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Il ruolo della famiglia nell’accudimento primario e nei contesti vulnerabili.

La tutela minorile e la famiglia sostitutiva.

I diritti in cui è maggiormente necessario il sostegno della fa- miglia, pur nell’interazione sociale nei termini sopra detti, sono in- vece quelli legati alla vulnerabilità del minore, ovvero quelli che

attengono alla tutela del bambino, come i diritti connessi all’ac- cudimento (Provision) alla protezione (Protection) e buona par- te di quelli legati alla sua educazione-formazione (Promotion). Queste categorie di diritti caratterizzano la “tutela minori- le”, ovvero la protezione riconosciuta dalla legge al minore di età e consistente in un insieme di azioni finalizzate alla difesa del bam- bino e dell’adolescente, alla sua salvaguardia, in termini di salute e sicurezza, al rispetto della sua identità, della sua dignità e della sua integrità psico-fisica. In questo contesto l’influenza maggiore è cer- tamente esercitata dalle persone che direttamente e costantemen- te si prendono cura del minore e lo accompagnano nello sviluppo; le persone che interagiscono nella vita quotidiana del bambino e con l’adolescente, facendosi carico del loro accudimento e benesse- re (Provision), proteggendolo in situazioni di pericolo (Protection).

Le problematiche connesse alla tutela dei minori e dei loro diritti all’interno delle relazioni educative vanno dunque collocate primaria- mente nel quadro delle relazioni tra genitori e figli nella famiglia. Ed è proprio in questo contesto di relazioni primarie che spesso la famiglia si dimostra carente e non adeguata alle esigenze di accudimento del fi- glio minore. L’esigenza di favorire lo sviluppo psichico e fisico del mi- nore può prevalere sul legame con la famiglia di origine quando essa non è in grado di provvedere alla sua crescita ed educazione. Tale valu- tazione dovrà essere fatta in modo obiettivo, tenendo conto di tutto le circostanze contestuali e culturali del nucleo familiare. Nei prossimi ca- pitoli l’argomento verrà ripreso e approfondito, tuttavia fin d’ora sono importanti alcune precisazioni circa il ruolo della famiglia sostitutiva.

Utilizzando i principi espressi della Corte Costituzionale in una storica ed importantissima sentenza del 1981 (sentenza n.11 del

1981), dovrà essere individuata una famiglia sostitutiva quando i ge- nitori biologici del bambino non sono in grado di assolvere ai propri doveri genitoriali (carattere “funzionale” del diritto dei genitori del sangue) con impegno personale e diretto (carattere di “effettività” che deve rivestire l’assolvimento dei compiti stessi). Nel caso in cui queste due condizioni non sussistano, siano venute meno, non coesistano e questa assenza non abbia un carattere temporaneo, la Corte Costitu- zionale indica quale è la strada da seguire: individuare una famiglia sostitutiva, in applicazione dell’art. 30, secondo comma, della Costi- tuzione, che rispetti “”carattere di “adeguatezza” (cfr. sentenza n. 145 del 1969, in fine)”. Una ricerca che porti alla “soluzione ottimale “in concreto” per l’interesse del minore, quella cioè che più garantisca, so- prattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona””. La famiglia adottiva/sostitutiva, oltre a possedere le ordinarie capacità genitoriali, dovrà quindi essere “adeguata” alle specifiche esi- genze di “quel minore” che gli è stato abbinato dalle istituzioni come figlio. Le stesse istituzioni dovranno preventivamente ritenerla “ido- nea” a farsi carico di responsabilità genitoriali calibrate su un bambino “fragile”, deprivato e traumatizzato. Solo tra queste coppie di genitori valutate così capaci e meritevoli, che siano cioè state ritenute idonee all’adozione, dovrà essere individuata quella che “in concreto” risulti la “soluzione ottimale”, quella cioè “che più garantisca, soprattutto dal punto di vista morale, la miglior “cura della persona””, la fami- glia che più garantisca una “funzione riparativa” nella vita del figlio. Pur partendo da un’esperienza in ogni caso drammatica e do- lorosa, all’interno della famiglia sostitutiva, con l’aiuto della Teoria dell’attaccamento (Bowlby), la separazione, la gestione delle emozioni è possibile trovare la strada della rielaborazione, della ricostruzione

del benessere e dell’identità del bambino. Anche in questo caso dovrà essere utilizzata una visione dinamica, flessibile, non centrata su ciò che manca ma in particolare su cosa è possibile fare partendo da ciò che è venuto a mancare. Senza negare il ruolo che l’abbandono può avere nella psiche del bambino/a, lo sguardo è di prospettiva ed è centrato su come la famiglia adottiva può essere il luogo dove affrontare questa perdita e dove essere aiutato a ricercare le proprie radici (Pojaghi, 2014).

I minori che provengono da esperienze di abbandono e de- privazione partono nella relazione con i nuovi caregiver con la con- sapevolezza che gli adulti non sono in grado di soddisfare in modo coerente, sicuro e premuroso i loro bisogni. Pertanto, è possibile che i bambini adottati portino con sé vissuti profondi di paura e di terrore che possono indurli a prendere le distanze dai nuovi genitori, o a ri- chiedere costantemente la loro attenzione, a sentirsi impotenti o anche ad assumere forti comportamenti di controllo. Questi atteggiamenti vengono messi in campo nel tentativo di autoproteggersi dagli adul- ti e dalle relazioni di intimità, che in passato hanno richiesto strate- gie difensive necessarie per la sopravvivenza. Tali strategie possono diventare, sia per i bambini sia per i nuovi caregiver, problematiche, stressanti e dolorose e richiedere un lungo percorso di ricostruzione di rapporto di fiducia, protezione e sicurezza (Fermani, Muzi 2014). Le ricerche psicologiche focalizzate sulla sfera comportamentale e sull’impatto in termini di sensibilità genitoriale, esaminando la sfera comportamentale, hanno evidenziato che i problemi dei bambini che sono stati adottati si possono manifestare, sotto forma di iperattività, deficit di attenzione, stereotipie, autolesionismi, mancanza di contatto visivo con altre persone, difficoltà nell’esternare e nell’interiorizzare comporta- menti, difficoltà di autoregolazione e di relazione (Fermani, Muzi, 2019).

Spesso sono minori che non si fidano di altre persone. Dan- no priorità al controllo del proprio ambiente per sentirsi sicuri, rag- giungendo in molti casi il controllo attraverso l’uso della violenza. Nel contesto scolastico, possono presentare difficoltà nel rispettare le regole e nei rapporti con i loro coetanei. Spesso diventano bulli o prepotenti nelle loro classi, affrontano violentemente i loro compagni di classe e sfidano l’insegnante in modo continuo (Del Moral, 2019).

I nuovi adulti-caregiver nelle relazioni familiari dovranno per- tanto essere in grado di fare fronte e risolvere al meglio le problematiche legate alle esperienze pregresse dei bambini e alle problematiche che ne sono conseguite, con interventi adatti per costruire la fiducia in se stessi e negli adulti che li circondano. Impegno, capacità, riflessività, empatia, responsività, sensibilità, assieme al desiderio di costruire un sentimen- to di appartenenza familiare sono alcuni dei fondamentali elementi necessari per creare quel legame di stabilità tra il bambino adottato e la sua nuova famiglia. Dovranno essere consapevoli che potrebbero esse- re sopraffatti in situazioni di non accettazione dell’autorità, di mancan- za di rispetto, di fronte a minacce e manipolazioni (Del Moral, 2019). La famiglia adottiva può fungere da nicchia confortevo- le di appartenenza e accoglienza in cui ciascun bambino può af- frontare le separazioni e le perdite subite in passato e al contempo trovare un supporto pratico emotivo che può durare tutta la vita. In essa può scoprire una nuova base sicura, un porto a cui ap- prodare per rigenerare quella fiducia in se stesso e negli altri che le varie vicissitudini trascorse ha minato (Fermani, Muzi 2019). In questo gravoso compito la famiglia non può essere lascia- ta sola, deve essere messa in grado di poter chiedere e ricevere un supporto esterno che l’aiuti a mettere in campo un approccio indi-

vidualizzato, in base all’età cronologica ed emotiva del minore, alla personalità, alle idee, ai modelli operativi interni esperiti in passato e nel presente con i nuovi caregiver. Un approccio che permetta al bambino di abbassare il livello di ansia e faccia aumentare il senso di sicurezza e di conforto nei confronti di chi lo accudisce. È possi- bile infatti che i bambini segnalino i loro bisogni e le loro angosce mettendo in atto comportamenti negativi, problematici, invitando i caregiver a prendere le distanze sia emotivamente sia fisicamente. In questo caso per costruire la fiducia è necessario impiegare strate- gie che indichino al bambino un certo grado di disponibilità fisica ed emotiva, di riparazione, che lascino pensare ad un forte messag- gio di apertura ad accogliere e a comprendere le esigenze anche nei momenti che potrebbero prevedere invece chiusure e conflittualità. È fondamentale svolgere il ruolo genitoriale manifestando disponi- bilità fisica ed emotiva, calore, coerenza e affidabilità (Muzi, 2014). Ricevere premure e prossimità emotiva modifica la reazione che il bambino ha nei confronti di coloro che prestano cure in modo significativo. Risulta determinante nella nuova relazione, qualunque età abbia il bambino, esplicitare il messaggio che la figura di attac- camento è sempre disponibile anche quando non è presente fisica- mente, nei momenti di separazione, quando si è ad esempio al nido/ scuola dell’infanzia/scuola primaria o altrove (Fermani, Muzi, 2019).

Un’ottima sintesi può essere racchiusa nelle parole di Palacios re- lativamente al fatto che l’adozione non è una medicina; le ombre del pas- sato, le deprivazioni subite non si possono cancellare con l’amore dei ge- nitori adottivi ma affetto, protezione e stimolazione offerti dalla famiglia possono garantire una straordinaria capacità di recupero (Fermani, 2014).

I confini della famiglia adottiva non possono tuttavia resta-

re circoscritti ai legami familiari. Il processo di adattamento, che coinvolge genitori e bambini, interagisce con diversi fattori so- cio-ambientali: “l’adozione e l’affido sono per loro natura ‘azioni sociali’ e chiedono, perché ne sia garantita la riuscita, che il sociale si impegni e sostenga la famiglia in questa impresa. Tutto ciò evi- denzia appunto come familiare e sociale non possano non essere considerati come reciprocamente interdipendenti” (Rosnati, 2014).

Anche nella famiglia adottiva il primo ambito sociale in cui il figlio è chiamato a misurarsi è quello della rete familiare costitu- ita innanzitutto dai nonni, nel rapporto con i quali il bambino ini- zia a sperimentare l’appartenenza ad una famiglia allargata, che può contribuire in maniera significativa alla sua crescita affettiva.

Subentrano poi le aspettative sociali, in particolare quelle del- la scuola e degli ambiti di vita del bambino, che vanno inevitabil- mente a rendere gravoso il compito educativo. Per favorire un se- reno adattamento nei nuovi ruoli sociali che lo aspettano, i genitori adottivi avranno anche il problema di decidere cosa e quanto condi- videre con le persone estranee alla famiglia della storia del proprio figlio. Inoltre, chi è stato adottato deve confrontarsi anche con una doppia appartenenza familiare, una doppia origine, perché parte di una nuova famiglia, che lo genera come figlio e, nello stesso tempo, parte di un’origine, talvolta sconosciuta, spesso segnata dall’abban- dono o da esperienze relazionali multiproblematiche (Ballerini, 2019). Per questo, tra i compiti più importanti dei genitori adot- tivi c’è quello di parlare con il bambino del suo essere figlio adotti- vo, aiutandolo a comprendere il significato e le implicazioni dell’es- sere adottato, condividendo con lui le informazioni di background e sostenendo la sua curiosità verso il suo passato (Greco, 2019).

Si tratta dunque di aiutare il figlio (e se stessi) a confrontarsi con la perdita legata all’adozione e sostenerlo nel gestire il rapporto simbolico (o concreto, come nelle adozioni per continuità affettiva di cui alla Legge n.173 del 2015) con il suo ambiente di origine, riconoscendo sia l’identità adottiva del figlio, che la sua identità etnica e razziale (Brodzinsky, 2010).

2.5. Il diritto di relazione. Da una generatività familiare ad una

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