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POST-METROPOLI: QUALE GOVERNO?

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 20 aprile 2018.

Dello stesso autore, v. anche: Disegnare, prevedere,

organizzare le città (28 aprile 2016); Progettare il futuro o gestire gli eventi (21 luglio 2016); Arte e bellezza delle città: chi decide? (9 dicembre 2016); Pianificazione antifragile: una teoria fragile (10

novembre 2017); L’ardua speranza di una magni-

ficenza civile (15 dicembre 2017); Democrazia e ricerca della bellezza (29 novembre 2018).

Sul libro oggetto di questo commento, v. inoltre: P. Bassetti, La città è morta? Il futuro oltre la metropoli (10 novembre 2017).

193 192 CITT À BENE COMUNE 2018 viaBorgog a3 | supplemento Nell’arco di un decen- nio, lo sviluppo industriale determinò quella che appar- ve come una grande rivo- luzione urbanistica. A metà degli anni Sessanta molti dei più importanti urbanisti sulla scena milanese, tra cui per esempio Giancarlo De Car- lo, parlavano di ‘indifferenza insediativa’, per indicare che ormai con la rete viabilistica e dei trasporti esistente, per un’impresa industriale o commerciale, come per una famiglia o una persona, sarebbe stato indifferente localizzarsi in qualsiasi pun- to del territorio di quella che abitualmente era definita ‘area metropolitana mila- nese’. Così le aree libere di campagna tra i centri urbani intorno a Milano progressi- vamente scomparvero. Al posto dei prati, sorsero fab- briche e attrezzature al loro servizio; luoghi di commer- cio, scuole, complessi con- dominiali e quartieri di case popolari, con un connesso insieme di servizi collettivi pubblici di base. Nelle zone a sud di Milano, l’abbando- no dell’agricoltura fece tra- montare, dopo un migliaio di anni, la pratica agricola della ‘marcita’.

Già negli anni Settanta e Ottanta si verificò un’ul-

teriore grande trasforma- zione con il passaggio dalla città industriale a quella dei servizi. Molte industrie de- centrarono altrove le loro attività e le aree lasciate libere vennero destinate a residenze, uffici, servizi, fun- zioni terziarie e commerciali. Si avviò l’epoca del trionfo dell’automobile a livello di massa che, oltre a consen- tire un’elevata mobilità a un grandissimo numero di per- sone in tutti i punti del terri- torio nazionale e internazio- nale, fu causa di problemi di congestione del traffico in ambito urbano ma anche sulla rete extraurbana e sulle autostrade. In connessione con questo, fu lo sviluppo delle località di vacanza; la realizzazione di villaggi turi- stici, al mare e in montagna; la diffusione dei trasporti aerei, con una nuova rete internazionale e con effetti evidenti anche in Italia. Tut- to questo era indice di una situazione di benessere dif- fuso anche se questo non era tale da coinvolgere tutti i cittadini italiani. La stragran- de maggioranza dei giovani frequentava le scuole supe- riori e, in Italia, si ampliava a dismisura il numero degli iscritti all’università e quindi dei laureati, seppur in misu-

ra ancora inferiore rispetto agli altri paesi europei.

Poi si arriva agli anni No- vanta. E nell’ultimo decen- nio del secolo si verificano ulteriori gigantesche inno- vazioni, in aggiunta a quelle dei quarant’anni precedenti. Queste sono avvenute sot- to il segno del liberismo e nel quadro dei processi di globalizzazione che hanno riguardato l’intero pianeta e che ancora oggi caratteriz- zano molte trasformazioni in corso. Segnano la fine del predominio del modello culturale occidentale, l’avvio e la diffusione di tecnologie estremamente innovative e pervasive che hanno tra- sformato il nostro modo di lavorare: nelle fabbriche, in casa, nei negozi; e - nel senso più generale - nel modo di comunicare. A ciò si aggiunga lo sviluppo di una nuova e spregiudicata finanza; l’invenzione di nuovi consumi e, con una dimen- sione drammatica, le migra- zioni dai paesi meno svilup- pati del mondo crescenti a un ritmo rilevantissimo.

 

Un presente complicato e un futuro incerto

Qui siamo oggi. In un mo- mento in cui non solo la finanza internazionale ha sibile della ‘post-metropoli’

sia opportuno ricordare, almeno a grandi linee, qual è stata la realtà urbana e territoriale prima della me- tropoli. Prendiamo, a titolo esemplificativo, il caso mi- lanese in cui le mutazioni sono state particolarmente rilevanti. Certamente se giro per la città e il territorio di quella che era la provincia di Milano, vedo espressioni fisiche di molte diverse epo- che del passato. Diciamo, per intenderci, dal secondo dopoguerra a oggi. Milano, per tutti gli anni Cinquanta, era una città dell’industria manifatturiera e ai suoi con- fini - all’interno o nell’im- mediato esterno - anche dell’industria pesante. Un’industria in ascesa, che aumentava la produzione e l’occupazione, che indu- ceva centinaia di migliaia di persone a immigrare nel capoluogo lombardo. Era l’epoca del boom econo- mico, ovvero del ‘miracolo economico italiano’, gli anni in cui il reddito disponibile attraverso il pieno impiego rendeva accessibili anche alla classe operaia e impie- gatizia nuovi beni e servizi. Insieme con le fabbriche, si costruivano così le case per i nuovi e i vecchi cittadini. E

con queste i mobili, gli elet- trodomestici e - da metà anni Cinquanta - inizio anni Sessanta - anche la televi- sione.

Tutto questo comportò evidentemente una trasfor- mazione fisica della città e del territorio. Per esempio, ancora per tutti gli anni Cinquanta e per buona parte degli anni Sessanta, i quartieri esterni al corpo principale di Milano - per capirsi Gorla, Turro, Precot- to, Affori - erano nettamente separati uno dall’altro e dal nucleo centrale della città. Tra ciascuno di essi c’era la campagna, quella che progressivamente verrà edi- ficata fino creare quell’indi- stinta amalgama che oggi conosciamo. In quel tempo erano ancora molto scarse anche le automobili sulle strade. I molti lavoratori che confluivano ogni giorno a Milano per il lavoro vi arriva- vano con le vaporiere. Non c’era ancora stata l’elet- trificazione delle ferrovie e dalla linea Torino-Milano si giungeva fino alla stazione delle Varesine, poi arretrate a quella che oggi è la sta- zione Garibaldi, liberando così l’area di Porta Nuova rimasta incompiuta fino ai giorni nostri.

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connessione Internet con tutto il mondo. Questo - va sottolineato - è un processo continuo, senza interruzioni, che ha enormi conseguen- ze. E se il cambiamento degli stili di vita può esse- re indicativo dell’anima di un’epoca, penso che l’inizio di quella che stiamo vivendo possa coincidere con l’av- vio della diffusione dell’elet- tronica e dell’automazione. Queste gigantesche inno- vazioni, insieme con altret- tanto enormi cambiamenti di comportamento da parte della stragrande maggio- ranza della popolazione, certamente hanno cambiato le città, specie se della cit- tà non consideriamo solo la struttura fisica, ma anche i cittadini, tutti coloro che la abitano e la fanno vivere.

Detto questo, tutta- via, una delle cose che più colpiscono in talune delle relazioni incluse nel libro curato da Balducci-Fedeli- Curci - in particolare quella relativa al Veneto - è il fatto di aver messo in evidenza come elementi caratteriz- zanti la ‘post-metropoli’ una serie di fenomeni sociali che sembrerebbero avere poco a che fare con l’urbanistica. Mi riferisco, ad esempio, al mutamento dei rapporti di

coppia; al ridursi a dismisu- ra dei matrimoni o ai modi d’uso del tempo libero, etc. Ciò che sembra emergere è che quando parliamo di ‘post-metropoli’ possiamo intendere (e forse mettere sullo stesso piano) sia strut- ture e infrastrutture che col loro modo di essere indivi- duano ed esprimono la re- altà fisica di questa realtà, sia tutto ciò che in qualsiasi modo coinvolge la vita delle persone che in quella stessa realtà vivono. Dunque, uno degli elementi in gioco in questa trasformazione - vale a dire quella del passaggio da una condizione metropo- litana a una post-metropoli- tana - riguarderebbe il ruo- lo dell’operatore pubblico nell’affrontare queste realtà da questo specifico punto di vista. Un fatto che - ho sottolineato molte volte - è provato dal continuo, gra- duale cambiamento degli obiettivi dei diversi livelli di governo della cosa pubbli- ca. Oggi tutti i centri di una qualsiasi Città Metropolitana svolgono una molteplicità di funzioni impensabili un tem- po: per l’istruzione, la cultu- ra, lo sport, l’assistenza agli anziani e ai disabili, la tute- la della salute e molte altre cose.

Ora, qui veniamo a un punto importante. Gli orien- tamenti culturali dominanti per quanto riguarda l’asset- to fisico della città e del terri- torio sono stati in prevalenza in favore di un’azione pub- blica volta a determinarne il futuro, attraverso la forma- zione di strumenti urbanistici coercitivi: i piani regolatori dello sviluppo o della tra- sformazione urbana. E que- sti strumenti, nell’esperienza italiana, sono stati elaborati seguendo spesso le proce- dure e gli obiettivi razionalisti derivati dalla Carta d’Atene tradotti in Italia con le pre- scrizioni della legge n. 1150 del 1942. Poi le cose sono cambiate e le modalità di in- tervento nella città e sul terri- torio sono state ampiamente modificate. Si è cioè passati dalla progettazione di quar- tieri razionalisti modello alla periferia delle grandi e meno grandi città, all’attenzione per il recupero dei cen- tri storici; poi alla tutela del paesaggio e a politiche am- bientali onni-inclusive, con la creazione di aree di riserve naturali, di grandi parchi re- gionali; di parchi di interesse metropolitano o urbano; di giardini urbani e di quartiere. Vincoli ambientali che - sta- biliti e gestiti dalle autorità di dimostrato tutti suoi limiti,

ma dove anche quelle atti- vità che hanno condiziona- to la vita delle nostre città e dei nostri territori negli ultimi decenni stanno segnan- do il passo. Pensiamo, per esempio, alla grande distri- buzione commerciale. Leg- go dalle cronache che negli Stati Uniti il colosso dei gio- cattoli, Toys ‘R’ Us, dichiara fallimento. Non si tratta di un caso isolato. È acca- duto, anzi, sta accadendo questo nei paesi economi- camente più sviluppati. La grande distribuzione, quella degli shopping center che ha distrutto radicalmente il tessuto delle piccole attività commerciali alla scala locale - quello dei negozi che gio- cavano, e in molti contesti ancora giocano, una parte che ritengo essenziale per la qualità degli insediamenti umani in termini di relazioni e immagine urbana - sem- bra non funzionare più. Pen- savo che la rete dei centri commerciali - con la loro inesorabile, non contendibile ascesa - potesse costituire la ‘nuova piazza’ nel conte- sto di società tecnicamente e forse culturalmente avan- zate del nostro tempo, con un ruolo nuovo anche nel determinare la qualità del

paesaggio urbano. Anche se certamente shopping cen-

ter (o shopping mall) sono

un luogo di concentrazione di persone e le food court in ogni dove mostrano pur esse una folla di utenti, que- sto non significa che siano luogo di relazioni interperso- nali, né luoghi di incontro in contesti comunitari. In altri termini, mi pare che le cose non si siano sviluppate e non stiano andando come molti avevano incautamente e piuttosto superficialmente previsto.

Oggi Amazon, e in gene- rale gli acquisti on-line, quan- to meno per una quantità di merci, stanno sostituendo anche la grande distribu- zione. Si tratta di un’evi- dente conseguenza della diffusione a livello di massa dei mezzi di comunicazione elettronica, dell’uso sem- pre più diffuso di computer, cellulari e tablet che stanno determinando un’enormi- tà di cambiamenti nella vita delle persone, nei loro modi di rapportarsi e di lavora- re. E questo non solo nel contesto delle grandi città, ancora tutte compatte nella loro ben reale consistenza fisica, ma fino ai centri mino- ri; dappertutto, là dove vi sia - e normalmente vi è - una

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governo - dovrebbe interes- sarsi, ai diversi livelli; e ciò che invece dovrebbe essere lasciato alla libera iniziativa e decisione degli operatori privati. A livello di struttura territoriale, sembrerebbe quasi - dai discorsi che si fanno sul governo della città metropolitana, prima ancora di quella post-metropolitana - che non si possano più individuare gli attori pubblici appropriati per lo svolgimen- to delle diverse funzioni.

Ora io non credo che si possa pensare a un governo per singole funzioni, magari svolte da soggetti diversi, ovvero istituzioni private, nell’ambito di specifici modi di procedere regolamenta- ti nei singoli paesi, o in loro parti. Devo però essere ben chiaro a questo proposito che senza dubbio la deci- sione - faccio un esempio - sulla localizzazione di un aeroporto, la definizione di un importante tracciato au- tostradale o ferroviario, di un porto, di una centrale nu- cleare, di un grande centro sanitario-ospedaliero, o altre strutture o infrastrutture che per la loro importanza, per le loro esternalità riguardino una pluralità di territori e cit- tà, dovrà necessariamente coinvolgere - specie dove

appaiano più evidenti le esternalità negative rispetto a quelle positive - anche i governi dei territori interes- sati. E questo coinvolgimen- to - in una società liberale e democratica dove ogni cer- to tempo si voti - deve ne- cessariamente includere un processo di informazione, di negoziazione, di azioni di spiegazione e di convinci- mento, e anche di attribu- zione di indennizzi.

In altri termini, credo che anche per i territori post- metropolitani sia del tutto appropriato un modello ge- ografico gerarchico-gravita- zionale. Per ciò che riguar- da il Comune di base, o il Quartiere di base, la logica è che la decisione debba ve- nire presa dal Comune che interpreta le esigenze dei suoi cittadini, con un basso numero di tensioni e conflit- ti per la localizzazione delle strutture che debbano avere accessibilità pedonale. Per le funzioni di livello superiore, è chiaro che in varia misura debbano ubicarsi in cen- tri di maggiori dimensioni, con un’intersezione (ovvero

overlapping, sovrapposizio-

ne) tra funzioni micro-locali e funzioni di livello superiore. Per la soluzione delle diffi- coltà per incompatibilità esi-

stono soltanto due sistemi: la decisione di autorità, che obbliga i cittadini ad accet- tare ciò che è deciso dal go- verno dell’ambito più vasto; oppure il convincimento dei cittadini, dalla progettazione alla realizzazione, che riduca nella maggiore misura pos- sibile conflitti e contraddizio- ni. È chiaro che per talune funzioni a iniziare da quella relativa al lavoro ma anche al divertimento, alla cultura, all’arte, e a ogni altra funzio- ne nuova e di livello eccezio- nale che man mano emerga, ogni cittadino della ‘città di città’ che forma la regione metropolitana (o, allo stesso modo, ‘post-metropolitana’) si sposterà’ sul territorio in conformità alle sue perso- nali esigenze e preferenze circa gli obiettivi e i mezzi da usare. Ma non vedo per quale motivo l’autorità della Regione o della Città Metro- politana o le singole autorità competenti per ogni area vasta debba interessarsi di altro che di creare una rete di mobilità che consenta, nella maggiore misura pos- sibile, l’accessibilità ai luoghi delle peculiari eccezionali funzioni. Ciò che non do- vrebbe fare il sistema attuale di governo - in una società nella quale l’unico valore do- area vasta (nazionale, regio-

nale, provinciale) - hanno ad evidenza determinato limiti alle possibilità di espansione dell’edificato. E poi, modifi- che delle leggi urbanistiche con l’attribuzione a ogni Co- mune del potere di stabilire i propri obiettivi di sviluppo; le proprie regole; e insieme con questo la rinuncia a de- finire ex-ante la forma della città nella sua dinamica, in vista di esiti prestabiliti. Il cli- ma culturale dominante alla fine degli anni Ottanta ha cioè fatto accantonare total- mente quello che era stato lo spirito della programma- zione urbanistica e econo- mica. Certo, questo per re- alizzare obiettivi socialmente rilevanti ma non avendo in mente, nè meno che mai mettendo in evidenza come guida di una qualsiasi politi- ca, un criterio che potesse misurarsi con quello che era stato lo spirito dell’ur- banistica del dopoguerra e degli anni del boom econo- mico. E lo sviluppo ulteriore dell’urbanistica degli USA, dell’Europa, e in una certa misura anche nelle aree più sviluppate del nostro Paese, è divenuto spesso quello di attuare una regeneration dei quartieri e delle zone abban- donate causa delocalizza-

zione di industrie, o comun- que fatiscenti, per includervi le funzioni più avanzate e so- fisticate, con realizzazioni ar- chitettoniche possibilmente degli architetti più noti sulla scena mondiale.

 

Quale governo?

Che questo insieme di cose esprima una realtà diversa da quella dei decenni pre- cedenti più o meno vicini è evidente. E che questa pos- sa essere considerata quella ‘post-metropolitana’ non fa problema. Certo, sono or- mai numerosi i fenomeni che vengono qualificati o si auto- qualificano come post- o neo- e magari si potrà anche compiere una convincente periodizzazione, e attribuire un’appropriata meno vaga denominazione. Quello che tuttavia mi preme sottolinea- re è che non mi preoccupa affatto che fenomeni urbani- stici, economici, tecnologici, aventi ripercussioni alla scala individuale o collettiva, siano ambigui; non solo di difficile maneggiabilità e dominio, ma anche di difficile com- prensione per quanto con- cerne le loro interrelazioni e le loro conseguenze. Quello che ritengo di poter e do- ver dire riguarda ciò di cui il momento pubblico - id est il

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minante e condiviso è quello della libertà di comporta- mento individuale - è quel- lo di voler stabilire regole di comportamento per tutti i cittadini avendo individua- to dei criteri di giustizia, di bellezza, di conservazione e valorizzazione della natura e le modalità per raggiungere questi obiettivi. Questo, ma- gari con l’obiettivo non di- chiarato di omologare, cioè di rendere non solo omoge- nei, ma addirittura uguali tut- ti i comportamenti. Il compi- to da svolgere, adesso, per chi come noi intenda avere cura gelosa non solo della libera capacità di autode- terminazione e innovazione, ma anche di conservazione dei valori comunitari o per- sonali identitari, è quello di individuare una a una leggi e regole che, come la migliore urbanistica novecentesca ci ha insegnato, contengano concreti modi di procedere tesi a salvaguardare tanto l’interesse del singolo quan- to quello della collettività.

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titudini, la scuola fiorentina di Ezio Godoli ha celebrato di preferenza l’architettura degli insediamenti italiani affacciati sul Mediterraneo - in particolare quelli disposti lungo l’arco geografico che dalla Dalmazia arriva sino al Marocco (GODOLI, GIACO- MELLI, 2005) -, a Zurigo, a Berkeley e a Vienna, gli studiosi hanno invece dato risalto soprattutto al se-

cret modernism di Asmara,

alle meraviglie del modello

imperiale di Gondar o alla

spiccata mediterraneità del- le soluzioni progettuali esco- gitate per le isole dell’Egeo.

Con il suo Exploring the

old stone town of Mogadi- shu (Cambridge Scholars

Publishing, 2017), Nuredin Hagi Scikei ci accompagna nell’universo ancora poco conosciuto del Banaadir: regione geografica affac- ciata sulla costa dell’Oce- ano Indiano che, dalla città di Warsheekh - situata a nord della capitale somala e chiamata Uarsceik dagli Ita- liani - si estende fino a Ras Kambooni, al confine con il Kenya, inoltrandosi per circa sessanta chilometri verso l’interno della Somalia. Co- loro che oggi noi chiamiamo Banaadiri sono in realtà gli eredi di una comunità mul-

tietnica, formata oltre dieci secoli fa da popolazioni pro- venienti dal Golfo Persico e forse dell’Asia Centrale. Mogadiscio, che già nel sec. XIV, è un indiscusso centro nevralgico del Ba- naadir, era organizzata su due zone distinte, rispettiva- mente dedicate all’esercizio di diverse attività economi- che: Hamar Weyne, vicina all’ingresso principale alla città murata, era organiz- zata prevalentemente per il commercio di animali vivi (capre e cammelli) e di merci provenienti dall’Etiopia me- ridionale; Shingaani, adia- cente alla spiaggia e agli approdi delle imbarcazioni mercantili, era invece il pun- to di smistamento per i traf- fici provenienti dai vari paesi dell’Oceano Indiano e diretti verso l’entroterra. Grazie a tale rete di scambi commer- ciali - che dalle aree costiere del Banaadir si spingevano verso i villaggi più remoti del Corno d’Africa - anche la cultura islamica si propa- ga via via nell’area orientale