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L’organizzazione che apprende: il Coaching

Francesca De Marchi

Tirocinante presso la Struttura Complessa Organizzazione e Sviluppo Risorse Umane - ASL BI

Abstract

La presente comunicazione descrive la sempre crescente necessità, nei contesti lavorativi, di una formazione continua che permetta di aggiornare le proprie competenze, di sviluppare le proprie posizioni professionali ed acquisire nuove abilità. In questo contesto, si va affermando il coaching, modalità formativa emergente, che integra il modello della learning organization nelle organizzazioni, attraverso un processo di formazione sul campo. Il coaching, propone ai soggetti dell’apprendimento, il coinvolgimento diretto, in tutte le fasi del processo, rivalutando l’esperienza, lo stato emotivo/affettivo degli individui e le interazioni con il contesto di lavoro e di vita.

La continua evoluzione ed espansione della società moderna ha reso più sensibile le organizzazioni allo studio delle risorse umane, essendo questo, il punto di partenza per ottenere un miglioramento qualitativo delle prestazioni lavorative. È in questo contesto che si sviluppa sempre di più la formazione sul campo che si presenta come un bisogno in continua crescita. Gli adulti necessitano di una formazione continua che permetta loro di aggiornare le proprie competenze, di sviluppare le proprie posizioni professionali ed acquisire nuove abilità.[1] In questo contesto, quindi, si va

affermando la necessità di nuove metodologie formative che si inseriscono nel campo lavorativo non più come qualcosa di separato dall’organizzazione, ma come processi indispensabili per la sopravvivenza dell’azienda. Le organizzazioni sono divenute sempre più consapevoli dell’importanza delle Risorse Umane, nel determinare il proprio successo o fallimento. Le persone che lavorano, quindi, sono viste come una risorsa fondamentale che può fare la differenza e su cui è necessario investire in termini di tempo e di denaro. Nel corso degli ultimi anni, il bisogno di formazione è notevolmente incrementato, coinvolgendo non soltanto i livelli aziendali più elevati (un tempo gli unici beneficiari della formazione), ma soprattutto i lavoratori con compiti di tipo esecutivo. Alla formazione si è richiesto, dunque, di agire sia sulle competenze tecniche (che restano sempre molto importanti), ma al tempo stesso, sugli aspetti motivazionali e comunicativi, e per quanto riguarda i responsabili, su quelli gestionali.[2] La formazione aziendale per molto tempo si è ispirata alla struttura educativa tipica della

scuola, caratterizzata da corsi in aula, in cui lo strumento prevalente era la classica lezione espositiva e il rapporto didattico del tipo allievo-insegnante. Tuttavia, con il passare del tempo, i metodi didattici tradizionali, per la sopra citata necessità di intervenire sulle competenze tecniche, relazionali e motivazionali, sono diventati via via più attivi e coinvolgenti (i cosiddetti metodi attivi, i role playing, le simulazioni, i casi e gli auto-casi) e soprattutto meno strutturati rispetto alle lezioni tradizionali. Inoltre, si è sempre più affermata l’esigenza di una formazione più vicina alla realtà lavorativa che permettesse di superare la separazione tra attività formativa d’aula (luogo dell’apprendimento) e la realtà aziendale (luogo deputato alla produzione e carico di problemi “reali”).[2]

Come si può facilmente intuire, quindi, le classiche lezioni frontali, non sembrano più in grado di garantire che quanto appreso in aula (se apprendimento c’è stato) sia trasferibile alla quotidianità lavorativa ed è sempre più forte l’esigenza di una formazione maggiormente integrata sul campo. L’utente della formazione è diventato sempre più consapevole dei suoi bisogni formativi, per tale motivo, è necessario sviluppare un processo formativo più auto-gestito dall’utente basato, non tanto sull’insegnamento, quanto sul ri-apprendimento e sulla rielaborazione delle esperienze passate. [1]

Le nuove modalità formative, in particolare il Coaching, hanno cercato di essere uno strumento che, attraverso la messa in discussione delle “certezze” dell’individuo e del proprio ruolo, realizzi un percorso di crescita, in grado di essere “generativo” nella relazione con i collaboratori.

Il processo di trasformazione, promosso da queste nuove metodologie, è un lavoro basato sull’apprendimento sul campo e su un costante investimento a lungo termine. Questo rinnovamento, tuttavia, è possibile innescarlo soltanto, quando si riesce a passare da una forma puramente direttiva di comando, ad un ordine gerarchico che lascia il posto alla collaborazione e dove i fattori motivanti di tipo esterno, sono sostituiti dalla profonda motivazione interiore di ciascun collaboratore. [1]

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Alla fine degli anni '60 Peter Berger e Thomas Luckman della New School of Social Research di New York, pubblicarono The Social Construction of Reality un testo a metà tra l'indagine filosofica e sociologica che diede gli albori negli anni '90 ad una nuova corrente di pensiero negli studi organizzativi, l'Appreciative Inquiry.[4] La teoria in esame, modellizzata presso la Case Western Reserve

University dal gruppo di ricerca condotto dal Prof. re D.L. Cooperrider, in contrapposizione con la visione che identifica e definisce le organizzazioni come coevi di problemi da risolvere, parte dall'assunto che le organizzazioni sono una realtà in costante evoluzione e dunque la costruzione che ne deriva non è un fatto "auto-evidente, ma, piuttosto, un processo in costante evoluzione che trova le sue radici e il suo senso nell'azione e poiché l'azione è spinta dal pensiero e veicolata nella conversazione, ecco che la conversazione diventa lo strumento attraverso il quale la realtà é creata. Cambiare la maniera di conversare cambia così la qualità della realtà, che non è più percepita come problematica. È in questo contesto che si sviluppa una nuova metodologia formativa: il coaching. Tale metodologia è un processo di facilitazione basato sui modelli dell’intelligenza cognitiva, comportamentale, emozionale e di sviluppo[4]. La parola coach, di origine inglese, viene tipicamente

utilizzata in ambito sportivo, con il significato di “allenatore”. Tale significato suggerisce immediatamente la similitudine tra il mondo dello sport e quello aziendale, mettendo in risalto l’analogia esistente tra le competizioni sportive e le competizione nel mondo del business. In realtà il significato originario del termine coach, derivante dal Middle English, corrisponde al termine moderno "wagon" (carro) o "carriage" (carrozza, vettura). In seguito, questo termine fu utilizzato per indicare “colui che guida il cavallo”. Il concetto di guida ha poi fatto strada, entrando anche nel linguaggio del mondo del lavoro. All'estero, soprattutto negli Stati Uniti dove ha origine il coaching, si intende, in primo luogo, l'attività di guida[3]. Il ruolo del coach, quindi, si esplica nel condurre le persone a scoprire

le proprie risorse nascoste e le potenzialità personali e nell’individuare le possibili soluzioni ai problemi dei soggetti. Il coach, dunque, deve saper valutare le competenze, le capacità manifeste e quelle potenziali di ciascun soggetto che ha richiesto il suo aiuto[3]. Il coaching, secondo Popper e Lipshitz

(1992), deve fornire un senso di autoefficacia all’allievo, nella prospettiva dell’empowerment. Perché ciò avvenga, è necessario che il coach renda consapevole l’allievo sulle esperienze compiute e sui successi legati alle prestazioni lavorative. Infatti, l’apprendimento che si realizza nel coaching, deriva principalmente dalla “sperimentazione” nelle prestazioni. Qualsiasi intervento pianificato da parte di un soggetto, finalizzato al miglioramento delle prestazioni di un altro soggetto, nell’ambito di un compito specifico, può dunque essere definito coaching.

Il coaching ha il compito di focalizzare la sua attenzione sui processi di apprendimento individuali e collettivi che avvengono nei luoghi di lavoro, utilizzando le situazioni operative del presente per adeguare o migliorare le prestazioni individuali e collettive future.

Il coaching professionale rappresenta, pertanto, un rapporto di partnership che si stabilisce tra il coach e l’utente con lo scopo di aiutare quest’ultimo ad ottenere risultati ottimali in ambito sia lavorativo che personale. Grazie all’attività svolta dal coach, gli utenti sono in grado di apprendere ed elaborare le tecniche e le strategie che permetteranno di migliorare sia le performance che la qualità della propria vita.[4] A tal proposito, il coaching, secondo Gallwey, non si limita ad impartire insegnamenti, ma aiuta

a liberare le potenzialità di una persona, affinché sia in grado di portare al massimo il suo rendimento. Durante gli incontri l’utente sceglie l’argomento della conversazione ed il compito del coach consiste nell’ascoltarlo, ponendogli osservazioni e quesiti.

Questo tipo di attività sviluppa la crescita dell’individuo, il quale, arriva a focalizzare, in maniera più efficace e consapevole, gli obiettivi da raggiungere e le scelte da porre in atto. Un coach aiuta le persone a trasformare sé stesse ed a riformulare il loro modo di essere, di pensare e di agire.[4] La

concomitanza di fattori, come la scarsità di talenti, la spinta tecnologica, la globalizzazione, l’azienda tallonata da consumatori esigenti e la forte concorrenza, hanno reso il coaching una necessità strategica, poiché si è dimostrato il metodo più efficace per sviluppare al meglio le potenzialità dei soggetti, in ambienti che richiedono alte performances. Se la pratica del coaching ha come obiettivo primario il miglioramento della performance, il punto centrale su cui si snoda la metodologia è il modo in cui si riesce a raggiungere tale scopo. L’utente ed il coach concordano i modi per raggiungere gli obiettivi ed il coach fa delle richieste affinché l’utente (coachee) si impegni a progredire per raggiungere i risultati attesi[3]. Lo svolgimento di una sessione di coaching si sviluppa attraverso una

serie di conversazioni a scadenze prefissate. Durante queste conversazioni il coach[4]:

- aiuta l’utente a focalizzare i suoi reali obiettivi e ad esplorare nuove opportunità;

- rimuove eventuali barriere e crea un piano d’azione per raggiungere, con successo, gli obiettivi dell’utente;

- chiede all’utente di concentrarsi sui suoi talenti naturali e sui suoi punti di forza, aiutandolo a sviluppare il suo potenziale, per risultati più duraturi ed appaganti;

L’efficacia del coaching all’interno delle organizzazioni è strettamente legato alla volontarietà e alla assoluta confidenzialità del contenuto delle conversazioni di coaching. Il coaching può essere fatto sia individualmente che a gruppi di persone, in base alle esigenze di ognuno. Tipicamente l'attività di coaching si sviluppa attraverso le seguenti fasi[4]:

- Analisi dei bisogni specifici dell’utente (si fissano inizialmente uno o più incontri, per individuarne le esigenze e focalizzare gli obiettivi da raggiungere);

- Individuazione delle aree di intervento attraverso la stesura di un profilo; - Eventuale integrazione con training individuali;

- Assistenza via e-mail;

- Definizione dei tempi e delle modalità d’intervento (il coach ed il coachee decidono insieme se proseguire il rapporto, concordandone tempi e modalità attraverso la sottoscrizione di un accordo di collaborazione);

- Verifica settimanale del processo (la durata media consigliata del processo di coaching è di circa tre mesi).

Il coaching può dunque intervenire efficacemente laddove qualcuno si trovi in una situazione di demotivazione che condiziona negativamente la performance lavorativa, individuandone gli ostacoli e suggerendo le strategie per superarli. Il coach è l’allenatore, egli non suggerisce e non impartisce lezioni ma, con l’aiuto delle sue tecniche, della sua esperienza e competenza funge da supporto al suo utente nell’esplorazione di sé stesso e nell’attuazione del piano prestabilito.

Egli agisce da stimolo, dosando interventi ed ascolto attivo, suggerimenti e domande. In ogni caso, tutte le decisioni devono scaturire, dall’utente.[3] È un rapporto basato su una co-responsabilità e

sull’impegno attivo da parte di entrambe le figure.

Il coaching, come tutti i processi che richiedono un cambiamento, può essere causa di resistenze da parte delle persone che lo vivono. Whitmore, infatti, afferma che “sia più facile apprendere qualcosa di nuovo (i fondamenti alla base del coaching) che abbandonare qualcosa di vecchio (il vecchio sistema percettivo)”. Gli individui, infatti, sono condizionati da una lunga esperienza di prescrittività, agita e subita.

L’abitudine, quasi l’attesa, e quindi il desiderio di ricevere un comando sono così radicati nelle persone che spesso dimenticano i benefici che possono ricavare se, anziché ricevere ordini, gli vengono poste delle domande. [2]

Il coaching è una metodologia formativa che può dare enormi benefici sia agli individui e che alle aziende. Come per tutti i processi, però, presenta anche una serie di limitazioni che lo rendono non applicabile in alcuni contesti, se non, addirittura sconsigliabile. Il Coaching, infatti, non è un colloquio improvvisato, né “un aiutare a risolvere problemi con il buon senso”, né un pacchetto formativo preconfezionato.[4] È piuttosto, un rapporto che dopo avere stabilito gli obiettivi, si costruisce sulla

fiducia tramite l’ascolto attivo, il rispetto, l’attenzione. I coach, difatti, non usano una specifica competenza per fare diagnosi, indirizzare o elaborare soluzioni per l’utente. Le relazioni sono gli elementi portanti del coaching, dove il coach ed il coachee sviluppano volutamente una relazione caratterizzata da un crescente e reciproco apprezzamento e rispetto. Il rapporto tra coach e coachee per produrre risultati deve essere curato attentamente, non relegato ai momenti vuoti o accantonato per lunghi periodi in favore delle attività produttive, altrimenti diventa inefficace, come può esserlo un allenamento effettuato in modo incostante e non ogni giorno. [4]

Il processo di coaching, per le sue specifiche caratteristiche, rientra in quel insieme di metodologie formative che sono proprie della formazione sul campo. Questo processo formativo, in un ottica di formazione sul campo, propone ai soggetti dell’apprendimento, il coinvolgimento diretto, in tutte le fasi del processo. Inoltre, rivaluta aspetti come l’esperienza, lo stato emotivo/affettivo degli individui e le interazioni con il contesto di lavoro e di vita. In conclusione è possibile affermare che il Coaching, è un modo diverso di guardare alle persone, che si traduce in un diverso modo di trattare gli altri.[3]

Riferimenti bibliografici

1Amietta, P.L.,

2000 I luoghi dell’apprendimento: metodi, strumenti e casi di eccellenza delle nuove formazioni, Franco Angeli, Milano.

2Carli, R., Paniccia, R.M.,

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3Montironi, M.,

1999 Il coaching, Rivista Sviluppo e Organizzazione, n. 176 Novembre-Dicembre, pp. 81-93.

4Whitmore, J.,

2002 Coaching - Per le aziende e le persone che vogliono crescere e apprendere, migliorare le prestazioni, trovare scopo e significato, Sperling & Kupfer Editori, Milano

INDIRIZZO COMPLETO DEL PRIMO AUTORE Cognome e Nome De Marchi Francesca

Ente di appartenenza Struttura Complessa Organizzazione e Sviluppo Risorse Umane – Azienda Sanitaria Locale BI

Luogo e CAP Biella - 13900

Via/C.so/P.zza Via Marconi, 19

Tel. (Ufficio) 015/2439397

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