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COSTRUZIONE

DEL FUTURO

Pubblicato sul sito web della Casa della Cultura il 1 marzo 2018.

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nicazione sono responsabili della dissoluzione dei confini urbani. Due processi che si sviluppano in parallelo e non il secondo a scapito del primo come si era pensato per lungo tempo. “Le grandi città oggi - scrive Martinotti - sono compresse dalla so- vrapposizione di due grandi cicli tecnologici: trasporto materiale e trasmissione di informazioni” (p. 124).

I confini urbani tradi- zionali sono solo uno degli elementi che condizionano le nostre capacità di azione senza determinarle. La cre- scente importanza della Po- polazione Non Residente, è un’altra leva che scardina le modalità di funzionamento della città tradizionale. Un tema che lo stesso Marti- notti ha introdotto nel suo lavoro sulle nuove popo- lazioni urbane il cui esito è stato raccolto in Metropoli.

La nuova morfologia socia- le delle città pubblicato dal

Mulino nel 1993. Un tema che continua a essere igno- rato dalle statistiche ufficiali e dalle politiche, ancora sostanzialmente basate sul- la città dei residenti senza considerare una popolazio- ne sempre più importante che vive, attraversa, usa la città senza che sia rico-

nosciuto il suo impatto. Si tratta di popolazioni diverse che si configurano come attori importanti della tra- sformazione della metropoli, che determinano domande di hotel, uffici, luoghi di in- contro e di svago, ristoran- ti, centri commerciali e che trasformano la città sotto la loro spinta. Vivono negli ae- roporti, nei centri commer- ciali, nelle stazioni dell’alta velocità, nei business di-

strict, che non sono “non

luoghi” (qui la polemica con Marc Augé è esplicita), ma i veri luoghi della contem- poraneità, un nuovo layer che si sovrappone a quello della città tradizionale, com- plessificandone la struttura spaziale.

Grande attenzione è dedicata allo sviluppo delle reti sociali a distanza, di cui Martinotti si è occupato fra i primi con i suoi studi sugli effetti spaziali delle nuove tecnologie fin dagli anni ‘80. In questa lezione ritorna sul tema: pur osservando che non era mai avvenuto in passato che si potessero intessere relazioni in tempo reale con interlocutori che non conosciamo, che non possiamo collocare social- mente e geograficamente, Martinotti non assume un

atteggiamento ‘millenarista’, di dissoluzione dello spazio, ma ci propone una prospet- tiva la cui parola chiave è “ricombinazione”. Ricombi- nazione fra spazio pubblico e spazio privato, tra spazio delle relazioni a distanza e spazio fisico, con una im- portanza decrescente di quest’ultimo che però con- tinua a offrire una resistenza allo sviluppo del comples- so delle relazioni tra umani, e tra umani e non umani. “Come è accaduto in gran parte dei casi di innovazione tecnologica - scrive Marti- notti - il processo non è un gioco in cui se l’uno vince l’altro deve per forza perde- re ma uno scambio positivo e sinergico” (p. 138). E con- cludendo su questo nota che “risulta ormai evidente che in ogni parte del mondo la città tradizionale e la ‘me- tropoli di prima generazione’ che hanno caratterizzato la vita urbana nella porzione centrale del secolo scor- so, hanno ceduto il passo a un tipo del tutto nuovo di morfologia urbana che sta creando una serie di Grandi Regioni Urbane in cui for- me differenti di insediamenti umani si mescolano inestri- cabilmente fino a costituire un’entità urbana nuova ma scita e lo sviluppo delle cit-

tà nella storia, mettendo in luce ascesa e declino delle formazioni urbane, delle quali ci propone un’inte- ressante interpretazione. “L’urbanizzazione antica - osserva Martinotti - ci parla dell’evoluzione della specie umana come un processo non lineare. È più plausibile descrivere questo processo attraverso l’immagine di un ‘albero kierkegaardiano’ in cui a ogni fase si presenta- no diverse alternative e fra queste ne viene poi segui- ta inevitabilmente una sola. Ripercorrendo all’indietro e, per così dire, dalle foglie al tronco, la successione degli eventi, si può talvolta - se- condo l’autore - ricostruire la logica di una sequenza di scelte successive. Ma non quella di alternative che, essendosi perse nel tempo, sfidano la ricostruzione ra- zionale al pari dell’indagine sul futuro. In un certo senso ciò che è reale è razionale, ma solo nel senso in cui, come dice Weber, ‘la storia è un dado truccato’ e quindi la necessarietà degli even- ti successivi è dipendente solo dalla restrizione delle alternative data dagli eventi precedenti. Non dunque da un ‘grande disegno’ imma-

nente o rivelato che sia” (pp. 88-89).

La terza lezione, Dalla

metropoli alla meta-città, ri-

discute le significative inno- vazioni che Guido Martinotti ha introdotto nel corso di un lavoro di anni teso a spie- gare, chiarire e interpretare il nuovo fenomeno urbano. Ripartendo dalla scuola di Chicago e dalla definizione di città proposta da Louis Wirth sulla base di tre sem- plici variabili: taglia, densità ed eterogeneità, Martinotti mostra come nessuno dei tre parametri sia oggi utile a definire l’urbano. Non lo è la taglia perché la città si è allargata nel territorio in- globando precedenti strut- ture insediative; non lo è la densità perché in una città che ha perso i suoi confini spesso troviamo densifi- cazioni che si alternano a rarefazioni; non lo è l’etero- geneità che pone problemi di scala. Quella avvenuta è una trasformazione pro- fonda non percepibile alla scala dell’esperienza quo- tidiana. Una trasformazio- ne che rende superati sia il concetto di città che quello di metropoli di prima gene- razione. L’esplosione della mobilità e lo sviluppo straor- dinario dei sistemi di comu-

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della popolazione del piane- ta che Martinotti ci invita a considerare con gli strumen- ti delle scienze demografi- che. E, da questo punto di vista, se guardiamo a quan- to è avvenuto nel XX secolo, ci rendiamo conto che non è detto che non si possa ar- rivare a una stabilizzazione della popolazione anche nei paesi del Sud del mondo, quelli in cui oggi la crescita è più sostenuta. Analogamen- te dobbiamo riconoscere l’inevitabilità e la necessità di trattare il tema delle mi- grazioni che sono sempre state ingrediente fondamen- tale della capacità delle città di innovarsi e trasformarsi. “La società multiculturale intesa come società in cui sono presenti popolazioni di culture diverse - scrive Mar- tinotti - è un dato di fatto, ma non dobbiamo illuderci che si tratti di uno stato pacifico della società” (p. 235). Altre grandi tendenze in atto sono quelle che riguardano i pro- cessi di urbanizzazione, le modificazioni dell’ambiente, degli stili di vita e dei rapporti tra generazioni. E proprio a conclusione di quest’ampia riflessione sul futuro viene a galla un atteggiamento pie- no di speranza che ci fa ri- flettere su cosa può fare un

progetto di fronte alla gran- de complessità dei fenomeni sociali urbani. Qualsiasi pro- getto, forse anche quello di vita di uno studioso come Guido Martinotti.

Il libro si conclude con un passo tanto saggio e condi- visibile quanto commovente che voglio riportare a chiu- sura di questo mio scritto senza alcun commento:

“Chi trasmette la propria

esperienza - scrive Guido

Martinotti - ha l’ambizione

e l’illusione di consegnare al destinatario un messaggio esauriente in cui ogni virgo- la, ogni accento ha un signi- ficato ben preciso che non dovrebbe andare perduto. Ma il destinatario recepisce solo dei frammenti e li riuti- lizza come meglio gli riesce: solo con lo studium, cioè la fatica dell’imparare, che va molto al di là di quella che ci viene imposta nelle aule scolastiche, ciascuno di noi riesce a dare un senso più o meno coerente ai frammenti della propria vita, unendoli ai frammenti dell’esperienza della vita di chi ci ha prece- duto, in un’opera di costru- zione del futuro sul passato che non ha mai fine”.

ancora indefinita, che qui - scrive - per ragioni analitiche già dette, chiamiamo meta- città” (p. 136). Per quanto ri- guarda il nostro Paese, Mar- tinotti trova sorprendente “che nel periodo di circa cin- quant’anni in cui l’Italia urba- na si è trasformata prima in paese metropolitano e poi in un conglomerato di meta- città, il sistema pubblico non sia riuscito a darsi pure una parvenza, non di governo metropolitano, che forse oggi è anche un concetto obsoleto, ma neppure - af- ferma - di una qualsivoglia forma di coordinamento o di governance, chiamiamo- la come vogliamo, mentre la cultura urbanistica si ba- loccava con l’idea di ‘ritorno alla campagna’ o altro. Così - conclude l’autore - l’intera iniziativa dello sviluppo pe- riurbano è stata lasciata ai

developers, particolarmente

ai grandi padroni dei flussi, ferrovie autostrade, oleodot- ti, metanodotti, linee elettri- che, network elettronici e via dicendo” (p. 135).

La quarta lezione, Le

disavventure del bardo ur- bano, contiene un appel-

lo al rigore metodologico nella ricerca sociologica urbana. È un testo scritto in modo graffiante, ironico

e fortemente polemico nei confronti di alcuni studi che vengono smontati e rimon- tati criticamente per metter- ne in evidenza debolezze, anche però con la capacità di identificare ricerche esem- plari che quelle debolezze sono state capaci di evitare. Quello del rigore nella ricerca è un tema ricorrente in tut- to il libro, che parte dall’in- segnamento di Alessandro Pizzorno e viene ripreso in tutte le sei lezioni. Ma, in particolare, viene ripreso nel- la quinta, dedicata a Città e

violenza, dove si affronta il

tema in chiave di impegno civile, sottolineando quanto sia importante districarsi tra una comunicazione politica che per ragioni di bottega di partito agita paure che non hanno riscontro nella realtà dei dati, e una ricerca fon- data su dati empirici, solidi, quelli necessari per costruire politiche appropriate.

La sesta lezione si intitola

Una città per tutti? È quella

in cui Martinotti si interroga sul futuro della città osser- vando che, pur non essen- do facile prevederlo, ci sono alcune grandi “navi” che hanno imboccato rotte che difficilmente potranno essere completamente invertite. Un primo grande tema è quello

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dagine e di progetto, assai distante da qualunque for- ma di rappresentazione che possa rendere l’architettura accattivante, seducente, fo- togenica.

In tutti i saggi si eviden- zia la coerenza costante nell’interpretare la moderni- tà nel rapporto con la storia dei luoghi, sebbene i pro- getti siano nati per occasio- ni e in tempi diversi. Annoto alcune altre considerazioni degli autori. Andrea Sciascia sottolinea come la interazio- ne tra progettista e città si concretizzi “in una selezione dei materiali esistenti molto serrata” e “in un lavoro di scavo dove il progettista ha il dovere di esprimere con precisione delle domande dovendo, poi, formulare con altrettanta oculatezza delle risposte”; e, ancora: “Tutti i ritratti insieme - scri- ve Sciascia - permettono di vedere la Milano progettata da Torricelli come un’unica immagine dove architetto, architettura e città, pensiero e realtà, si sovrappongono senza distinzione”. Chiara Baglione sostiene che “il va- lore dei progetti di Torricelli non deriva da un’aprioristica volontà di produrre immagi- ni dimostrative, ma è la con- seguenza dell’applicazione

coerente di un metodo tan- to nella lettura del tessuto urbano e delle sue fratture, quanto nella definizione di strumenti progettuali per agire su quel tessuto con appropriatezza”. Giovanni Comi, invece, rileva che “il concetto di luogo archi-

tettonico si trova esposto

nelle relazioni di progetto e in diversi testi, nei quali la descrizione che Torricelli fa di alcuni suoi edifici non è affrontata a partire dagli aspetti di pura immagine ma, per contro, dalla pre- cisazione del significato di luogo - riconosciuto nell’in- sieme delle condizioni sto- ricamente determinate - a sottolineare il debito che ciascuna opera ha con il ca- rattere del sito”. Giuseppe Di Benedetto conclude che: “Quella utilizzata da Torricelli è una rappresentazione nel senso della Vorstellung, che contiene una dimensione concettuale e riguarda non l’immagine in sé o come espressione autonoma (Darstellung), ma la forma nella sua strutturazione as- soluta, nella sua potenzia- lità costruttiva e nella sua condizione storica. Visti nel loro insieme, nel loro essere connessi da un’unica ‘diret- trice lineare’ di racconto -

prosegue Di Benedetto - le sperimentazioni architetto- niche per una Milano pos-

sibile appaiono generate da

riflessioni fenomenologiche e trascendentali sulla Milano

com’è”.

Vorrei, ora, riflettere sui “quadri” per Milano, attra- verso la mostra di Palermo che consente di coglierne la sequenza con maggior chiarezza e facilità. Mi sono interrogata sul significato del titolo: ché Angelo Torricelli, essendo profondo conosci- tore della pittura e delle tec- niche pittoriche, mai potreb- be confondere il bozzetto di un quadro con lo schizzo di un progetto e viceversa; né praticherebbe una rappre- sentazione dell’architettura che sia fine a se stessa. Il quadro coincide con l’opera ed è condizionato dai bordi della tela (come le osses-

sioni di Mondrian testimo-

niano). Il progetto è l’idea di un’opera, rappresentata secondo i rapporti di simili- tudine dettati dai teoremi di Euclide. E la dimensione del disegno/rappresentazione non è determinata dal sup- porto cartaceo o elettronico, bensì dal rapporto scalare scelto in funzione delle que- stioni da affrontare e risolve- re. Perché allora “Quadri per