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Gli step della formazione continua in sanità

La Formazione sul Campo in Sanità: scenario e

1. Gli step della formazione continua in sanità

La formazione è essenziale nel momento in cui aiuta le persone a svolgere bene il proprio lavoro, a sentirsi soddisfatte, a vivere meglio e le relazioni tra colleghi e il clima organizzativo. A rendere, in poche parole, i luoghi di lavoro contesti costruttivi nei quali si imparano cose nuove, si migliorano le competenze già acquisite, si rafforza il senso del proprio agire. Ciò è ovviamente fondamentale in tutte le organizzazioni pubbliche ma in particolare in quelle sanitarie dove il senso del servizio, dell’utilità dell’azione organizzativa, appare di importanza vitale e dovrebbe essere “di per sé” motivante. Perciò un’organizzazione sanitaria pubblica mal gestita risulta avere un impatto ancor più devastante delle altre sia sugli utenti esterni che interni. Nello stesso tempo, proprio perché la variabile umana è un aspetto determinante nella qualità della prestazione, non si può pensare di risanare l’organizzazione senza un serio coinvolgimento delle Risorse Umane e la formazione, in questa prospettiva, può rappresentare una, ma non certo l’unica, leva da agire per indurre i comportamenti desiderati.

Il percorso della Formazione Continua in Sanità, ECM (Educazione Continua in Medicina), rappresenta un caso interessante di creazione di un sistema formativo, di una sua rapida evoluzione verso qualcosa di complesso e articolato, che ha in sé tutte le premesse per essere un’asse importante del rafforzamento del servizio sanitario pubblico. In un tempo relativamente breve si sono avuti risultati sorprendenti attraverso una serie di passaggi che accenniamo qui in modo schematico.

La formazione da evento a processo

Il programma nazionale di Educazione Medica Continua, è stato introdotto dal D.Lgs. 502/92, integrato dal D.Lgs. 229/1999, che hanno costituito l’obbligo della formazione continua in medicina per le professioni sanitarie. Quindi medici e non, dipendenti e liberi professionisti, operanti nella sanità pubblica e privata. Ma il sistema ECM vero e proprio prende vita nel 2002, gestito direttamente dal Ministero della Salute, per accreditare i singoli eventi formativi realizzati da providers pubblici e privati. Attraverso un lavoro pionieristico, mai svolto prima neanche in altri Paesi, sono registrati tutti gli eventi che si realizzano. Su questa base conoscitiva sono poi possibili approfondimenti sul piano della valutazione della qualità di quanto offerto sul mercato. Temi come l’accreditamento dei singoli eventi, l’adozione dei Referee (esperti selezionati in varie specializzazioni che attribuiscono un punteggio all’evento) per attribuire un indice di valore all’evento, gli strumenti tecnici utilizzati per la valutazione scatenano finalmente un dibattito vero sulle metodologie, gli approcci e gli strumenti della formazione continua in sanità. Sulle positività e criticità dell’ECM si è già avuto modo di intervenire

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approfonditamente (Boni, 2006), in questi primi cinque anni si matura nelle Aziende sanitarie la consapevolezza dell’utilità della formazione e per lo sviluppo dell’organizzazione e per il singolo professionista. Si creano e si strutturano le Unità Operative Formazione, si incrementano gli organici, si sviluppano le capacità di analisi fabbisogni- progettazione- realizzazione- valutazione delle iniziative formative interne ed esterne, si elaborano piani annuali e triennali, si mettono a punto strategie, si creano le reti di animatori, sensori, referenti di formazione sul territorio e si dà vita a sistemi informativi e banche dati dedicati. È in tale periodo che la formazione acquisisce una maggiore visibilità e si impone come tema portante nel più vasto scenario complessivo (e non solo in alcune realtà ed esperienze storicamente più avanzate).

La formazione come sistema coerente

Quaglino sottolinea una reciproca estraneità che si è determinata tra il mondo della formazione e quello dell’educazione (Quaglino, 2008). Nell’ambito medico appare con evidenza la frattura tra il momento della selezione, dell’educazione universitaria, post universitaria, e quello della formazione continua. Non si tratta di un logico continuum ma si avvertono invece lontananze di impostazione e di interessi. Ciascun ambito segue logiche ed obiettivi propri, a volte quasi autoreferenziali. L’Università risponde con lentezza al cambiamento, dispone di risorse sempre più limitate per la ricerca, e dalla modifica della tabella XVIII non sembra aver recepito ancora le nuove esigenze formative legate all’epidemiologia, alla centralità dell’utente, alla clinical governance (prevenzione dell’errore, evidence based medicine, evidence based healthcare, audit clinico), alle medical humanities.

Il mondo della formazione continua è, a sua volta, tradizionalmente centrato sulle aziende sanitarie, orientato al mercato e all’offerta di crediti ai singoli professionisti e allo sviluppo di iniziative basate su esigenze specifiche (sicurezza, privacy ecc.) o su competenze manageriali (gestionali, leadership) e/o trasversali (comunicazione).

Recentemente il riconoscimento generale dell’importanza dell’investimento in R.U. e la necessità di ottimizzare le risorse, ha portato all’instaurarsi di un dialogo, di un’interazione tra questi due mondi fino a pochi anni fa paralleli ma raramente comunicanti, e al superamento della frattura. Ciò emerge chiaramente dall’analisi dei documenti di programmazione regionali quali per esempio i Piani Sanitari. Le Regioni sono ormai pienamente consapevoli del ruolo strategico della formazione nella programmazione dei servizi sanitari regionali. Da una recente la lettura dei PSR in vigore (Formez 2007) emerge infatti che quasi tutti riconoscono il ruolo fondamentale delle R.U.

Alcuni impostano il sistema di sviluppo della formazione continua in interconnessione con altri sistemi (scolastico, universitario, professionale) (ad es. Emilia Romagna, R, Lombardia, Marche, province autonome di Trento e Bolzano, Umbria, Toscana), altri puntano al coinvolgimento delle Università (v. Piemonte, Lazio, Liguria, Campania, Calabria, Sicilia), altri ancora arrivano a programmare un benchmarking tra le varie politiche del personale (Friuli Venezia Giulia) sottolineando l’importanza dello stato di salute psico-fisica operatori del sistema e del un senso di appartenenza (Puglia), e di identità (Friuli, Provincia Autonoma di Bolzano).

I Master potrebbero rappresentare un punto di incontro tra le esigenze del servizio sanitario e l’offerta delle università, colmando alcune lacune della formazione di base ma, in realtà, si è verificata, anche in tale settore, una prolificità dell’offerta più dettata da ragioni di casualità e convenienza interna che di programmazione attenta sui bisogni del territorio. Da un altro studio ha recensito le iniziative di Master di I° e II° livello rivolti alle professioni sanitarie in svolgimento in tutta Italia (Formez 2007), emerge infatti un’alta eterogeneità qualitativa rispetto alle finalità perseguite, ai temi trattati, alle metodologie didattiche adottate, agli eventuali stage nel mondo del lavoro. Va forse sottolineata, però, a proposito di integrazione, la collaborazione tra diverse discipline nella costruzione di alcuni curricula quali ad es. medicina ed economia, sociologia e medicina, architettura e medicina, tanto per citare alcuni esempi.

Sembra infine superata la logica dei compartimenti stagno e si mira a delineare un disegno complessivo di un sistema coerente in tutte le sue parti, ad incastrare bene i pezzi del puzzle in un’immagine di insieme, nella piena consapevolezza dell’importanza di una reale interazione tra momenti di studio e di apprendimento continuo nella vita e nel lavoro.

La nuova Governance della Formazione

Nella recente riorganizzazione dell’ECM, realizzata nel 2007, gli attori del sistema della Formazione continua si ampliano, non solo il Ministero, le Regioni, le Aziende sanitarie, gli oltre mille professionisti della salute ma anche gli Ordini professionali e l’Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali (AGE.NA.S) individuata quale nuova “casa comune”. Sappiamo che si disegna un sistema di accreditamento sia nazionale che regionale, che si sviluppa in modo parallelo, e una nuova architettura del sistema con la creazione di organismi specifici. Negli anni della sperimentazione alcune Regioni si

sono organizzate compiendo scelte strategiche, e dando vita a sistemi complessi che rispondevano alla vision regionale. La Lombardia, unica Regione che ha adottato la filosofia del Countinuing Professional Development (CPD) è stata la prima ad accreditare provider pubblici e privati, altre Regioni (Veneto, Liguria, Valle d’Aosta, P.A. Trento e Bolzano) accreditavano eventi di provider pubblici privati, un altro gruppo di Regioni accreditava solo eventi di provider pubblici (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Friuli Venezia Giulia), e infine un ultimo gruppo, costituito da tutte le Regioni del Mezzogiorno, dalle isole, e dal Piemonte, continuava ad inviare le domande di accreditamento degli eventi al sistema centrale del Ministero. Questo è solo per dare un esempio, anche se significativo, delle differenti impostazioni adottate.

Dal 2007 ad oggi quasi tutte le Regioni hanno dato vita ad un proprio sistema regionale di accreditamento (Piemonte, Basilicata, Sardegna) o ci stanno ancora lavorando (Abruzzo, Molise, Sicilia, Campania, Calabria) ma rimangono profonde differenze. Al di là delle scelte politiche e strategiche di quali provider/eventi accreditare se orientarsi più al “mercato” o se puntare alla riqualificazione e all’investimento sul pubblico, l’aspetto importante è il livello diverso di esperienza e di know how accumulati e di maturazione generale del sistema. È chiaro che disporre, presso gli Assessorati regionali e le Aziende sanitarie di risorse umane valide può “fare la differenza” su base locale.

Ovviamente anche che il sistema formativo, rispecchia i condizionamenti del contesto.

Nell’attuale quadro di decentramento regionale della sanità, proprio perchè la Regione svolge un ruolo forte, emergono, con evidenza ancora maggiore, le carenze di conoscenza, di capacità di individuazione di strategie, di programmazione, di alleanze tra attori, da parte di alcune amministrazioni. Poiché permane un’alta differenziazione tra i vari sistemi regionali, è necessario che si attui a livello nazionale un’integrazione, una ricomposizione del quadro con la definizione di denominatori comuni. Rimane comunque la difficoltà di una mediazione difficile tra autonomia e autodeterminazione regionale e scenario nazionale e internazionale.

Inoltre va anche accennato che nel nostro Paese si parla inoltre di federalismo incompleto in quanto l’esigenza di controllare la spesa da parte delle Regioni è stata talmente forte da far sì che le scelte strategiche ed economiche siano rimaste, in gran parte, centralizzate. Questa marcata tendenza al centralismo si rispecchia anche nella formazione. In alcuni casi il sistema strettamente pianificato a livello regionale riesce comunque a stimolare la crescita e la coesione tra gli attori e a tutti i livelli di governo (v. la Toscana, con la creazione del laboratorio di Formazione, con l’interconnessione tra i vari livelliAzienda/Area Vasta/Formazione Formatori) come anche in altri si programma su base regionale l’impostazione della rete sul territorio (Sardegna), in altri ancora, di fronte a profonde inadempienze regionali (Calabria) o di sistemi disegnati solo sulla carta (Campania) le Aziende Sanitarie svolgono un ruolo trainante. Le capacità del governo della sanità, e del governo delle sue Risorse Umane, la coerenza intrinseca dei sistemi regionali, la qualità delle relazioni di governo tra i vari attori, (tra Regione e ASL, tra Aziende, all’interno delle Aziende tra i vari servizi) appaiono come elementi in grado di condizionare pesantemente la qualità dei servizi offerti (Boni, 2007).

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