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Il libro di Karel Martens -

Transport Justice. Designing fair transportation systems

(Routledge, 2017) - offre l’opportunità di discutere e confrontarsi su un tema rilevante, a partire da uno sguardo orientato a ricono- scere quali principi di giusti- zia possano essere fondativi per una politica dei trasporti. Se l’interesse per le questio- ni relative a giustizia ed equi- tà, in ricerche e contributi teorici in materia di trasporti, è ben restituita dalla nume- rosità dei contributi presenti in letteratura (Ascher, 2004; Guers, Boon, Van Wee, 2009; Currie, 2010; Levin- son, 2010; Lucas, 2012), la eterogeneità degli approcci e, in alcuni casi, la scarsa chiarezza concettuale la- mentata anche da alcuni autori (Pereira, Schwanen, Banister, 2016) in merito al significato stesso da attri- buire al termine “giustizia” applicato ai trasporti, rende il lavoro di Martens prezioso.

La questione centrale che il libro affronta non ri- guarda tanto se la pianifi- cazione dei trasporti debba basarsi su principi di giu- stizia, ma piuttosto quali principi di giustizia debba- no orientare le scelte della pianificazione in materia di

LA GIUSTIZIA

SI FA (ANCHE)

CON I TRASPORTI

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura l’11 maggio 2018.

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modelli di traffico a quattro stadi per la determinazione della domanda di trasporto e l’analisi costi-benefici, poi- ché come scrive Martens, sono guidati da criteri di ca- rattere distributivo che con- siderano persone già con una buona mobilità e sono strumenti prevalentemente orientati a quantificare, solo monetariamente, vantaggi e svantaggi generati.

 

L’importante contributo che il libro offre nell’orientare la pianificazione dei trasporti verso principi di giustizia, si misura anche con alcune questioni aperte.

La prima riguarda la de- clinazione di giustizia a cui Martens si ispira. Si tratta di una visione di tipo distri- butivo che si occupa cioè di come siano distribuiti benefici e oneri. Minore è l’attenzione verso forme di giustizia procedurale, riferita ai processi decisionali e alle procedure, per le quali, se- condo Martens, l’approccio teorico proposto rappre- senta comunque una fonte di ispirazione e un “com-

prehensive guidebook”(p.

10) per decisori pubblici e tecnici con competenze in materia di pianificazio- ne dei trasporti. Tuttavia,

alcuni passaggi essenziali dell’approccio proposto da Martens chiamano in cau- sa il ruolo delle istituzioni nel promuovere e garantire pari opportunità di accesso ai beni e servizi essenziali che le “general guidances” proposte come regole per la pianificazione dei trasporti nel capitolo 8, non affronta- no.

Una seconda conside- razione riguarda le implica- zioni operative della pro- posta di Martens rispetto a approcci e strumenti conso- lidati che rappresentano la “scatola degli attrezzi” della pianificazione dei trasporti. Nonostante Martens avver- ta, nel capitolo 8, che “the

rules presented hardly pro- vide a comprehensive ‘co- okbook’ for transportation planning”, e il suo approccio

non sia un “ready-to-imple-

ment’ approach”, scalfire

modelli consolidati e pronti per l’uso, facilmente imple- mentabili a partire da dati quantitativi disponibili, rap- presenta la sfida maggiore di questo come di altri ap- procci (per esempio gli acti-

vity-based transport models

e i travel behaviour studies) che richiedono competenze e strumenti di indagine e di integrazione tra dati quali-

tativi e quantitativi che non appartengono alla tradizio- nale cassetta degli attrezzi dell’ingegneria dei trasporti. In questo senso, anche le linee guida offerte nel capi- tolo 8 possono contribuire a costruire una dimensione operativa alla proposta, ma lasciano al contempo irrisolti molti passaggi che hanno rilevanza da un punto di vista operativo. Tra questi, ad esempio, la metodologia per stabilire il “sufficiency

standard of accessibility”

(trattata nel capitolo 7), che fa riferimento all’importan- za dei processi deliberativi come strumento utile per costruire un accordo con- diviso sui livelli minimi di ac- cessibilità da garantire a una comunità, ma al contempo non chiarisce quali siano le condizioni per garantire in- clusione e influenza al pro- cesso che, evidentemente, dipende fortemente dal contesto istituzionale in cui ha luogo.

Infine, un’ulteriore que- stione riguarda lo slittamen- to di significato di alcuni concetti proposti da Mar- tens e utilizzati anche in altri campi disciplinari, come il concetto di “potential mo-

bility” e l’opportunità di ri-

cercare intersezioni fertili tra rimentare tale approccio nel

caso di Amsterdam (cap. 9). Nelle conclusioni (cap. 10), Martens affronta le conse- guenze dell’approccio pro- posto rispetto alle pratiche ordinarie di pianificazione dei trasporti, introducendo tre ordini di implicazioni.

In primo luogo, la decli- nazione operativa del livello minimo di accessibilità, che nell’approccio proposto da Martens è definito attraver- so processi deliberativi, ha conseguenze fondamentali nell’indirizzare l’agenda del- le politiche pubbliche verso la definizione di un sistema di trasporto equo per una comunità.

In secondo luogo, una pianificazione dei traspor- ti basata sui principi di giustizia proposti, implica sperimentare un approccio centrato sulla persona, sin dall’analisi dei livelli di ac- cessibilità che prendono in considerazione, in modo esplicito e sistematico, la ubicazione residenziale, i li- velli di reddito, la disponibi- lità dei mezzi di trasporto, le competenze e le preferenze di ognuno. Questa misu- ra dei livelli di accessibilità, a sua volta, funge da lente attraverso cui analizzare il funzionamento del sistema

di trasporto. L’attenzione si sposta quindi verso la per- sona e verso il contributo che un sistema di trasporto può garantire alla possibilità di ciascuno di partecipare alla vita di una comunità, perché “justice requires

the fair treatment of per- sons, not of places (and) a justice perspective on tran- sportation planning directs the attention to individual needs” (p. 216). Questo

“personcentered approach” consente di far emergere domande latenti, poiché orienta l’attenzione della pianificazione dei trasporti verso bisogni individuali an- che inespressi, in termini di possibilità di spostamento.

In terzo luogo, l’ap- proccio proposto ha con- seguenze importanti sulle priorità di finanziamento de- gli interventi pubblici e sugli strumenti stessi per definire tali priorità. Abbandonare analisi, stime e approcci valutativi che definiscono le priorità di intervento in base a domande esistenti, proiettando quindi nel futu- ro le stesse disuguaglianze di accesso ai beni e servizi urbani, implica mettere in discussione gli strumenti consolidati della pianifica- zione dei trasporti, come i

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programmi di ricerca che si misurano sugli stessi temi. “Potential mobility” nel libro di Martens esprime la facili- tà con cui una persona può muoversi (p. 26 e capitoli 4 e 8) e dipende non solo dal- la velocità delle connessioni offerte dalle reti di trasporto e di comunicazione, ma so- prattutto dalla densità e dal- la connessione delle stesse reti. In questa definizione, centrale è quindi la qualità dell’offerta di reti di traspor- to che condizionerebbe il potenziale di mobilità, come peraltro emerge anche nel paragrafo Measuring po-

tential mobility (capitolo

8, p. 154) che definisce le modalità per calcolare tale mobilità potenziale. Diversa l’accezione che viene attri- buita al concetto di “poten-

tial mobility” all’interno dei

cosiddetti Mobility studies in cui sono le condizioni attraverso le quali un’offer- ta di trasporto può essere usata e l’uso che se ne fa, le competenze necessarie e le intenzionalità a definirne le dimensioni rilevanti. In que- sta accezione, la mobilità potenziale dipende non solo dalla disponibilità, qualità, accesso alle reti di trasporto e comunicazioni, ma anche e soprattutto dalle capaci-

tà, dalle preferenze e dalle competenze di ogni sog- getto di appropriarsi di tali reti per compiere un proprio progetto.

Al di là delle differenze rilevate, tanto nell’approccio di Martens quanto nei Mo-

bility studies è comune una

interpretazione di mobilità come pratica socio-spazio- temporale e come strumen- to di “capacitazione” indivi- duale per le opportunità a cui dà accesso, che si de- clina a partire da una atten- zione alle pratiche individua- li, piuttosto che a flussi tra origini e destinazioni. Que- sta comune interpretazione di mobilità diventa terreno fertile per ricercare possibili traiettorie di ricerca applica- ta, necessarie per dare con- tenuti operativi a contributi che incidono ancora troppo poco sulle pratiche e sulle procedure ordinarie di piani- ficazione dei trasporti.

In questo senso, il libro di Martens è un contributo prezioso.

211 viaBorgog a3 | supplemento 210 CITT À BENE COMUNE 2018 e sociale. E rivendica un ruolo importante nella ge- stione delle risorse critiche, come aria, acqua ed ener- gia, interpretando a proprio modo il tema della città am- bientalmente sostenibile; la quale, come sappiamo, si riferisce alla capacità di un territorio di autogovernare i propri metabolismi vitali, riducendo sostanzialmente il consumo di risorse non riproducibili.

Gli ambiti di applicazione dello smartness continuano in effetti a espandersi senza posa, e spaziano ormai dai processi d’innovazione rife- riti all’ambiente, all’energia, alla mobilità, all’economia, alla governance, alla socia- lità, alla sicurezza, alla ge- stione dei rifiuti, alla qualità di vita degli abitanti, fino alla predisposizione di modelli previsionali con cui guida- re razionalmente la presa delle decisioni pubbliche e private. In sostanza, par- lare in questo momento di

Smart city vuol dire riferirsi

all’impiego di una moltepli- cità di tecnologie intelligenti che attingono a poderosi database (Big Data) ser- viti da una molteplicità di sensori fissi e mobili, dro- ni, robot, attraverso cui ci si ripropone di conoscere

in tempo reale e gestire al meglio le varie funzionalità urbane. Negli ultimi tempi

Big Data si è poi incrocia-

to con Internet delle cose, potenziando notevolmente la strumentazione cono- scitiva alla base di Smart

City. I software sempre

più potenti a disposizione risultano decisivi, perché consentono di esercitare un controllo consapevole, di “situational awareness”, rispetto alle numerose va- riabili in gioco nei processi di trasformazione urbana, e rispetto anche alle loro rela- zioni d’interdipendenza che stanno diventando sempre più complesse. L’obietti- vo ultimo - nel migliore dei casi - è di indurre positive modificazioni nei compor- tamenti degli abitanti e nei loro modi d’uso della città, al fine di accrescerne l’effi- cienza funzionale ed eco- nomica, stimolando anche processi di trasparenza e di partecipazione sociale in misura impensabile nel passato. Nello scenario peggiore, Smart City è volta unicamente ad adattare la macchina delle amministra- zioni pubbliche per gestir- ne al meglio le prestazioni di servizio, comprimendo i costi di funzionamento

e migliorando l’efficienza complessiva.

Non c’è da stupirsi dun- que se la transizione digi- tale è da tempo al centro delle politiche dell’Unione europea, essendo stata ri- conosciuta come uno dei sette pilastri della strategia Europa 2020. Il suo svilup- po è inquadrato in partico- lare dal Government Action Plan 2016-20, che riassume tre obiettivi prioritari per la UE: migliorare i servizi per i cittadini, favorendo un e-

governement citizen-centric

e al tempo stesso un impie- go sempre più user-friendly delle nuove tecnologie ICT; sostenere l’invenzione di nuove funzionalità urbane grazie alla digitalizzazione; e infine (soprattutto?) cre- are nuove opportunità per i mercati globali. Con tutta probabilità saranno le città le protagoniste di questa svolta attesa nell’uso dello spazio urbano e nelle vite degli abitanti, essendo la città per propria natura il luogo elettivo di concentra- zione dei servizi innovativi e delle opportunità di mercato connesse alla nuova econo- mia della conoscenza. Nel prossimo futuro il pendolo dello sviluppo è dunque de- stinato a oscillare verso l’ur-