• Non ci sono risultati.

La famiglia sostitutiva nella Convenzione di New York del

2.10. La famiglia sostitutiva nella normativa interna

2.10.1. La famiglia sostitutiva nella Convenzione di New York del

I principi cardini del diritto ad una famiglia sostitutiva si possono ritrovare sintetizzati nell’art. 20 della Convenzione di New York del 1989: 1 – Ogni fanciullo il quale è temporaneamen- te o definitivamente privato del suo ambiente familiare o che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interes- se, ha il diritto a una protezione e ad aiuti speciali dello Stato. 2 – Gli Stati parti prevedono per questo fanciullo una protezione sostitutiva, in conformità con la loro legislazione nazionale.

3 – Tale protezione sostitutiva può, in parti- colare, concretizzarsi per mezzo dell’affidamento familia- re, della Kafalah di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l’infanzia. Nell’ef- fettuare una selezione tra queste soluzioni si terrà debitamente con- to della necessità di una certa continuità nell’educazione del fanciul- lo, nonché della sua origine etnica, religiosa, culturale e linguistica”.

CAPITOLO III

Il Diritto alla Famiglia. Dalla famiglia biologica alla famiglia sostitutiva.

Dal trauma del diritto violato, alla restituzione del diritto

3.1. Una prospettiva di diritto psicologico e di psicolo-

gia giurisprudenziale

Introduzione - Nei testi normativi in materia minorile, di

ogni ordine e grado, sia interni che sovranazionali, l’assunzione del diritto intangibile del bambino di vivere e crescere nella propria fa- miglia di origine precede, per ordine di trattazione e importanza, al residuale e sussidiario diritto del minorenne ad avere una famiglia sostitutiva, che in ultima istanza si concretizza con l’adozione. Fa- miglia biologica e famiglia adottiva rappresentano, dunque, i due estremi del diritto del soggetto minore di età ad avere una famiglia.

Anche in questo caso sono stati gli studi psicologici e, in ge- nerale, delle scienze umane che hanno mostrato come un valido ambiente familiare sia indispensabile per una crescita equilibrata del minore, da qui il fondante diritto del bambino ad avere una fa- miglia. Le ricerche psicologiche hanno, tuttavia, evidenziato che il miglior ambiente familiare per il bambino è quello di origine, dove il suo percorso evolutivo, affettivo e sociale, che delinea la sua iden- tità, può essere supportato dal senso di appartenenza, dalle radi- ci. La decisione di recidere questo importantissimo legame con le origini può essere giustificato solo nel caso in cui non sia in altro

vere in un ambiente familiare tutelante, funzionale alla sua crescita. Il legislatore ha consacrato questo paradigma psicologico nelle normative nazionali ed internazionali. Partendo dal concetto e dalle funzioni della famiglia delineate nel secondo capitolo, dove sono stati affrontati gli aspetti teorici più importanti e alcune ricerche psicologi- che focalizzate sull’argomento, ho ritenuto più consono e calibrato alla mia formazione giuridica affrontare i due temi, legati al diritto del mi- nore alla propria famiglia biologica e quello residuale dell’adozione, quest’ultimo focus della ricerca sociale, con un approccio affine alla pro- spettiva della psicologia giuridica, sotto il profilo della psicologia lega- le/legislativa, e quella più recente del diritto psicologico e della relati- va giurisprudenza psicologica, nei termini delineati da Gullotta (2000). Come è stato illustrato in premessa, la psicologia giuridica guarda al diritto utilizzando i metodi, le teorie e gli strumenti del- la psicologia. La psicologia giuridica, cosiddetta legale, coordina le azioni psicologiche utili all’applicazione e all’interpretazione delle norme penali e civili, mentre quella “legislativa” serve per contribu- ire alla formazione di norme giuridiche. Da questa partizione della psicologia giuridica, nasce la nuova categoria concettuale del dirit- to psicologico che studia, in una prospettiva giuridica, le norme su- scettibili, per la loro interpretazione e per la loro applicazione, di una valutazione psicologica, analizzando con lo stesso approccio anche la giurisprudenza sull’argomento. In buona sostanza, si tratta della psicologia legale vista dalla parte del giurista (Gullotta, 2000).

I giuristi e gli psicologi si occupano entrambi della condot- ta umana, ma i due campi, pur se connessi, si ispirano a presuppo- sti diversi. Il diritto regola, attraverso le norme, la vita dei membri della comunità di riferimento, ma è un prodotto dell’uomo, quindi,

il giurista non deve risolvere problemi epistemologici connessi alla sua disciplina. Al contrario, il compito dello psicologo è concen- trato proprio a stabilire quali siano le regole che governano il com- portamento umano, studiando i fondamenti, i metodi, la validi- tà e i limiti della conoscenza scientifica sullo specifico argomento.

Da questa differenza si crea l’incontro tra il diritto e la psi- cologia. L’autoreferenzialità del diritto, infatti, trova il suo limi- te nell’interpretazione e nella conseguente applicazione delle nor- me che utilizzano o fanno riferimento a concetti psicologici. Il diritto psicologico nasce da questa esigenza ed è quella disciplina specifica che applica la psicologia al mondo legale e forense e può, quindi, aiutare a giudicare l’azione umana anche in senso giuridi- co. Un supporto che attiene ai costrutti psicologici necessari per la comprensione, l’applicazione e gli effetti psicologici delle norme.

L’approccio del diritto psicologico può costituire un model- lo concettuale utile ed interessante per la conoscenza e, conseguen- temente, per l’applicazione del diritto in molti ambiti; sicuramente tra questi vi rientra il diritto minorile e, più in generale, buona par- te del diritto di famiglia. Alcuni aspetti del diritto psicologico con- cernono contenuti direttamente psicologici. Gullotta (2000), a mero titolo esemplificativo, individua tra queste norme, nel contesto del diritto civile, l’esclusione di cause di indegnità genitoriale (art. 306 c.c.) quali pre-condizioni per l’adozione (art. 5 L. 184/83), della ca- pacità naturale per contrarre negozi giuridici (art. 1425 c.c.) o di co- strutti giuridici precipuamente mentalistici come quelli in cui si fa riferimento alla buona fede nella simulazione (art. 1414 c.c.). Altri aspetti della disciplina privilegiano lo studio dell’implicazione psico- logica del concetto di responsabilità, per il ruolo e le funzioni rivesti-

te, come appunto quella collegata allo status e al ruolo di genitore.

Scopo – Lo scopo di questa prima parte della ricerca è sta-

to quello di utilizzare le scoperte in campo psicologico nell’ambito dell’infanzia e della famiglia, anche adottiva, analizzate nel secondo capitolo, per una migliore comprensione del complesso e articolato impianto di diritto ed istituzionale in materia di tutela dell’infanzia, in una forma utile e comprensibile per tutti gli operatori del settore. Alla luce di tale obiettivo, preliminarmente sono stati individuati i prin- cipali ed importanti contenuti psicologici (diretti ed indiretti) delle norme che disciplinano la materia. Partendo da questa prima analisi, sono stati utilizzati i costrutti psicologici, ossia quelli collegati al be- nessere del minore, passati in rassegna nel secondo capitolo, necessari per la comprensione, l’applicazione e gli effetti psicologici delle nor- me precedentemente individuate. Un’interpretazione psicologica del- la norma, per comprenderne appieno il valore ed il motivo fondante. Altro obiettivo, affrontato in via preliminare, è stato quello di comprendere il motivo, l’origine e la fonte nella normativa italia- na, del diritto del minore a vivere nell’ambito della propria famiglia. E’ stato verificato, infine, se complessivamente le finalità del legi- slatore siano state colte dal sistema giudiziale ed istituzionale del Paese. Partendo da un’analisi di alcune importanti pronunce giu- risprudenziali, si è voluto comprendere se nell’interpretazione e nell’applicazione del diritto sia sempre rispettato il principio che la psicologia ha trasfuso nel diritto in materia di infanzia e fami- glia, ovvero che: La famiglia è tutelata non in sé, ma quale mez- zo di promozione dello sviluppo della personalità del minore.

Metodologia – La ricerca è consistita nell’esaminare, in una pro-

variegato contesto normativo in materia. Partendo dallo studio dei pa- radigmi teorici e le riflessioni esposte nei precedenti capitoli, si è passati ad un’analisi dei testi delle principali normative sul diritto del minore ad avere una famiglia, cercando di individuare in essa i costrutti psico- logici necessari per la comprensione, l’applicazione e gli effetti psico- logici delle norme in materia di adozione e tutela familiare del minore.

Nello specifico, l’attività di ricerca è consistita nello studio e nell’analisi, sistematica e cronologica, delle fonti e dei testi norma- tivi, sia di interni che sovranazionali, oltre che dei documenti pre- paratori e delle relazioni di voto dei testi normativi, ove possibile; nell’individuazione dei contenuti psicologici delle norme, sia in for- ma diretta che indiretta; nell’analisi e nell’individuazione dei co- strutti psicologici e dei risultati delle ricerche in materia di adozione utilizzabili per l’interpretazione e l’applicazione della norma (rias- sunti nel secondo capitolo); nello studio e nell’analisi dei contenuti di alcune cruciali sentenze, costituzionali e di legittimità, per indi- viduare le regole ermeneutiche prestate dalle scienze psicologiche.

Risultati – In via preliminare, sono state individuate ed ana-

lizzate le fonti del diritto del minore a vivere nella propria famiglia di origine. Dall’analisi, soprattutto della giurisprudenza costituzionale, è emerso che il paradigma della famiglia funzionale al benessere del figlio ha ispirato anche la nostra Costituzione e la successiva legge sull’adozione speciale, introdotta dalla legge n. 431 del 1967, oltre che le attuali disposizioni normative (L 184/83 e successive novelle). Un diritto ed una tutela del diritto del bambino ad avere una famiglia che la normativa italiana ha riconosciuto con grande anticipo rispetto alle Convenzioni ed ai Trattati internazionali in materia e forse in manie- ra ancor più tutelante. Con una storica e profetica sentenza (n.11 del

1981) la Corte Costituzionale ha, infatti, delineato i limiti della genito- rialità biologica, affermando il “carattere “funzionale” del diritto dei

genitori del sangue”; diritto “funzionale”, perciò, allo sviluppo della

personalità dei figli. Con la stessa pronuncia, la Corte ha indicato i principi, che devono ispirare tutti i provvedimenti dell’autorità giu- diziaria e le indicazioni dei servizi socio sanitari, per l’individuazione della famiglia “sostitutiva”. Ovvero il carattere di “adeguatezza” (cfr.

sentenza n. 145 del 1969, in fine) che deve “presiedere alla individuazione della famiglia sostitutiva” e deve tendere alla “ricerca della soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garanti- sca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona”.

Il fatto che il diritto del bambino alla famiglia (di origine se funzionale o adottiva se riparativa) abbia trovato riconoscimento e tutela all’interno della superiore cornice costituzionale è un fat- to di grande importanza. La previsione del diritto alla famiglia, es- sendo contenuta nella Costituzione repubblicana del 1948, si pone tra le regole fondamentali – in quanto poste appunto a fonda- mento – della vita dell’intera nostra società, ed è dun que natural- mente fonte normativa ‘superiore’ alla legge ordinaria. Diritto, per- tanto, che nessuna legge di rango inferiore potrà mai contrastare. Inoltre, la sua previsione nell’alveo delle regole fondanti la nostra Repubblica è conforme al pensiero dei padri costituenti che hanno con- siderato lo Stato, inteso come espressione dei pubblici poteri in cui si arti- cola la Repubblica, come preordinato allo sviluppo di ogni persona nelle sue intrinseche peculiarità. E ciò diventa particolarmente significativo quando ci si rife risce a una persona non ancora pienamente sviluppata, come il minore di età, perché è proprio questa persona che ha maggior bisogno delle condizioni migliori per potersi sviluppare (Laneve, 2019).

Dall’analisi, anche storica, dei testi normativi, è, altresì, emerso che le motivazioni psicologiche che sono alla base del diritto di vivere nella propria famiglia biologica sono le stesse che motivano il principio di residualità dell’adozione e quello di sussidiarietà, nell’adozione in- ternazionale. A conferma del carattere fondante ed universale del diritto alla famiglia. È universalmente riconosciuto che la famiglia di origine rappresenta il luogo sociale nel quale viene garantito il miglior proces- so di crescita della persona, dal punto di vista biologico, psicologico, educativo e socio-culturale. Per questo la famiglia rappresenta il luogo consacrato dove il bambino ha diritto di nascere e crescere. Il legislato- re ha assunto questo paradigma psicologico come fondamento di tutte le normative, interne ed sovranazionali, di ogni ordine e grado, in ma- teria di tutela e di adozione: ogni bambino ha diritto di vivere e cresce- re nella propria famiglia di origine. Questo diritto può essere disatteso soltanto in caso di assoluta e non risolvibile incapacità dei genitori.

Tuttavia, il legislatore non ha inteso considerare la fami- glia d’origine quale unico modello relazionale sostenibile, ma come soluzione migliore fino a quando essa corrisponde all’in- teresse del minore, ovvero finché gli è “propria” (Lucidi, 2012). In questo capitolo, la normativa e la giurisprudenza in materia di adozione, sono state analizzate con un approccio affine alla categoria concettuale del diritto psicologico, sia nei contesti in cui il contenuto psi- cologico è esplicito nella norma, che in quelli dove il rinvio è indiretto.

Nel contesto dell’analisi, tra le tante disposizioni che fanno un esplicito riferimento ad un contenuto psicologico sicuramente vi rientra la norma che disciplina il concetto e la dichiarazione del- lo “situazione di abbandono” (art.8 L 184/83), condizione sostanzia- le e processuale per lo stato di adottabilità del minore.

Ugualmente, può essere considerato un rinvio diretto ad un concetto psicologico il riferimento alla morale contenuto nell’art. 315 bis del codice civile, nella formula novellata dalla legge 219/2012, che sancisce il diritto del bambino a essere «istruito e assistito mo-

ralmente dai genitori». Nella legge in materia di adozione (L 184/83)

si ritrovano molte altre norme a contenuto altamente psicologico, come ad esempio al quarto comma, lettera c) dell’art. 19 dove vie- ne richiesto ai servizi socio assistenziali degli enti locali: “c) … sul-

le motivazioni che li determinano, sulla loro attitudine a farsi carico di un’adozione internazionale, sulla loro capacità di rispondere in modo adeguato alle esigenze di più minori o di uno solo, sulle eventua- li caratteristiche particolari dei minori che essi sarebbero in grado di acco- gliere, nonché acquisizione di ogni altro elemento utile per la valutazione da parte del tribunale per i minorenni della loro idoneità all’adozione”.

La norma, in effetti, richiede ai servizi preposti una valutazione psicologica specializzata. Ai servizi è demandato il compito di fare, prioritariamente, un’analisi e uno studio della motivazione della cop- pia all’adozione, della consapevolezza e maturazione della scelta, con tutte le implicazioni connesse alla situazione di fragilità e vulnerabili- tà che un bambino deprivato porta con sé, nei termini esposti nel pre- cedente paragrafo e che verranno ripresi in termini più empirici più avanti. Ciò comporta che ai servizi sono demandati impliciti compiti formativi/informativi, nello stesso contesto valutativo. La norma è ul- teriormente garantista, richiedendo che la coppia che ha presentato la disponibilità all’adozione non abbia generiche capacità genitoriali, ma specifiche risorse in termini educativi, di rapporto di coppia, di stabi- lità emotiva, di inserimento sociale. Si chiede ai servizi e all’autorità giudiziaria di valutare l’adeguatezza della coppia a rivestire il ruolo

di famiglia sostitutiva. In questo caso, come per quello del concetto di abbandono, è stato possibile verificare come la giurisprudenza abbia ben indirizzato la valutazione della coppia, in termini rispettosi delle principali indicazioni che la psicologia sociale e della famiglia hanno offerto in materia di adozione. Anche se in termini pratici, nessuna valutazione potrà mai considerarsi esaustiva, così come nessuna cop- pia, benché “idonea”, potrà mai essere pronta ad affrontare in auto- nomia tutte le difficoltà che il ruolo di genitore sostitutivo comporta.

L’analisi è stata effettuata anche negli ambiti della normativa dove il riferimento a concetti psicologici è indiretto, come ad esempio nelle disposizioni di legge in cui il legislatore fa un rinvio al concetto di “responsabilità”, ad esempio quando si devono valutare le compe- tenze che una certa posizione comporta e le eventuali responsabilità giuridiche che ne possono derivare. Nell’analisi dei testi normativi legati al mondo dell’adozione e della tutela del minore sono state in- dividuate molte responsabilità di ruolo e di status, come ad esem- pio quella legata al fatto di essere genitore, sia biologico che adottivo. I contributi delle ricerche psicologiche sulla famiglia e più spe- cificatamente sull’adozione, analizzati nel precedente capitoli, rappre- sentano i capisaldi che hanno permesso alla psicologia di interagire con le norme di diritto, rendendo possibile una rivoluzione culturale e giu- ridica del mondo dell’infanzia e dando un profondo e adeguato senso, psicologico e giuridico, allo status di figlio e alla funzione della famiglia, che è quella di promuovere lo sviluppo della personalità del minore.

Tuttavia, questa evoluzione non è completa perché le norme poste a tutela del diritto del minore a vivere in un contesto familiare adeguato, anche se sostitutivo, si interrompono nel momento in cui viene “costruita”, tramite sentenza, la famiglia adottiva. Per le fa-

miglie che provengono dall’adozione internazionale l’assistenza dei servizi, quando viene data, si interrompe dopo un anno dell’ingresso in famiglia del bambino. Per le famiglie che si sono formate in ado- zione nazionale non sono previsti diritti assistenziali, ad eccezione di quelli riservati a minori portatori di handicap o ultra dodicenni. Questo dato e questa carenza sono gravi, considerato che gli studi e le ricerche psicologiche dimostrano che la formazione della famiglia sostitutiva, la creazione del patto adottivo, è un percorso che richiede molto tempo, è un evento stressante e la famiglia deve essere aiutata affinché la funzione riparativa del benessere possa essere realizzata.

Conclusioni - In questo capitolo si è cercato di rappresentare,

senza nessuna presunzione di completezza e con i limiti di analisi psi- cologica che derivano dalla mia formazione giuridica, il principale im- pianto normativo legato al diritto del minore ad avere una famiglia, in un’ottica tesa a focalizzare gli aspetti che richiedono, anche implicita- mente, una valutazione psicologica della norma. Il campo di analisi è stato limitato alle norme principali ed ai soli principi innovativi o grani- tici giurisprudenziali, che hanno inciso in maniera significativa nell’e- voluzione interpretativa in materia (tra le più importanti la sentenza della Corte Costituzionale n. 11 del 1981). Il primo risultato di ricerca meritevole di nota è il fatto che il diritto alla famiglia ha trovato rico- noscimento e tutela all’interno della superiore cornice costituzionale, divenendo una regola fondamentale del nostro impianto normativo, in quanto posta appunto a fonda mento della vita dell’intera nostra società.

Le prospettive positive, evidenziate nei risultati della ricer- ca, tendono a far emergere una buona comprensione ed altrettan- ta attenzione da parte dell’autorità giudiziaria nell’interpretazio- ne e applicazione psicologica delle norme in materia di adozione.

Oltre agli aspetti positivi, sono emerse anche delle criticità, in pri- mo luogo nel concetto di inadeguatezza genitoriale e del conseguente accertamento dello stato di abbandono del minore, previsto dall’art. 8 della L 184/83. L’articolo in questione, utilizzando una formula ampia e generica, statuisce che “Sono dichiarati in stato di adottabilità i minori

in situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, purché la mancan- za di assistenza non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio”.

La formulazione utilizzata dal legislatore è di portata gene- rale, sicuramente frutto della volontà di lasciare il giudice minorile libero nel suo esclusivo compito di valutare attentamente le singo- le situazioni, caso per caso, garantendo sempre la migliore soluzio- ne per il minore nelle decisioni che lo riguardano. Tuttavia, proprio per la sua formula ampia e aperta, la nozione di stato di abbando- no è stata oggetto di numerose e, forse, eccessive pronunce giuri- sprudenziali. Il proliferare della giurisprudenza su tale argomento, se inizialmente ha avuto il pregio di apportare un valido contribu- to delle scienze psicologiche nel contesto valutativo ed ermeneutico della norma, nel tempo ha portato indicazioni ridondanti e spesso contraddittorie. Contraddittorietà che riflette i diversi orientamenti culturali presenti nella nostra società sull’argomento. In questo caso, l’analisi complessiva della giurisprudenza sull’argomento eviden- zia un’eccessiva frammentazione dei costrutti psicologici che vanno

Outline

Documenti correlati