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La formazione sul campo (FSC)

La Formazione sul Campo in Sanità: scenario e

2. La formazione sul campo (FSC)

Molto si è detto e scritto sul come legare sempre di più la formazione di aula, tesa all’approfondimento e riorganizzazione di conoscenze, capacità e strumenti alla pratica quotidiana, al “fare” organizzativo in modo da rendere la formazione una delle leve effettive per il cambiamento e l’innovazione. Ciò ha condotto la formazione di aula a sviluppare sempre più quegli approcci che inducono al coinvolgimento diretto degli utenti (role playing, simulazioni, lavori di gruppo ecc.) e all’apprendimento centrato su problemi concreti (Problem Based Learning) nello sforzo di ricreare ambienti che ripropongono in nuce i contesti/problemi organizzativi. Altrettanto si è discusso sul valore dell’apprendimento individuale, e collettivo, sulle competenze del singolo professionista e sull’importanza della socializzazione e “messa in comune” delle conoscenze in modo da farle diventare patrimonio organizzativo condiviso.

La Formazione può costituire un terreno di incontro/mediazione tra i professionisti della salute e l’organizzazione sanitaria, e può esserlo ancora di più se questi ultimi diventano protagonisti effettivi dell’innovazione e del cambiamento e sono coinvolti nella sua produzione e valutazione (Liberati, 2007). Creare e diffondere innovazione mentre si lavora, avere la possibilità di mettere in atto modalità, approcci, metodologie, interrelazioni che incidono in positivo nel percorso di cura, poter legare momenti di osservazione, sperimentazione, studio all’agire quotidiano sono aspetti altamente stimolanti. La formazione sul campo può rispondere a tutto ciò a patto che sia: ben impostata/governata e si esplichi in un clima organizzativo favorevole. Bisogna quindi essere in grado da un lato di capire il contesto e programmare l’ambito, i protagonisti, l’impatto e le modalità del trasferimento e diffusione dell’innovazione, dall’altra strutturare contesti favorevoli all’apprendimento stesso e allo sviluppo di buone pratiche. Difatti la progettazione di interventi di FsC sconta una

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maggiore complessità rispetto alla progettazione di eventi residenziali. È anche meno rodata e si muove sul delicato terreno delle dinamiche relazionali e operative.

Se ben realizzata e sviluppata, la FsC è in grado di incidere sui meccanismi dell’organizzazione e pertanto il legame con il committente interno deve essere di tipo forte in modo da avere un’alta possibilità che l’innovazione sia poi riconosciuta ed accettata in tutta l’organizzazione.

Il presupposto è attribuire valore a ciò che si fa, all’agire organizzativo, adeguandosi e migliorando continuamente a seconda degli stimoli provenienti dall’ambiente interno ed esterno di riferimento. È logico che non si pensa qui a contesti in cui il lavoro è sempre uguale e scandito da routine burocratiche ma a learning organization, organizzazioni capaci di apprendere e di modificarsi di conseguenza. La formazione sul campo non è una scelta solo individuale ma rappresenta una dimensione collettiva di apprendimento in cui i professionisti imparano a rapportarsi tra loro, a scambiarsi esperienze e a mettere in comune il loro sapere specifico applicandolo ad azioni specifiche. Si tratta quindi di elaborare nuovi saperi professionali legati al fare e, soprattutto, essere stimolati a condividerli aggiungendo valore all’azione organizzativa.

Come già nel disegno dell’architettura del sistema dell’ECM così anche sulla FsC le Regioni hanno operato scelte diverse. Dall’analisi comparata delle indicazioni fornite e delle linee guida disponibili, (Emilia Romagna, Veneto, Toscana, Umbria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia, Marche, Provincia Autonoma di Trento e di Bolzano, Valle D’Aosta) non tutte le Regioni l’hanno infatti attivata, emergono spunti interessanti rispetto alle tipologie individuate, al numero dei crediti attribuiti e al riconoscimento dei crediti per i tutor. Alcune Regioni includono nella FsC le attività di addestramento (Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lombardia, Friuli Venezia Giulia), quasi tutte la partecipazione a commissioni o comitati, a ricerche, all’audit clinico, a gruppi di miglioramento. Alcune, come la Lombardia, attribuiscono un numero di crediti maggiore se tali attività sono realizzate in un modello integrato, altre (Marche), includono lo stage e anche il tirocinio (P.A. Trento, Toscana, Valle d’Aosta, Veneto) presso strutture qualificate. Un ruolo importante è giocato dalle figure dei Responsabili Scientifici, Tutor, Animatori (P.A. Trento, Valle d’Aosta), si tratta ovviamente di profili diversi, con un’attribuzione di crediti differenziata anche nel caso delle stesse ore di impegno da parte della medesima figura. Nel caso dei Tutor, si spazia dall’attribuzione dello stesso numero di crediti attribuiti ai discenti (Veneto), a un range che va da 3 a 15 crediti attribuiti all’anno (Emilia Romagna) o da 4 a 17 (Friuli Venezia Giulia). In Lombardia ad una settimana di tutoraggio è attribuito max 3 crediti mentre nelle Marche 5. In genere c’è concordanza nello stabilire che, comunque, il numero dei crediti acquisiti non possa superare il 50% del totale da accumulare nell’anno solare da ciascun professionista. Anche nel caso del Responsabile Scientifico si passa dall’attribuzione del 10% (Lombardia) del totale dei crediti attribuiti all’evento stesso, al 25% (Veneto).

Dall’analisi del materiale si possono annotare alcune osservazioni relative:

- alle linee guida esaminate, è allegato sempre un glossario nel quale si spiega cosa si intende esattamente per audit clinico, per gruppo di miglioramento ecc. ecc. Tale aspetto colpisce perché si avverte evidentemente la necessità di spiegare e condividere, il senso attribuito a ciascuna attività. Serve chiarezza sulla terminologia e condivisione di significati. Tutti devono comprendere e intendere la stessa cosa, creando un linguaggio e una griglia comune di riferimento;

- alla delicatezza e la rilevanza del ruolo svolto dai tutor e dalle altre figure nella costruzione dell’intero processo e della valutazione;

- alla conseguente necessità di un riconoscimento e di un percorso formativo specifico di tali figure fondamentali.

Le esperienze realizzate di formazione sul campo possono presentare alcune criticità. In particolare ci s riferisce:

- al rischio di autoreferenzialità;

- alla partecipazione più alta di alcuni gruppi professionali rispetto ad altri;

- alla modalità e disponibilità di condivisione di quanto appreso con tutta l’organizzazione.

Sono aspetti già accennati ma val la pena di ricordare il feedback negativo che alcune esperienze hanno evidenziato. Si sono verificati infatti casi di ospedali in cui era realizzata questo tipo di formazione rivolta solo a gruppi di infermieri, con l’intento di risparmiare “provvedendo in casa”. Il risultato dell’apprendimento sul campo non riusciva poi a diventare prassi quotidiana modificandola. In questi casi la formazione sul campo crea un effetto boomerang ancora più potente e rischioso di una formazione tradizionale mal realizzata.

Nel contempo la FsC può rappresentare, come abbiamo accennato, un’importante opportunità per le organizzazioni sanitarie per:

- favorire un apprendimento dinamico, basato su una risoluzione concreta dei problemi; - incidere sulle conoscenze e competenze migliorando la pratica professionale;

Ciò a patto che si decida di investire a livello aziendale con risorse, programmazione e gestione adeguate all’intero percorso.

Conclusioni

Lo scenario della formazione continua in sanità è caratterizzato da un rapido sviluppo, come abbiamo accennato, che non solo ha portato ad un aumento delle strutture dedicate, ma anche alla produzione di metodologie didattiche e valutative, di processi e percorsi formativi, di elaborazione di strategie e costituzione di reti specifiche dedicate, in poche parole alla maturazione di un contesto favorevole alla crescita della cultura della formazione. Comincia ad essere disponibile anche molto materiale sulle esperienze migliori realizzate sia a livello regionale che aziendale e la ricchezza, la trasferibilità e riproducibilità di quest’ultime stimola nuove e più avanzate sperimentazioni. Nel panorama formativo attuale però non si può affermare che la formazione di aula non è più utile mentre quella sul campo rappresenta l’ideale, l’importante è saper avviare il cambiamento, abituare le persone a riconoscere le proprie potenzialità e ad imparare ad imparare, ad essere disponibili e ad accettare le sfide e il confronto. Probabilmente in questo senso tutte le metodologie sono idonee a patto che siano usate bene, magari in forma blended (in presenza, sul campo e a distanza).Meglio comunque una buona aula di alto livello, che stimoli a pensare e a discutere, che una cattiva formazione sul campo che può fare notevoli danni. In sintesi il formatore deve saper leggere il contesto ed adattare metodi e approcci allo sviluppo e degli obiettivi e aziendali e degli individui e la formazione rimane, all’interno di un’oculata gestione aziendale delle risorse umane, una leva potente di coinvolgimento e motivazione.

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La Formazione sul Campo: esperienze e strumenti di

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