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Definizione ed evoluzione del concetto di famiglia e del suo ruolo nello sviluppo del minore

Le profonde modifiche dello status del bambino del XX se- colo, che dall’essere considerato un oggetto, nel campo giuridi- co ed anche in quello sociale, è passato a vedersi riconosciuto lo status di persona, non solo come figlio ma anche e soprattutto come individuo, sono avvenute parallelamente a fortissimi cam-

biamenti della famiglia tradizionale e del concetto di famiglia. Offrire una definizione di famiglia non è impresa facile, perché ci si addentra in una fitta rete di significati e sensi che provengono da terreni ideologici e religiosi, poco praticabili in ambito scientifi- co e professionale. La famiglia è una realtà complessa, è quella spe- cifica ed unica organizzazione che lega e tiene insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano, quella tra i generi (maschile e femminile), tra le generazioni (genitori e figli) e tra le stirpi (ov- vero l’albero genealogico, materno e paterno) e che ha come obietti- vo e progetto intrinseco la generatività (E. Scabini – R. Iafrate, 2003) In considerazione di queste difficoltà di dare una definizione univoca, la tendenza è quella di utilizzare il sostantivo plurale fami- glie per uscire dal rischio di considerare come elettiva una unica forma familiare, quella nucleare (Bronfenbrenner, 1979). In questa logica si includono tutte le possibili forme odierne di struttura familiare, come la famiglia monogenitoriale, adottiva, ricomposta, divisa, e altri mo- delli ancora. (Pojaghi, 2003) Il concetto di famiglie, piuttosto che di famiglia, aiuta anche focalizzare le molteplicità di relazioni tra i suoi componenti e a valorizzarla non in quanto tale, ma piuttosto come mi- crosistema che svolge un ruolo fondamentale nello sviluppo dei mem- bri che lo compongono. In questo microsistema familiare si possono in- dividuare differenti relazioni che il bambino istaura con la madre, con il padre e con i fratelli, a cui attribuisce modalità interattive diverse, tutte fondamentali per lo sviluppo socio-affettivo del minore (Pojaghi, 2003). Come abbiamo visto, il modello di sviluppo del bambino, sca- turito dagli studi degli ultimi cinquanta anni, inserisce la relazione diadica madre-bambino in un sistema più complesso, in cui le intera- zioni si caratterizzano per la loro interdipendenza. Secondo il modello

ecologico di Bronfenbrenner, il microsistema familiare, le prime intera- zioni sociali con la madre ed in componenti della famiglia, sono le vere radici dello sviluppo mentale e socio-affettivo del bambino. La cono- scenza del minore trae origine dall’interazione tra soggetto e ambiente e il suo primo contesto ambientale è la famiglia. Un insieme di osser- vazioni sperimentali hanno supportato la teoria circa le valenze comu- nicative, affettive e cognitive di alcuni scambi tra il bambino e il care- taker, portando al superamento della tradizionale separazione tra lo sviluppo cognitivo, lo sviluppo sociale e quello affettivo del bambino.

La famiglia dovrà, pertanto, essere intesa come quell’aggregato di dimensioni tali da consentire una facilità di scambi e di relazioni, sia al suo interno che verso l’esterno, consentendo al bambino di sperimen- tarsi e di strutturare le sue caratteristiche. Imparando a relazionarsi nel suo “microsistema familiare”, il bambino avrà gli strumenti per intera- gire anche in altri microsistemi, con specifiche modalità e routine interat- tive e comunicative, come all’asilo nido, a scuola e nel gruppo dei pari.

2.8.1. Il concetto plurale di “famiglie” nel quadro costituzionale europeo

L’importanza di non restringere la definizione di “fami- glia” in una categorizzazione troppo stretta, privilegiando un con- cetto plurale di “famiglie”, è stata recepita da una importantissima normativa internazionale, la Carta dei diritti fondamentali dell’U- nione europea, proclamata ufficialmente a Nizza nel dicembre 2000 dal Parlamento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione. La Carta è diventata giuridicamente vincolante nell’UE con l’en- trata in vigore del trattato di Lisbona, a dicembre 2009 che l’ha re-

cepita, ed ora ha lo stesso effetto giuridico dei trattati dell’Unione (nella gerarchia delle fonti ha un valore di rango costituzionale).

Dalla riforma costituzionale del 2001, infatti, i trattati e le con- venzioni internazionali hanno assunto un impatto ancora più grande nel nostro ordinamento perché da allora, in base all’art. 117, primo comma, Cost., le leggi statali e regionali devono rispettare i vincoli internazionali, ovvero i trattati e le convenzioni che l’Italia ha sotto- scritto sul piano internazionale, con atto di ratifica, e che ha recepi- to nell’ordinamento interno con legge di esecuzione (Laneve, 2019).

In merito al concetto plurale di Famiglia, l’art. 9 della Carta di Nizza stabilisce che “il diritto di sposarsi e costituire una famiglia sono garantiti secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”. Non si parla di un unico “diritto di sposarsi e di costituire una famiglia”, ma si riconoscono due diritti distinti, quello di sposarsi e quello di costitu- ire una famiglia. La conclusione è evidente. Nel quadro costituzionale europeo esistono ormai due categorie di unioni destinate a regolare i rapporti di vita tra le persone. Due categorie che hanno analoga rile- vanza giuridica e dunque medesima dignità.” (Stefano Rodotà, 2012) In ogni assetto di società si ritrova una pluralità di- versificata di forme familiari che rispondono a logiche diffe- renziate, sia rispetto alla cultura di riferimento che alla classe sociale. Inoltre, la famiglia si è modificata nel corso della storia mo- dellandosi a seconda delle caratteristiche della società che la circonda.

Già alla fine dell’Ottocento Emile Durkeim scriveva: “Non c’è modo di essere e di vivere che sia il migliore di tut- ti … La famiglia di oggi non è più o meno perfetta di quella di una volta: è solo diversa, perché le circostanze sono diverse”.

Le differenze sono alla base della stessa generatività della fami-

insieme le differenze originarie e fondamentali dell’umano: tra i generi (maschile e femminile), tra le generazioni (genitori e figli), tra le stirpi (ov- vero l’albero genealogico, materno e paterno)” (Scabini, Iafrate, 2003). Si ricorda, per completezza, che tra gli altri impegni interna- zionali europei in materia di minori di sicuro rilievo è la Convenzione per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali (CEDU) del 1950, ratificata dall’Italia con la legge n. 848 del 1955. Pro- prio dalla CEDU la Corte europea dei diritti dell’uomo, detta anche Corte di Strasburgo, giudice incaricato di controllare il rispetto della CEDU da parte dei 47 Stati membri del Consiglio d’Europa, ha ricava- to in via interpretativa numerose indicazioni sul trattamento dei mino- ri sottoposti alle procedure di adozione e sulla posizione degli adulti, genitori biologici del bambino dato in adozione o aspiranti adottanti.

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