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La valutazione dell’ “idoneità della coppia” che vuole adottare

3.4. L’adozione e la famiglia sostitutiva Il patto adottivo e la genitorialità sociale

3.4.2. La valutazione dell’ “idoneità della coppia” che vuole adottare

L’intervento psicologico sui gli aspiranti genitori è la valutazione della “idoneità” della coppia che offre la propria disponibilità ad adottare. La legge 476 del 1998, di ratifica della Convenzione inter- nazionale de l’AJa del 1993, ha cambiato il termine “domanda di

adozione” in “dichiarazione di disponibilità” da parte delle famiglie

desiderose di adottare. Con questa importante modifica della ter- minologia si è voluto ribadire come l’interesse fondamentale dell’a- dozione sia quello del bambino in stato di abbandono e non la com- pensazione di carenze o bisogni della coppia che intende adottare. È vero che il “patto adottivo” prende le mosse dall’incontro tra due carenze e due bisogni (di generatività da una parte, di affi- liazione dell’altra) e da indubbie differenze (genetiche, di cultura, di razza), ma esso deve sfociare in un progetto che, valorizzando le differenze, sia in grado di creare una comune appartenenza alla nuo- va famiglia che l’adozione costituisce: e per questo si richiedono alla coppia adottante peculiari caratteristiche e capacità (Di Nuovo, 2016).

A tal proposito, si ricorda che già la Corte Costituzionale, nella storica sentenza n.11 del 1981, ha affermato che il “dovere del-

lo Stato”, quando viene esclusa la possibilità del minore di poter

crescere ed essere educato dai propri genitori di origine, è quello di cercare una “famiglia sostitutiva”. La ricerca deve essere fina-

rappresentare un problema identitario, prima ancora che sociale. Soltanto l’idoneità all’adozione interna- zionale deve essere dichiarata con decreto. Per le coppie che aspirano ad adottare, sia in Italia che all’este- ro, l’indagine valutativa va compiuta dai servizi socio assistenziali degli enti locali, singoli o associati, nonché avvalendosi delle com- petenti professionalità delle aziende sanitarie locali ed ospedaliere, dando precedenza nella istruttoria alle domande dirette all’adozio- ne di minori di età superiore a cinque anni o con handicap accertato.

Le indagini sulla coppia che ha presentato la propria dispo- nibilità all’adozione dovrebbero essere tempestivamente avviate e concludersi entro centoventi giorni (termine ordinatorio, quasi mai rispettato). Il termine entro il quale devono concludersi le indagi- ni può essere prorogato una sola volta e per non più di centoventi giorni. L’indagine sociale preliminare deve riguardare la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare dei richie- denti, i motivi per i quali questi ultimi desiderano adottare il minore.

La valutazione psicologica richiede, invece, un approfon- dimento più significativo. La valutazione della coppia genitoriale, indispensabile per l’ottenimento di idoneità, è un processo di de- licata importanza. In questo processo non si valuta solo il singolo e le sue capacità genitoriali ma anche l’intero funzionamento del- la coppia che sceglie di adottare (Brodzinsky, Schechter, 1990). In- fatti, vengono indagate in questo contesto anche le modalità di relazione e di gestione dei problemi, i livelli di espressione dell’af- fettività, nonché le capacità di soddisfare i bisogni del bambino. Il criterio da adottare nella valutazione dell’”idoneità del- la coppia” è l’accertamento di risorse affettive in grado di sostene- lizzata a trovare una famiglia che rivesta “il carattere di adegua-

tezza”, ovvero l’individuazione della la “soluzione ottimale “in

concreto” per l’interesse del minore quella cioè che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”.

Per questo motivo, l’attuazione del principio di preva- lenza dell’interesse dei minori è ravvisabile anche nella valu- tazione della idoneità delle coppie aspiranti all’adozione, la cui indagine richiede una analisi molto scrupolosa e profonda.

La valutazione dell’idoneità della coppia all’adozione è regola- mentata in due diversi articoli della L 184/83, a seconda che la stessa voglia offrire la disponibilità alla sola adozione nazionale, art. 22 com- ma 4, oppure per l’adozione internazionale, art. 29 bis, comma 4 lett. c).

Le indicazioni normative per la valutazione della coppia sono pressoché le stesse in entrambi gli articoli, tuttavia nell’ipote- si di disponibilità all’adozione internazionale dovrà essere valuta- ta anche l’attitudine della coppia “a farsi carico di un’adozione in- ternazionale”, quindi in questo caso dovranno essere approfonditi i temi legati alle possibili maggiori difficoltà che il bambino potreb- be incontrare con cambio della lingua, cultura e cibo, oltre che del contesto familiare. L’attitudine deve passare attraverso la consape- volezza del fatto che il figlio che è accolto attraverso l’adozione in- ternazionale deve far fronte a una perdita specifica che riguarda lo sradicamento dalla propria “culla culturale” (Moro, 2001) e, più pro- fondamente, ha vissuto la per dita improvvisa di tutto ciò che ha re- gistrato, fin dal periodo fetale, nel proprio campo sensoriale (Greco, 2019). L’indagine dovrà, inoltre, riguardare anche l’apertura della coppia nei confronti della diversità, delle differenze etniche, soma- tiche e culturali e la consapevolezza che queste diversità potranno

che non hanno trovato un’adozione nel loro Paese d’origine. Quei bam- bini che, detto in maniera brutale, nel loro Paese non ha voluto nessuno!

È, pertanto, fondamentale che la coppia sia desiderosa e ca- pace di accogliere un figlio adottivo ma che sia, al contempo, an- che in grado di dargli quella particolare comprensione che un bambino con un vissuto di abbandono richiede. Nell’adozione si tratta di accogliere un essere umano, una persona, che ha già una sua storia, spesso difficile, e che va rispettata nella sua identità.

L’indagine dovrà, pertanto, riguardare anche il grado di con- sapevolezza delle possibili conseguenze delle “esperienze sfavo- revoli infantili”, quali per esempio la trascuratezza grave, il mal- trattamento o la violenza sessuale.

Oltre che la consapevolezza delle difficoltà, di converso, dovrà es- sere valutata anche l’attitudine riparativa e l’empatia della coppia, come capacità di confrontarsi con il dolore, il distacco da modelli educativi o di comportamento disfunzionali eventualmente sperimentati nel pas- sato. La flessibilità nell’utilizzo di strategie educative o di contenimento nei confronti di comportamenti problematici, la capacità d’auto-rifles- sione e di chiedere aiuto, di stimolare un senso d’appartenenza affettivo e transculturale, che include metaforicamente nella storia familiare an- che la famiglia d’origine, il passato del bambino e il suo Paese di nascita.

Rispetto alla verifica degli strumenti educativi della cop- pia nel far fronte alle difficoltà, viene valutata anche la “capacità di cercare sostegno” per risolvere eventuali problemi con il bam- bino. Nella valutazione della coppia bisogna tener conto anche dell’eventuale presenza di strutture psicopatologiche, che pos- sono manifestarsi in diversi gradi: dalla scarsa consapevolez- za della responsabilità, alle difficoltà relazionali, fino alla ben più re lo sviluppo fisico e psichico del bambino, individuabili nella di-

sponibilità a prendersi cura materialmente e psicologicamente del bambino, a riconoscerlo portatore di una propria soggettività e nella capacità di sostenerlo nei periodi critici della sua crescita. La coppia che aspira alla genitorialità adottiva deve avere potenzia- lità sufficienti a gestire i momenti difficili del figlio, quando si pre- senteranno. Se si tratta di adozione internazionale, un fattore critico può derivare dall’esplodere, spesso con ritardo rispetto al momen- to dell’adozione, del conflitto tra la cultura d’origine e quella in cui il minore è stato inserito, spesso senza opportune mediazioni.

Come evidenziato da Smith e Brodzinsky (2002), l’adozio- ne sarebbe caratterizzata dalla perdita in diversi domini e pertanto aumenterebbe la vulnerabilità dell’a dottivo e l’eventualità di disor- dini comportamentali. Ciò non significa che tutti i bambini adot- tati siano de stinati ad avere problemi, ma nell’insieme, come grup- po, sono più a rischio, rispetto ai coetanei. In realtà, i bambini hanno modalità e risorse diverse per affrontar la: alcuni alla fine la vivono positivamente e ne sono scarsamente colpiti, altri percepi- scono il fatto di essere stati adottati come stigmatizzante, minac- cioso o poten zialmente dannoso e proverebbero numerose emo- zioni negative associate a questa forma di stress (Fermani, 2019). Nella valutazione dell’idoneità e della ricerca della scelta otti- male, i servizi locali e il Giudice minorile terranno, inoltre, conto che i bambini dichiarati adottabili spesso provengono da situazioni familia- ri gravissime e fortemente degradate, nelle quali i bambini molte volte hanno subito gravi deprivazioni e maltrattamenti. Situazione ancor più grave si ritrova nell’adozione internazionale dove, per il già detto prin- cipio di sussidiarietà, i bambini destinati a questo percorso sono quelli

grave possibile presenza di una perversione (Crittenden, 2008). La famiglia adottiva dovrà quindi essere caratterizzata da una particolare solidità del rapporto di coppia, da una particolare ricchez- za di risorse affettive. Impegno, capacità, riflessività, empatia, re- sponsività, sensibilità, assieme al desiderio di costruire un sentimen- to di appartenenza familiare sono alcuni dei fondamentali elementi necessari per creare quel legame di stabilità tra il bambino adottato e la sua nuova famiglia. I nuovi adulti-caregiver nelle relazioni fa- miliari dovranno, perciò, essere in grado di fare fronte e risolvere al meglio le problematiche legate alle esperienze pregresse dei bambi- ni e alle problematiche che ne sono conseguite, con interventi adat- ti per costruire la fiducia in se stessi e negli adulti che li circondano.

I minori che provengono da esperienze di abbandono e depri- vazione partono nella relazione con i nuovi caregiver con la consape- volezza che gli adulti non sono in grado di soddisfare in modo co- erente, sicuro e premuroso i loro bisogni. Pertanto, è possibile che i bambini adottati portino con sé vissuti profondi di paura e di terrore che possono indurli a prendere le distanze dai nuovi genitori, o a ri- chiedere costantemente la loro attenzione, a sentirsi impotenti o anche ad assumere forti com portamenti di controllo. Questi atteggiamenti vengono messi in campo nel tentativo di autoproteggersi dagli adul- ti e dalle relazioni di intimità, che in passato hanno richiesto strate- gie difen sive necessarie per la sopravvivenza. Tali strategie possono diventare, sia per i bambini sia per i nuovi caregiver, problematiche, stressanti e dolorose e richiedere un lungo percorso di ricostruzione di rapporto di fiducia, protezione e sicurezza (Fermani, Muzi, 2014). Le ricerche psicologiche, focalizzate sulla sfera comportamen- tale e sull’impatto in termini di sensibilità genitoriale, hanno eviden-

ziato che i problemi dei bambini che sono stati adottati si possono manifestare spesso sotto forma di iperattività, deficit di attenzione, stereotipie, autolesionismi, mancanza di contatto visivo con altre persone, difficoltà nell’esternare e nell’interiorizzare comportamen- ti, difficoltà di autoregolazione e di relazione (Fermani, Muzi, 2019).

La competenza chiave richiesta alla coppia adottiva è la capacità

di relazione (Palacios, 2010), che può avere significato di reciprocità: es-

sere in relazio ne significa riferirsi ad un “altro”, coniugando vicinan- za e riconoscimento dell’alterità (Scabini, Cigoli, 2012; Greco, 2019). Per questi motivi, l’incarico delegato agli operatori dei servizi sociali di “sondare” la genitorialità (o potenzialità genitoriali) dell’aspi- rante coppia adottiva è molto gravoso. Tale compito presenta intrecci problematici perché “la genitorialità è il frutto di un processo in cui si arti- colano dimensioni individuali, relazionali e sociali (Scabini, Rossi, 2006). Un termine in uso per definire i genitori adottivi è quello di “ge- nitori per sempre”. Un’espressione sicuramente molto appropriata che include la necessità dei bambini che provengono da un vissuto di ab- bandono di poter contare sulla famiglia sostitutiva come una base sicu- ra, disponibile e presente in ogni circostanza, costante nel tempo. Alla famiglia che vuole adottare si chiede effettivamente molto, in termini di caratteristiche, maturazione e capacità, tuttavia l’errore di valutazione non è concesso perché l’esito infausto di una scelta sbagliata della fami- glia sostitutiva, la sua non adeguatezza, potrebbe risultare per il bam- bino ancora più dannoso dell’iniziale abbandono. I bambini che non possono essere allevati nelle famiglie d’origine hanno necessità di incon- trare una coppia genitoriale le cui cure offerte siano di qualità elevata.

Mansioni prioritarie dei nuovi caregiver che accolgono i bam- bini sono: sviluppare un careriving cooperativo promuovendo l’ap-

partenenza familiare, orientare verso percorsi evolutivi che conduca- no ad un futuro migliore, aiutare a sviluppare strategie psicologiche e comportamentali differenti rispetto al passato nei nuovi contesti di vita, stabilire relazioni sensibili, empatiche e riflessive, insegnan- do in questo modo a sentirsi sicuri, a esplorare, a costruire significa- ti, a crescere padroneggiando i propri sentimenti e il proprio com- portamento ( Bowlby, 1988; Scholfield, Beek, 2006-2013; Muzi, 2014). Ai sensi del quinto comma dello stesso art. 22, il Tribunale per i minorenni, nella procedura di adozione nazionale in base alle rigorose indagini effettuate dai servizi e del parere dei suoi magistrati onorari, nell’ambito della procedura di adozione nazionale di un bambino in stato di adottabilità, sceglie tra le coppie ritenute idonee all’adozio- ne quella maggiormente in grado di corrispondere alle esigenze del minore. Individua la famiglia sostitutiva che, secondo il suo insin- dacabile giudizio, utilizzando i criteri e la terminologia della Corte Costituzionale (sentenza n.11 del 1981), rappresenta la “soluzione ot-

timale “in concreto” per l’interesse del minore quella cioè che più garanti- sca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”.

L’adozione viene dichiarata con sentenza dopo un perio- do preadottivo di un anno, che serve per l’adattamento del minore.

Analogo criterio di scelta ottimale avviene in genere nelle adozioni internazionali, dove sono le autorità straniere che hanno il compito di individuare il migliore abbinamento per il bambino, tra le coppie registrate ai fini adottivi nel Paese. Nel caso di ado- zione internazionale la sentenza di adozione verrà emessa nel Pae- se di origine del bambino. Il provvedimento, ai sensi dell’art. 35, avrà valore di affidamento pre adottivo nel caso in cui lo Stato di provenienza non abbia recepito la Convenzione de l’Aja del 1993.

Nel caso di Paese aderente, la sentenza avrà invece valore forma- le in Italia e al Tribunale per i minorenni sarà demandato esclusiva- mente il controllo di conformità alle condizioni della Convenzione. L’obiettivo dell’intera procedura, sia nell’uno che nell’altro caso, è quello di individuare il miglior contesto affettivo e di cura nel quale il bambino possa vivere, finalmente, un’esperienza filia- le “sana” e dove possa formarsi e crescere in maniera equilibrata. La famiglia adottiva, se possiede queste “adeguate” e spe- cifiche capacità genitoriali, può fungere da nicchia confortevole di appartenenza e accoglienza in cui ciascun bambino può affronta- re le separazioni e le perdite subite in passato e, al contempo, tro- vare un supporto pratico emotivo che può durare tutta la vita. In essa può scoprire una nuova base sicura, un porto a cui ap- prodare per rigenerare quella fiducia in se stesso e negli altri che le varie vicissitudini trascorse ha minato (Fermani, Muzi 2019).

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