- tando da lungo tempo è che il diritto istituito dalla legge del 1942 limita fortemente la potenza del piano normati- vo, a tal punto da renderlo strumento utilizzabile quasi esclusivamente per le ope- razioni speculative di quegli immobiliaristi capaci di sfrut- tare le variazioni del valore dei suoli determinate dalle destinazioni urbanistiche decise dalla politica. Non sono contro la pianificazio- ne, ma nei fatti credo che lo sia il diritto urbanistico istitu- ito dalla legge del 1942, che nessuna legge regionale, né alcun piano possono mai eludere. Gli atti normativi detti impropriamente pia- ni, che si praticano a livello regionale e comunale sono per lo più - al di là delle buo- ne intenzioni - una parvenza di pianificazione, esclusiva- mente formale e burocrati- ca, ampiamente sfruttata a scopo di profitto dagli spe- culatori. Che il diritto urba- nistico istituito dalla legge del 1942 fosse un favore

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Una norma che proibisca ai comuni di apportare va- rianti allo stato di diritto dei suoli qualora comportino nuova edificazione. E vi si potrebbe aggiungere che le previsioni edificatorie preesi- stenti non realizzate vadano cancellate. E ancora, ove siano necessari interventi di edilizia economica e po- polare, si debba procedere innanzitutto al recupero pa- trimonio edilizio esistente e qualora fosse assolutamen- te necessario investire aree libere si debba procedere al loro preventivo esproprio ad evitare che gli interessi spe- culativi condizionino la loro scelta. Si potrà certo rilevare che simili proposte ben dif- ficilmente troverebbero un adeguato consenso politico ma, a differenza della legge in questione, mi pare difficile obiettare che non siano tec- nicamente valide e perfetta- mente coerenti allo scopo. zione. Ortolani, nel già citato

libro, la rileva e vi si sofferma ampiamente (rinnovo l’invito a leggere quel testo illumi- nante). E invece, la cultura ur- banistica, pur promuovendo per un certo tempo, senza successo, una riforma au- tentica del diritto urbanisti- co, si è prodigata in una smi- surata dilatazione - e relative narrazioni e retoriche - degli scopi di tutela del patrimo- nio urbano, paesaggistico, ecologico, territoriale, molti dei quali già propri di leggi e strumenti normativi specifici, come fossero perfettamente perseguibili tramite la pianifi- cazione territoriale e urbana. Come ho avuto modo in più occasioni di scrivere e ar- gomentare diffusamente (2) con l’attuale diritto urbanisti- co, non solo la pianificazio- ne normativa è impotente a conferire un ordine urbano diverso da quello della logi- ca speculativa, ma è ever- siva della tutela di qualsiasi “patrimonio” inteso come “bene comune”. Stante l’at- tuale diritto urbanistico, per perseguire qualsiasi scopo di tutela occorrerebbe che, a esempio, il cosiddetto “Statuto del territorio” fosse atto normativo elaborato e deliberato secondo proce- dure del tutto separate dai

contingenti atti di piano e a questi sovraordinato, come lo è - per intenderci - la Co- stituzione rispetto alle leggi particolari. Atti che hanno per scopo la tutela devono, a mio giudizio, contenere solo norme negative, os- sia che proibiscono ciò che altrimenti è tecnicamente possibile, e non norme che positivamente promuovono determinate azioni e ope- re, spettanti invece agli atti di pianificazione. Ho avuto modo di discuterne qualche volta con Magnaghi e mi era sembrato convenisse sulla necessità di questa separa- zione che però non ritrovo nell’ultima legge urbanistica della Toscana. Se la riforma fosse andata in questa di- rezione non sarebbe stato consentito a nessuno di pro- porre - e far approvare in for- za di inevitabili compromessi - la norma che permette di derogare al blocco del con- sumo di suolo, perché sa- rebbe stata fuori dall’oggetto legislativo.

Questo è il motivo per cui in chiusura del mio commento di dicembre ho esemplificato con quale semplice norma, chiara ed efficace, si potesse perse- guire lo scopo di impedire ulteriore consumo di suolo.

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di contributi originali scritti appositamente (…), i metodi impiegati per leggere il pae- saggio e le tecniche mes- se al lavoro nel complesso percorso di costruzione del piano paesaggistico della Toscana”. Sollevando pro- blemi, ponendo domande, affidando a più voci di di- versa matrice disciplinare la ricostruzione di un percorso “faticoso e avvincente”, che ha coinvolto studiosi delle cinque principali Università toscane afferenti al Centro Interuniversitario di Scienze del Territorio (CIST), il libro induce a (tornare a) leggere il piano paesaggistico della Toscana in modo riflessivo, con un atteggiamento aper- to al confronto e all’appren- dimento. Coerentemente con l’intento dichiarato e ri- marcato dal sottotitolo, il vo- lume offre molte suggestioni e utili indicazioni a chiunque vi si accosti con la curiosità di ricercatori e professioni- sti interessati a compren- dere come tale percorso si sia sviluppato nella pratica: come, nella sperimentazio- ne multidisciplinare che lo ha connotato, ci si sia misu- rati con il carattere polisemi- co e sfuggente del concetto di paesaggio, come si siano fatti interagire e convergere

differenti linguaggi, chiavi di lettura, metodi di analisi, e quali esiti, inevitabilmente parziali, provvisori, incerti, si siano conseguiti.

Non è possibile rendere conto in poche righe della ricchezza e profondità dei temi affrontati nei 19 saggi raccolti nel volume. All’am- pia Introduzione della cura- trice, seguono i saggi di Pa- olo Baldeschi, responsabile scientifico degli studi affidati al CIST, e di Ilaria Agostini e Claudio Greppi. Questi forniscono prospettive ed elementi interpretativi utili a comprendere il contesto entro il quale si sono svilup- pate alcune fondamentali scelte del piano: nel primo contributo sono indagati i fattori culturali, politico-isti- tuzionali e socio-economici che, sin dalla seconda metà degli 1980, hanno favorito la progressiva maturazione in Toscana dell’interpreta- zione identitaria e struttu- rale del territorio che carat- terizza il piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico: dal piano regolatore generale di Siena di Bernardo Sec- chi ai piani territoriali di co- ordinamento delle province di Firenze, Siena, Arezzo e Prato ai quali partecipa il

Dipartimento di urbanistica e pianificazione del territorio della Università di Firenze (da Cusmano a Di Pietro, a Magnaghi); il secondo con- tributo rende conto della pluralità di criteri e approcci sui quali si è fondata la deli- mitazione degli ambiti di pa- esaggio richiesta dal Codice dei beni culturali e del pae- saggio. Il cuore del volume è costituito da 14 testi scritti da studiose e studiosi di matrice disciplinare diversa, impegnati nella ricostruzio- ne dei processi di territo- rializzazione, nella indagine sulle forme di rappresenta- zione del paesaggio, nella analisi strutturale del terri- torio, e nella definizione di alcuni strumenti essenziali per garantire l’operatività del piano. Ciascun saggio restituisce le premesse e contenuti salienti del lavoro di indagine, facendo emer- gere il terreno comune di confronto metodologico, analitico e progettuale con gli altri saperi.

Il volume è chiuso da due Postfazioni affidate ad autori esterni al gruppo di lavoro: Salvatore Settis e Bas Pedroli. I loro contributi consentono di allargare l’an- golo visuale e di osservare il piano paesaggistico tosca-