DISATTESA
Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 26 ottobre (I parte) e il 2 novembre (II parte).
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Paesaggio” che, per la sua valenza propriamente cultu- rale, è tale da essere collo- cata nell’orbita esclusiva dei beni culturali e quindi delle competenze statali, sono due delle più emblematiche espressioni di questa logi- ca che ha preso corpo so- prattutto in riferimento alla ripartizione delle materie del paesaggio, dell’urbanistica e dell’ambiente insieme con le corrispettive competenze in capo allo Stato e alle Re- gioni.
La seconda novità asso- luta foriera di insidie è stata vista nella percezione del
Paesaggio da parte delle
popolazioni, che caratte- rizza la definizione di Pae- saggio della Convenzione. Anche in questo caso si è assistito a una crisi di rigetto da parte della scienza pae- saggistica tradizionale che l’ha interpretata ravvisando un’incongruenza intrinseca ai contenuti della Conven- zione che, da un lato invi- tano le autorità competenti ad un’opera di sensibiliz- zazione, educazione e for- mazione delle popolazioni, presupponendone un livello di conoscenza e consape- volezza paesaggisticamente inadeguato e, dall’altro lato, affiderebbero alle stesse
compiti protagonistici di progettualità paesaggistica grazie alla loro percezione del Paesaggio. In realtà, una lettura più precisa e fedele e meno prevenuta della Con- venzione così come qualche riflessione sulla percezione come fattore connaturato al concetto di Paesaggio, sono sufficienti per fugare queste apprensioni in quanto le due concezioni non sono aprioristicamente inconci- liabili: mentre quella italiana corrente insiste esclusiva-
mente sui beni paesaggistici
riconosciuti e tutelati dallo Stato, quella del Consiglio d’Europa comprende anche questi contestualmente, tut- tavia, al resto del territorio. Peraltro,”leggere il Paesag-
gio - ed è questo uno dei più
importanti lasciti culturali di Eugenio Turri - non può pre-
scindere dalla capacità di interpretarne la percezione da parte delle popolazioni, in quanto ne è essa stessa una componente”: prescin-
derne significa compromet- tere la possibilità di formula- re politiche all’altezza della posta in gioco, compresa la stessa conservazione che invece se ne pretende im- mune. Non si tratta infatti di assumerla come canone progettuale ma come speci-
fica componente il cui ruolo è imprescindibile anche in fase attuativa e gestionale. Ritornando direttamente al libro, a proposito della fun- zione attribuita dalla Con- venzione alla percezione del Paesaggio, è opportu- no sottolineare il contributo particolarmente nitido di Mariella Zoppi che coglie in modo puntuale i vari aspetti tra i quali il ruolo soggettivo
del territorio citando James
J. Gibson e: “il ribaltamento
in cui la percezione non è più dipendente dall’osser- vatore, ma si struttura come determinante che condizio- na profondamente l’indivi- duo”. Si tratta di un tema
di primaria importanza da enfatizzare in quanto merita di essere sviluppato priorita- riamente come vedremo nel prosieguo dei ragionamenti.
Il concetto di Paesaggio
Le frizioni che si sono ma- nifestate nell’attuazione della Convenzione in Italia inducono la curatrice a indi- viduarne l’origine in due di-
verse concezioni di Paesag- gio che, aggiungiamo noi,
in certa misura prescindono dalla Convenzione, vale a dire che esisterebbero an- che se la stessa Convenzio- ne non fosse stata scritta: tà d’Italia che ha imposto
come prioritario il principio sabaudo dell’inviolabilità della proprietà privata. Que- sto fattore è generalmente riconosciuto ma non a suf- ficienza considerato nei suoi effetti più profondi e radicati: sapendo che non era suffi- ciente la publica utilitas del Paesaggio per motivarne il riconoscimento giuridico, Benedetto Croce dovette far ricorso, utilizzando le pa- role di John Ruskin, all’im-
magine del “volto amato della Patria”, all’epoca Na-
zione ancora giovane, per poter giustificare misure di limitazione della proprietà privata in nome della tutela delle bellezze naturali e sto- rico-culturali.
La nozione giuridica di paesaggio sottintesa dalla Convenzione, si fonda in- vece sull’idea che: “il ruolo
del diritto non sia quello di riconoscere e tutelare sol- tanto un valore o una bellez- za paesaggistica particolari, bensì un valore complesso che comprende il bisogno dei cittadini di stabilire una relazione sensibile con il ter- ritorio, di godere dei benefici basati su questa relazione e di partecipare alla determi- nazione delle caratteristiche formali del territorio stesso”
(José Maria Ballester, Con- siglio d’Europa, I Conferen- za nazionale del Paesaggio, 1999). Da qui l’estensione
del concetto di paesaggio a tutto il territorio nelle sue
articolazioni: di particolare
pregio, di ordinarietà e quo- tidianità così come di degra- do, e l’entrata in gioco della percezione da parte delle popolazioni.
Una delle principali re- more o diffidenze nei con- fronti della Convenzione - all’origine di gran parte delle inadempienze nella sua attuazione - è la sua presunta insidia al sistema di regole che presiedono l’individuazione, gestione e pianificazione paesaggistica dei beni naturali e culturali. La scienza paesaggistica e la relativa giurispruden- za, assorbite dai beni pae-
saggistici fino all’entrata in
scena della Convenzione, hanno in genere reagito non cogliendo l’opportunità di estendere il proprio campo d’azione bensì, al contrario, sentendosi minacciate al punto da indurle a scende- re in campo denegando tale estensione concettuale per ragioni di natura culturale e giuridica. “Tutto Paesaggio
uguale nessun Paesaggio”
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impiegati dalla Convenzione nella definizione di Paesag- gio - che aveva caratterizza- to le culture ed i relativi pa- esaggi precedenti, a comin- ciare da quella greca e ro- mana: la parola neerlandese
landschap, come riferisce la
Martinet, o lantscap, come rettifica Luginbühl, è com- parsa nel momento in cui si affermava l’estinzione di uno degli habitat umani più tipici del rapporto simbiotico tra comunità e territorio, quello litoraneo del Mare del Nord, testimoniato dai cosiddetti
commons delle terre umide
definiti per diritto consuetu- dinario. La parola che cono- sciamo in italiano come Pa-
esaggio esprimeva e com-
prendeva quindi in origine sia l’insieme di componenti fisiche ed antropiche di un luogo sia il distacco perce- pito da colui che le rappre- sentava. L’evoluzione della frattura ha portato con sé la faglia che si è determinata tra rappresentazione e rap- presentato, fino ad assume- re i connotati di paradosso rilevati da Jakob. Per inciso, possiamo aggiungere in parallelo un’altra chiave di lettura di questo fenomeno pensando al “processo di
desacralizzazione della Ter- ra” che sottende il Libro dei
Luoghi di Giovanni Ferraro,
pubblicato postumo nel 2001, ed è questa una pro- spettiva inedita e di indub- bio interesse suscettibile di essere sviluppata in termini paesaggistici.
Annalisa Calcagno Maniglio individua il supe- ramento di queste frizioni - che in altri termini signi- fica la ricomposizione del rapporto rappresentazione/ rappresentato - attraverso il passaggio, in qualunque fase operativa di piano o progetto: “da una lettura
percettiva, alla compren- sione della realtà oggettiva del Paesaggio: è necessario impadronirsi della sua fisici- tà costituita da un insieme complesso di elementi, bio- tici e abiotici e di interventi antropici e nelle relazioni tra loro interconnesse ed evol- venti”. Il concetto di scienza del Paesaggio richiamato da
Maguelonne Déjeant-Pons si chiarisce e assume una fisionomia definita tramite un concetto di Paesaggio che comprende la sogget- tività del territorio e dei fat- tori naturali nei loro rispettivi ruoli così come la reciproca percezione.
Vincoli e conservazione attiva
L’attuazione della Conven- zione non si limita quindi ad estendere a tutto il territo- rio il concetto di Paesaggio ma ne modifica la natura, e questa diversa accezione interessa anche i beni pa- esaggistici. La matrice del vincolo paesaggistico è la
rappresentazione (il volto
amato della patria) senza la necessaria e contestuale attenzione al rappresentato: la stessa Legge Galasso del 1985, motivata dall’emer- genza per la tutela di zone di particolare interesse am- bientale, riconosce i propri limiti affermando nella Re- lazione che essa: “mira a
risolvere esclusivamente gli aspetti di tutela paesaggi- stica e ambientale, senza coinvolgere aspetti più ge- nerali di tutela del territorio”,
motivando la scelta con i
tempi richiesti da questa
operazione, “pregiudizievoli
per la necessaria tempesti- vità” soprattutto in presen-
za della sopraggiunta Leg- ge sul condono edilizio (L. 47/1985) dello stesso anno.
Passività dell’approccio vin-
colistico preordinato alla tu- tela del Paesaggio, parzia-
lità degli aspetti della realtà
paesaggistica considerati in l’accezione ancora preva-
lente che fa riferimento agli
aspetti visivi e all’immagine soggettiva grazie alle infor-
mazioni percepite, e l’acce- zione della: “comprensione
scientifica e oggettiva del Paesaggio [che] permette di analizzare e comprendere ogni suo elemento, proces- so, struttura, meccanismo evolutivo”, già richiamata
con l’espressione: dimen- sione paesaggistica: “alla
stregua di un’entità fisica”.
Nel suo Il Paesaggio, Michael Jakob parla di que- sto dualismo in termini di paradosso - o meglio uno dei paradossi - della parola Paesaggio, che è utilizzata sia per la rappresentazione (per semplificare: il quadro, l’opera artistica, etc.) sia il
rappresentato, vale a dire
la cosa in sé, ciò che si pre-
senta a qualcuno in quan- to Paesaggio. Non è dello
stesso avviso Jeanne Mar- tinet, semiologa francese, che nel suo intervento tito- lato “Le paysage: signifiant
et signifié” (Lire le paysage. Lire les paysages. Acte du colloque des 24 et 25 no- vembre 1983) sostiene che: “il n’est pas surprenant que soient désignés du même terme une réalité et sa re- présentation iconique. On
dira “Voilà Pierre” aussi bien en face de la photographie de Pierre que de Pierre lui- même”. La Martinet esprime
questa valutazione in una cornice assai più ampia di ragionamenti sulla nascita del neologismo paysage - la cui matrice ha marcato il versante latino delle lingue europee - che vien fatta ri- salire alla metà del XVI se- colo come traduzione del fiammingo landschap nato circa un secolo prima, a in- dicare una tendenza della pittura fiamminga a rove- sciare la scala di valori fino a quel momento seguita,
attribuendo al Paesaggio un ruolo protagonista e di sog- getto autonomo rispetto alle altre figure. Questa inter-
pretazione non è univoca. Il tema è stato approfondito in particolare da Yves Lu- ginbühl, uno dei padri della Convenzione, che introduce altri elementi di valutazio- ne, mantenendo tuttavia il concetto che il neologismo
Paesaggio indichi la per-
cezione di un distacco nel
rapporto tra uomo e natura.
La sua introduzione celebra, in particolare, il venir meno dello stato di equilibrio nel rapporto di interazione tra fattori umani e fattori natu- rali - per utilizzare i termini
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ma, in questa sede, della stessa patologia che pro- voca inadempienze, ritardi e distorsioni nell’attuazione della Convenzione dovreb- be indurre a pensare che la malattia ha origini endoge- ne e non esogene rispetto al quadro nazionale. In altri termini l’approccio oggi do- minante si rivela inefficace proprio sul terreno, la tutela esclusiva dei beni naturali e culturali, che maggiormente dovrebbe essergli conge- niale. La stessa conside- razione vale per la Racco-
mandazione UNESCO sul Paesaggio urbano storico del 2011, che quantomeno
meriterebbe, per la sua au- torevolezza, di essere tenu- ta in considerazione come riferimento culturale e giuri- dico per cominciare a riflet- tere sul ruolo dei beni con- siderati e sulle misure finora adoperate: al “ruolo passivo
sia di conservazione sia di gestione dei Siti”, l’UNE-
SCO contrappone “la logica
dello sviluppo endogeno, basato sui valori dei beni riconosciuti, in funzione del benessere complessivo del territorio e della collettività”
e non come fini a sé stessi, volontariamente avulsi dal territorio per timore di con- taminazione.
Non è azzardato quindi affermare che l’inattitudine a praticare forme di interven- to diverse da quelle passi- ve si esprima non solo nei riguardi di provvedimenti internazionali innovativi quali la Convenzione attraverso inadempienze, ritardi e di- storsioni nei meccanismi attuativi, ma anche laddove si impongono per effetto di politiche condivise d’ufficio e consolidate come quelle relative al Patrimonio mon- diale dell’UNESCO.
Il riconoscimento giuridico del Paesaggio
Entrando nel merito dei ter- mini specifici della questio- ne circa il perché la Con- venzione incontri in Italia le resistenze o addirittura il ri- getto riscontrati nel periodo considerato nel libro, vale la pena soffermarsi sugli aspetti sostanziali e formali del riconoscimento del Pa- esaggio nell’ordinamento giuridico italiano: come ab- biamo visto, la prefazione della Déjeant-Pons sottoli- nea questo aspetto. Il libro non trascura l’argomento, dedicandogli un capitolo che però sembra incom- pleto nella documentazione di riferimento e nelle con- clusioni. In particolare, si
menziona “l’apertura della
Convenzione alla sottoscri- zione a Firenze nel 2000 e la procedura di recepimen- to avviata, tramite Accordo dell’allora MIBAC Stato-Re- gioni e con le Province auto- nome”, segnalandone però
il superamento di fatto con l’entrata in vigore del D.Lgs 42 del 22 gennaio 2004 (il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio) modifica- to nel 2008 in ragione so- prattutto della ridefinizione dei ruoli e della ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni. L’argomento è ulteriormente sviluppato o menzionato nei contributi di approfondimento, con par- ticolare riferimento a quello di Gian Franco Cartei, di Ni- coletta Ferrucci e di Antida Gazzola, Roberta Prampo- lini e Daniela Rimondi, ma anche di Adriana Ghersi che dà per scontato che il Codice dei Beni culturali e del Paesaggio si riferisca ai soli Beni paesaggistici. Nel contributo di Carlo Ma- gnani e Emanuel Lancerini, in riferimento all’art. 9 della Costituzione si richiamano i doveri dello Stato nei con- fronti del Paesaggio men- tre è consolidato il giudizio che il soggetto Repubblica usato in questo articolo de- quanto circoscritti alla per-
cezione visiva, e frammen-
tazione nell’esercizio delle
proprie funzioni da parte dei singoli soggetti istituzionali competenti in materia, sono insieme i limiti che com- promettono l’efficacia della scienza paesaggistica italia- na e dei suoi strumenti e gli ostacoli contro i quali si mi- sura l’attuazione della Con- venzione in Italia. Questa tesi è illustrata puntualmente nel libro nelle parti sia prima sia seconda, con particolare ma non esclusivo riferimen- to al contributo di Roberto Gambino che trae sostan- za considerando il tema emblematico del: “rapporto
tra parchi e paesaggio, […] tra politiche volte a tutelare aree di particolare interesse naturale o culturale (a par-
tire dai Siti UNESCO) e […]
politiche intese a tutelare e valorizzare i paesaggi”.
Gambino interpreta quindi, innanzitutto, la Convenzio- ne in chiave territorialista, in una: “visione sistemica
che fonda sulle interazioni dinamiche tra oggetti diversi la produzione di sistemi di valori”, per focalizzare poi
l’attenzione sull’incapacità da parte della tutela passi- va di garantire la conserva- zione che invece si ottiene
con misure tali da produrre effetti positivi: approccio
olistico, conservazione atti- va e reciproca integrazione di ruoli e competenze sono
gli elementi che consentono in Italia di superare insieme questi limiti e gli ostacoli all’attuazione della Conven- zione.
Il riferimento all’UNE- SCO fornisce il destro per una diversione sulle politi- che nazionali in tema di beni naturali e culturali di inte- resse mondiale. In questo caso, non ci sono margini di equivoco o diversa inter- pretazione concettuale della parola Paesaggio in quanto l’UNESCO considera esclu- sivamente la categoria dei
paesaggi culturali. Osser-
vando lo strumento dei Piani di Gestione dei Siti del Pa- trimonio mondiale introdotti nel 2002 dalla stessa UNE- SCO - e recepiti dall’Italia con la Legge n. 77/2006,
Misure di tutela e fruizione a favore dei siti Unesco - e la
sua applicazione, ritroviamo il manifestarsi degli stessi sintomi di passività, parzia- lità e frammentazione, que- sta volta in veste di fattori limitanti o compromettenti l’attuazione delle politiche paesaggistiche propugnate dall’UNESCO. La confer-
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senza ambiguità come ef- fetto della Convenzione in termini di riconoscimento giuridico del concetto di Paesaggio riferito all’intero territorio - trasformandolo in luogo - e non ai soli beni paesaggistici. Interesse generale del Paesaggio e Partecipazione L’importanza di questo aspetto è evidente in sé ma anche in riferimento a questioni apparentemente lontane come la legislazione del cosiddetto Terzo Setto- re, che interessa in modo particolare gli Osservato- ri del Paesaggio, e, più in generale, le forme di parte- cipazione e di cittadinanza attiva in materia di Paesag- gio, che fanno riferimento all’applicazione dell’art. 118 c. 4 della Costituzione. Il D.Lgs. 117/17 “Codice del Terzo Settore” riguarda gli organismi che esercitano attività di interesse generale, evocando il postulato della Convenzione relativo all’in- teresse generale costituito dal Paesaggio citato all’ini- zio. L’elenco di tali attività, ancorché non esaustivo e suscettibile di modifiche, è contenuto all’art. 5, comma 1 e comprende, alla lettera
f),”gli interventi di tutela e va-
lorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio, ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modificazioni”.
È del tutto evidente l’im- portanza di convenire senza ambiguità che la locuzione
tutela e valorizzazione del paesaggio si riferisce, ai
sensi del D.lgs. 42/2004, al Paesaggio inteso come da Convenzione recepita, e non esclusivamente ai beni paesaggistici. Il riferimento al D.Lgs. 117/17 è puntuale e circoscritto ma la rilevanza di tale questione è meglio apprezzabile considerando a monte l’art. 118, c. 4 della Costituzione che impegna Stato, Regioni, Città metro- politane, Province e Comu- ni a “favorire le iniziative di
cittadini singoli e associati
per lo svolgimento di attività
di interesse generale sulla base del principio di sussi- diarietà”.
La citazione di questi riferimenti può contribuire a sviluppare le considera- zioni svolte dalla curatrice a proposito della democrazia partecipativa indotta e pa- trocinata dalla Convenzione con i relativi problemi di re- cepimento in Italia da parte di una popolazione priva
della necessaria cultura pa- esaggistica. Annalisa Calca- gno Maniglio coglie l’impor- tanza della posta in gioco ri- levando che Paesaggio non è più la parola interpretata dai viaggiatori stranieri tra fine ‘800 e primi ‘900 come evocatrice di: “bei Paesag-
gi, siti pittoreschi e luoghi ‘dell’eterna primavera’” es-
sendo diventato un termine del rapporto tra popolazione e contesto di vita sociale ed ambientale, non elitario né circoscritto a luoghi parti- colari, perché: “ogni luogo
è Paesaggio”. Se i cittadini nel rapporto con il proprio habitat costituiscono la fi-
sionomia del Paesaggio oggetto della Convenzione, non si può negare tuttavia la scarsa consapevolezza di questa circostanza da parte degli stessi cittadini: da qui la necessità ed il senso della Scienza del Paesaggio che costituisce il leitmotiv del li- bro. Nel condividere questa convinzione si può aggiun- gere come tema nuovo da sviluppare la presenza nel nostro Paese dei principi appena citati - originali ed unici rispetto al contesto eu- ropeo - riassunti nel termine sussidiarietà verticale e oriz- zontale - racchiusi nell’art. 118 della Costituzione - signa non il solo Stato bensì
l’ordinamento composto da Stato, Regioni, Città metro- politane, Province e Comuni ai quali la Costituzione ha attribuito tali doveri, con ciò allargando in modo conse- guente il quadro delle relati- ve responsabilità e non eso- nerandone nessuno.
Le conclusioni sembra- no comunque univoche nel considerare quantomeno parziale, o non congruo rispetto alle finalità, il re- cepimento giuridico della Convenzione nell’ordina- mento italiano, ma ciò ri- sulta in contraddizione con gli Atti parlamentari prodro- mici all’approvazione della Legge 14/2006 “Ratifica
ed esecuzione della Con- venzione europea sul pae- saggio, fatta a Firenze il 20 ottobre 2000”: nell’analisi tecnico-normativa, in parti-
colare, si sottolinea e addi- rittura rivendica all’Italia un ruolo fondamentale svolto nel negoziato di stesura del testo della Convenzione, sia nelle scelte delle tema- tiche sia nell’elaborazione stessa del testo e che, per il suo recepimento, non c’era necessità di apportare mo- difiche all’ordinamento in quanto ciò era già avvenuto integralmente con la stesura
e l’emanazione del Codice dei Beni culturali e del pa- esaggio, prima ancora che la Convenzione entrasse in vigore a tutti gli effetti, vale a dire il 1o marzo 2004. Se- gue una meticolosa e pun- tuale illustrazione dei singoli contenuti della Convenzione