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Le difficoltà nel percorso adottivo e le fonti di aiuto

Alla domanda diretta su quali fossero state le maggiori diffi- coltà che avevano incontrato durante il percorso adottivo, gli intervi- stati hanno fatto riferimento a molte e diversificate criticità. Il 48,57% degli intervistati ha indicato tra i maggiori problemi quelli legati al pre adozione, in Italia e all’estero. Tra le difficoltà sono state indicati i tempi di attesa, le relazioni con i servizi sociali e con l’iter valuta- tivo in generale. Inoltre, hanno fatto riferimento a problemi più bu- rocratici, come i problemi legati ai documenti da preparare in Ita- lia e all’estero e alla normativa e procedura estera. Quando decide di adottare, la coppia è sottoposta a una lunga serie di accertamenti legali, sanitari, sociali e psicologici. L’indagine psico-sociale in par- ticolare viene vissuta come un processo invasivo, pressante e “inda- gatorio”. Ci si sente giudicati, sotto esame e questo spesso porta a una rottura del legame di fiducia con i servizi stessi (La Rosa, 2016).

Nell’ottica delle difficoltà che la famiglia si troverà ad affrontare dopo la valutazione è necessario rimarginare questa incrinatura con le istituzioni, eliminando il vissuto di giudizio e pressione, aggiungendo l’elemento supportivo e strumentale, in un’ottica di fiducia reciproca (Di Nuovo, 2016). Dalle interviste emerge che l’assenza delle istituzioni dopo l’inserimento del bambino viene vissuta come un’ulteriore fru-

strazione, dopo il lungo percorso preliminare di indagine e valutazione .

Al contrario, una percezione positiva nel sostegno dei servizi viene percepita come rassicurante e appagante, così come riferisce un intervistato nella sua testimonianza (P14).

Le ulteriori difficoltà riscontrate dagli intervistati durante tutto l’iter si riferiscono al periodo trascorso all’estero (11,42%), a problemi emo- tivi e relazionali iniziali con il bambino (5,71%), difficoltà nell’organiz- zazione familiare (5,71%), difficoltà legate al contesto scolastico (5,71%), l’inserimento iniziale a casa e nel nuovo ambiente del bambino (2,85%) .

Dopo anni di attesa ed un periodo difficile e logorante, tra- scorso nei meandri delle procedure giudiziarie e delle valutazione, l’adozione dovrebbe essere percepita da tutti i protagonisti come un evento appagante. In realtà, così come è anche emerso dalle interviste, l’inserimento del bambino in famiglia viene riferito dagli intervistati come un’esperienza impegnativa e destabilizzante. Questa riflessio- ne emersa dalle interviste è in linea con quanto sostiene Brodzinsky (1990), ovvero che l’adozione è un’esperienza stressante per il bam- bino e per i genitori e che come tale richiede che si trovino strategie adeguate di fronteggiamento o di coping (Fermani, 2019). Anche le famiglie brillantemente valutate come idonee, quelle cioè che hanno dimostrato immense doti personali e ottime potenziali capacità geni- toriali, hanno riferito di aver dovuto affrontare delle difficoltà. L’inse- rimento di un minorenne all’interno della nuova famiglia comporta problemi affettivi, emozionali, relazionali e sociali da tempo diffusa- mente discussi nella letteratura psicologica (Ferraris, 2002; Brodzin-

sky, Palacios, 2005). Da alcune risposte date dagli intervistati emerge come le difficoltà siano inevitabili, pur avendole previste, necessaria- mente legate al periodo di transizione. Il post adozione è un processo lungo e complesso, in continuo divenire. Una sfida impegnativa, dove si alternano momenti di felicità e grande affettività a periodi più dif- ficili. È la messa in gioco, giorno per giorno, di emozioni profonde, vissuti personali e conflitti interiori, in grado di costruire un ambiente familiare stabile basato sulla continuità costruttiva tra passato e pre- sente, senza cadere nella tentazione di cancellare la storia del figlio, ma farla propria. L’impegno più grande che si richiede ai genitori è quello di comprendere (nel senso di prendere dentro e rendere fami- liare), nel valorizzare la differenza di origine e la storia del figlio e cre- are una comune appartenenza alla nuova famiglia (Di Nuovo, 2016). In molte interviste, laddove è stato chiesto ai partecipan- ti di dare dei consigli ad una potenziale coppia che si avvici- nava all’adozione, sono stati valorizzati proprio questi aspetti. Oltre alla sua storia, alcuni genitori hanno consigliato di va- lorizzare anche il legame con il paese d’origine, la conoscenza della cultura di origine del figlio. Quanto è emerso dalle interviste è con- forme a quanto sostiene la letteratura scientifica circa l’importanza di riempire di significato l’appartenenza etnica, senza enfatizzarla o ostentarla fino a farla diventare estraneità, bensì vivendola in di- rezione dell’appartenenza familiare (Rosnati, 2010). In tal senso non si può ignorare la cultura di appartenenza del figlio se lui è re- almente parte della vita dei genitori adottivi (Brodzinsky, 2014). L’integrazione nella nuova esperienza familiare può rivelarsi un

decisivo fattore di protezione nel percorso adottivo. Il non stigmatizza- re né ignorare la storia del bambino e la sua origine gli offre nel tempo la possibilità di condividere la sua esperienza, le sue paure, la possibilità di porre domande, perché il passato non è più avvertito come qualcosa di poco conosciuto e di minaccioso da cui difendersi. (Ballerini, 2019).

Quando è stato chiesto quale e da chi avevano ricevuto suppor- to nel percorso adottivo, gli intervistati hanno offerto risposte multiple. Il 24,48% dei partecipanti ha riferito che il principale supporto c’è stato all’interno della coppia. Questo dato fa riflettere sul fatto che la genito- rialità adottiva si configura da subito come genitorialità simbolicamen- te condivisa (Greco, 2010), nel contesto accuditivo ed emozionale. Una dimensione della genitorialità condivisa, nei bisogni e nelle gioie. Nelle risposte si riscontra che il 22,44% degli intervistati ha trovato supporto nell’Ente autorizzato, che li ha accompagnati nel percorso adottivo all’e- stero, e il 4, 08% ha ricevuto un affiancamento positivo dai Servizi Sociali. Quanto è emerso dalle interviste, riporta alla necessità del- la famiglia di essere supportata, in questo percorso educativo e re- lazionale, da un soggetto terzo, che l’affianchi e la sostenga in ma- niera professionale, ma anche in forma empatica e solidale, affinché possa realizzarsi il processo terapeutico contenuto nel ruolo ge- nitoriale nel campo dell’adozione (Muzi, 2014). Un supporto spe- cifico, tempestivo, gratuito e specializzato, che possa rappresen- tare per la famiglia un riferimento concreto e che sia portatore di una cultura di nuova genitorialità proficua e portatrice di benesse- re, almeno quanto quella biologica che è mancata (Di Nuovo, 2016) Anche gli amici e la famiglia sono considerati fonte di supporto

dal 18,36% degli intervistati. Questo riferimento alla famiglia e agli amici conferma una percezione e un’influenza del contesto comuni- tario e dell’ambienti familiare (famiglia, amici, lavoro, scuola, servizi, comunità ecc.) molto positivo per il buon adattamento familiare. Non è solo la famiglia nucleare che adotta, un ruolo importante lo svolgono tutti coloro che si trovano ad essa vicini, come i nonni, il gruppo fami- liare allargato, gli amici, le persone del quartiere, gli insegnanti (Miall, 1996). È noto infatti come il contesto sociale possa influenzare in modo rilevante l’adattamento e il benessere dei minori e delle famiglie adot- tive: la percezione di un maggior sostegno sociale è risultata associata a una maggior autoefficacia genitoriale nelle famiglie adottive (Chester, 2012; Canzi & Rosnati, 2018), così come al contrario la percezione di discriminazione impatta negativamente sul benessere, in particolare degli adolescenti e giovani adulti adottati (Lee, 2010; Ferrari, Rosnati, Canzi, Ballerini & Ranieri, 2017; Rosnati & Ferrari, 2016) e può aumen- tare il livello generale di stress all’interno della famiglia (Brody, 2008).

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