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VIAGGIARE, GUARDARE, CAPIRE

CITTÀ E PAESAGGI

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 1 settembre 2018.

Dello stesso autore, v. anche: Per capire bisogna

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delle cose attraverso la con- tinuità del camminare; cose in movimento per edificare la terra, tra una promessa lontana e una configurazio- ne futura.

D’altronde è il narratore stesso a offrirci il senso di tutta l’opera: proprio come ai tempi degli antichi, egli dice, la città contempora- nea è dominata da due geni, gli stessi che governarono la

polis. Vesta, la dea del foco-

lare, metafora del centro, ed Hermes, il dio della frontie- ra, simbolo della periferia. Talune città onorano Vesta consolidando e ridefinen- do il proprio corpo storico, senza cedere troppo al rin- novamento urbano; altre, a causa di eventi che le hanno devastate, sono impegna- te a sanare le spaventose piaghe dell’ultima guerra mondiale o quelle delle peri- ferie sorte nell’ultimo mezzo secolo. Riusciremo a rie- quilibrare il corpo delle città della gioia e a curare le ferite delle città del dolore? “Ri- mettere ordine - dice l’Auto- re - in questo enfio magma di costruito, riparare ai danni di una crescita incontrollata sarà lavoro delle generazio- ni future, qualora ne abbia- no la sensibilità culturale e i mezzi economici”.

Questo viaggio per il mondo pone i fondamenti di un’arte che sappia ritrovare i suoi strumenti autentici. d’affetto ed è così che ci ad-

dentriamo nella naturalezza dei prati e dei boschi, tra le costruzioni e i belvederi. La memoria è colpita da emo- zioni intense e la scrittura, lo spirito della narrazione, si ravviva. Come noi siamo, ci dice de Seta, così sono le forme, immerse (come noi) nell’ibridazione degli stili e dei caratteri. Le figure della storia, impresse nell’urba- nistica, nella natura, me- scolano drammaticamente o pacificamente tensioni e chiusure per rivelare im- previsti grovigli di situazio- ni fortunate o infelici nella vita vissuta, nell’incessante abitare che aspira a essere nuovamente un reciproco custodire, un proteggere. Ideologia, politica, cultura, forme e istituzioni, vita ur- bana si uniscono allora in un complesso disegno vivente.

In queste narrazioni sia- mo invitati dall’Autore a ri- pensare il nuovo in Brasilia, e ci troviamo anche concor- di con lui nel constatare la perdita dell’inglesità a Lon- dra, a rallegrarci o a patire per le sorti di ciò che ab- biamo chiamato ‘città’ per moltissimi secoli e che ora si avvia a sparire.

Di notevole suggestio- ne teorica, è il confronto a

proposito del concetto di tempo e di vuoto nell’analisi parallela del Ground Zero di New York e della Città Proi- bita nell’attuale Pechino: la riflessione sul tempo in que- ste due città, così lontane tra loro, rivela due diverse trame di velocità, due diver- se transizioni emotive nella perdita della Tradizione se- gnata dall’ansia del Nuovo; analogamente si manifesta- no le profonde differenze nella concezione e nella forma del Vuoto: memoria e lutto per gli americani, configurazione del Cosmo per i cinesi. Vengono mes- si in evidenza i processi di metamorfosi di un’estetica dromologica globalizzata: da un lato, a Manhattan, a Brooklyn, abbiamo la co- stante impressione di muo- verci come protagonisti di un film già visto e goduto nei suoi set quotidiani; dall’altro siamo visitatori estranei, os- servatori di trasformazioni all’insegna di un’antichità illusoria.

Il libro di de Seta si pone, infine, tra pianifica- zioni vecchie e nuove, tra immagini di conservazione e d’innovazione. L’arte del

viaggio è anche una teoria

dello sguardo che vede, de- scrive, sente, critica l’anima

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essere accresciuti in modo che l’uomo raggiunga la piena età adulta […] per- dendo il gusto della violenza innocente”.

Insomma, che ordine e disordine siano da sempre compresenti nella città è ri- flessione diffusa, come an- che che il disordine sia parte costitutiva della dinamicità della vita urbana. Argomen- tare su ordine e disordine vuol dire quindi spostarsi su un terreno impervio. Perché ovviamente non esiste un solo ordine: ciò che appa- re come disordine in una determinata parte del mon- do, e dunque nella società urbana che lo configura, è spesso solo un diverso or- dine che si trova in un’altra parte del mondo e in un’al- tra società urbana, tanto più se si guarda, come fa l’au- tore, a periodi storici diversi. Visitando una qualsiasi città asiatica o dell’Africa sub- sahariana, molti sarebbero colpiti dal loro disordine. Invece funzionano piuttosto bene, soprattutto pensando al poco di cui spesso di- spongono.

Indovina ricorda ripetu- tamente, e a ragione, che la città è il portato dell’organiz- zazione sociale e economi- ca e, aggiungo, della cultura

che la sottende, che la pro- duce e la usa, ma nel libro sembra tener poco conto del fatto che esistono cultu- re diverse nel mondo, con, appunto, le proprie specifi- che organizzazioni sociali, economiche e di governo. Per un libro che propone una riflessione complessi- va sul tema della città, del suo ordine e disordine, si configura come una man- chevolezza eurocentrica di tipo illuministico e universa- listico che di tutta evidenza cozza con il fatto che le cit- tà dell’Italia e dell’Europa, oggi, sono piccola cosa rispetto alle città (se si pos- sono chiamare ancora così, N. Brenner and C. Schmid, 2015) che si sono formate e si stanno formando altrove. E che il conflitto tra ordine e disordine non è solo un pro- blema all’interno delle sin- gole città e dei singoli paesi, ma tra modelli diversi di città a livello globale, con tutto quello che ciò comporta per la definizione di un nuovo “ordine” economico, sociale e culturale.

Aggiungiamo che il ter- reno è impervio perché or- dine e disordine, oltre a es- sere prodotti culturali della modernità in Occidente, ri- spondono spesso a sensa-

zioni largamente soggettive, difficili da definire. Affermare che “’ordine’ e ‘disordine’ si

oppongono in una specie

di lotta senza quartiere, ma pur opponendosi sono ele- menti dinamici l’uno dell’al- tro, si sostengono vicende- volmente, non si contrap-

pongono” (corsivo dell’au-

tore, p. 11), è formulare una valutazione probabilmente largamente condivisibile, ma che senza elementi di- rei “concreti” a sostegno, non porta molto lontano. E se fosse vero il contrario? La “frammentazione urba- na” avviene tra pezzi di quel puzzle urbano, che Indovina richiama nel libro (p. 110), che si contrappongono o che sono complementari? Le gated communities, cui anche Indovina fa riferimen- to, si intrecciano con ciò che sta loro intorno, o cercano di astrarsene il più possibile, contrapponendovisi? Certa- mente il rapporto tra ordine e disordine non è mai bian- co o nero, ma è necessario capire - cioè misurare - di che tono di grigio è, diver- samente non si sa da che parte andare. È come il “ri- cucire le periferie”, o la “cit- tà porosa” o “compatta”, o ancora “la città sostenibile” o “la resilienza urbana”, slo-