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Oltre i confini dell’aula: nuovi territori per l’esperienza di apprendimento

Maria Teresa Pantani

AUSL di Reggio Emilia

Abstract

Le aziende sanitarie possono trovare nella formazione sul campo uno strumento di notevole efficacia: perché sono ricche di situazioni, occasioni, competenze che possono essere terreno fertile per la formazione; perché le attività formative sul campo sono rispettose dei fondamentali principi andragogici, perché la valorizzazione delle attività di formazione sul campo consente anche un risparmio o un ritorno in termini economici. Vi sono però alcune aree di incertezza e bassa definizione, trattandosi di uno ‘strumento’ relativamente nuovo.

L’idea della formazione sul campo (FSC), che si sta sviluppando in diversi sistemi sanitari regionali come integrazione ai tradizionali percorsi d’aula, si appoggia concettualmente ai principi della learning organization (Senge, 1990; Nonaka, 1991). L’assunto forte è che persone e sistemi sociali imparino facendo e che la stessa organizzazione sia intrisa di meccanismi, situazioni, persone che forniscono svariate opportunità di formazione. Ottimizzare e facilitare l’apprendimento delle persone nelle organizzazioni significa aumentare la capacità delle stesse di crescere, rinnovarsi, affrontare adeguatamente contesti complessi e sempre in movimento.1

Le organizzazioni, e quella sanitaria non fa eccezione, hanno la necessità di cercare i migliori adattamenti a un ambiente di riferimento che chiede un continuo sviluppo della qualità del prodotto/servizio; le conoscenze sono velocemente obsolete e, di conseguenza, è intensa la richiesta di innovazione delle competenze che ci si attende dai professionisti. Un sapere, saper fare e saper essere (per usare una classificazione ormai obsoleta) che richiede oggi competenze trasversali di tipo metodologico, cognitivo e metacognitivo, che arricchisce il vecchio paradigma di nuove abilità legate alla riflessività e al ragionamento critico, al saper imparare, al saper trasmettere, al saper affrontare i problemi, al saper facilitare i propri processi di apprendimento, al saper collaborare.

L’azienda sanitaria può trovare nella formazione sul campo uno strumento di notevole efficacia. Se governo clinico significa miglior garanzia possibile di risultato mediante il controllo attento e sistematico dei processi attuato dagli stessi professionisti, allora è solo sul campo che questo può realizzarsi, in una modalità di pensare il proprio agire professionale al passo con i tempi, responsabilizzante e di indubbia efficacia.

La formazione sul campo più che pensabile come un evento o un’attività è l’avvio di un processo che nella maggior parte dei casi pone di fronte le tante strade possibili del suo stesso seguito: conduce ad altre attività di formazione sul campo che a loro volta ne aprono altre, in un circolo virtuoso di un fare dotato di senso, necessario e inevitabile, da governarsi in considerazione della direzione da seguire, per orientare gli apprendimenti alla necessaria comune linea di sviluppo individuo/organizzazione.2

Ecco alcuni fattori che fanno della FSC importante strumento per le aziende sanitarie: Coerenza con i principi andragogici

Al centro del processo formativo ci sono persone adulte, che portano con sé esperienze, aspirazioni, bisogni e motivazioni differenti e che vogliono aver voce nel processo di apprendimento che li coinvolge; trascorrono buona parte del loro tempo di vita sul posto di lavoro e tramite l’attività professionale definiscono, consolidano, modificano, rinnovano l’immagine di sé e del proprio ruolo, sia sul lavoro che nell’intero proprio sistema di relazioni; hanno perciò bisogno di una formazione che serva loro, che possa avere un senso nella più complessiva rappresentazione di sé, congegnale al loro modo adulto di apprendere.

Le competenze oggi richieste dai cambiamenti in atto nel sistema sanitario si caratterizzano per la necessità di apprendimenti complessi: apprendere vuol dire non solo aggiungere, ma anche modificare qualcosa nel campo cognitivo precedente: idee, collegamenti, connessioni logiche che si erano utilizzate prima per organizzare le proprie rappresentazioni mentali e le concezioni in base all’esperienza, alle tendenze emozionali, agli atteggiamenti strutturali verso gli oggetti.

Nel proprio apprendimento l’adulto è selettivo: sceglie di imparare ciò che pensa possa servirgli. L’efficacia di un processo formativo è proporzionalmente collegata al riconoscere nell’adulto il bisogno e la capacità di autogestirsi, di utilizzare la propria esperienza, di valutare la propria disponibilità ad apprendere e di organizzare il proprio apprendimento attorno ai problemi percepiti. Di sottofondo a tutto ciò è l’idea che il soggetto deve essere consapevole di come e cosa apprende.3

Ricchezza di opportunità

Formarsi sul campo vuol dire attingere dal quotidiano operativo, esplorarlo, rivederlo, valutarlo, modificarlo, sperimentarlo. Significa riconoscere ai problemi di lavoro un valore di opportunità, significa imparare dal fare ma anche riconoscere nei diversi aspetti dell’agire professionale l’elevato valore formativo, esito del confronto con i colleghi, con sé stessi, con l’organizzazione, con la letteratura. Si comprende allora come i processi di apprendimento nelle organizzazioni facciano principalmente riferimento ai processi di condivisione di conoscenze ed esperienze, frutto di una continua interazione tra saperi e azioni (saperi in azione), esito di revisioni continue e individuali e collettive, rivenienti dall’assunzione di responsabilità da parte degli attori dell’organizzazione stessa.4

Sempre, in sanità, si sono svolte attività formative sul campo: il passaggio rilevante è stato riconoscere queste attività come formazione accreditabile nel sistema ECM; il passo che ora si sta mostrando più difficoltoso è arricchire queste attività dei necessari aspetti progettuali, prevedendo e immaginando sviluppi che non sempre sono facilmente individuabili. Sovrapposizioni di strumenti e metodi, difficoltà a circoscrivere gruppi o settori coinvolti, a suddividere le tappe di un percorso che a un certo punto si trasforma in qualcosa di diverso da ciò che è inizialmente, sono fonte di non pochi problemi legati alla gestione del processo.

Nel contesto di lavoro ci sono risorse per apprendere, ma è un contesto di apprendimento? Tali risorse devono essere organizzate, in modo da sostenere adeguatamente l’apprendere nel contesto. Senza una progettazione in senso formativo l’apprendimento sarebbe casuale: potrebbe non corrispondere alle abilità e competenze necessarie. Le procedure occorrenti per l’accreditamento possono offrire un importante contributo metodologico se considerate uno strumento a sostegno della progettazione degli eventi e per la capitalizzazione delle esperienze. È la prima tappa del percorso necessario a trasformare una pratica in evento formativo, rappresenta l’attivazione intenzionale di un processo che ha come obiettivo l’apprendimento.5

Contenimento dei costi

La valorizzazione delle attività di formazione sul campo consente anche un risparmio in termini economici: basti pensare al limitato o assente ricorso a docenti, particolarmente esterni, con relative spese di viaggio, vitto, alloggio, alla possibilità di utilizzare i luoghi di lavoro per gli incontri, evitando l’affitto di aule di formazione, alla limitata necessità di utilizzare strumentazioni didattiche complesse. Anche la spesa dell’azienda sanitaria in termini di assenze dal servizio e ore di lavoro straordinario non è gravata dal tempo di viaggio dal luogo di lavoro alla sede di formazione. A tutto questo si aggiungano i benefici economici derivanti da un minore ricorso a formazione esterna e quelli indiretti provenienti dall’auspicato aumento dei livelli di motivazione, la cui misurazione è senz’altro difficile, ma che si può presumere esistano: riduzione dell’assenteismo, approccio più responsabile nell’agire professionale... Ma si possono aggiungere ulteriori benefici economici, a seconda delle attività che i gruppi portano avanti: dalla riduzione degli errori grazie a un miglior governo dei processi, con riflessi sui tempi di ricovero, alla riduzione degli sprechi per una più ponderata definizione dei materiali d’uso in considerazione del rapporto costi/benefici, o dell’adozione di linee guida, solo per dirne qualcuno. Mentre si svolge una ricerca, o si costruisce un questionario per l’utenza, o ci si confronta su casi, cosa si apprende? Mentre si produce un protocollo o uno strumento di rilevazione, mentre si analizzano problemi e si ipotizzano e sperimentano soluzioni cosa si apprende? Il fare nell’ottica di migliorare l’organizzazione, il servizio, la performance, come si coniuga con il fare per apprendere? Si tratta di una sfida decisamente interessante. Infatti uno degli aspetti più complessi che accompagna l’attività di formazione sul campo è saper ricongiungere la separazione tra attività che conducono a un esito richiesto dalla professione e valore formativo. Lo sforzo sta proprio nel distogliere momentaneamente lo sguardo dai fini professionali/produttivi e leggere l’attività con occhi che osservano in termini di formazione. Perché di formazione si tratta, quella formazione che educa il pensiero, che attiva nuovi nodi e collegamenti nella rete cognitiva mediante la riflessione sull’azione. La riflessione è cruciale per l’apprendimento dall’esperienza. L’ambiente di lavoro offre numerose opportunità per apprendere, ma non è detto che tali esperienze conducano a un apprendimento: molte passano inosservate. Però è possibile un tipo di riflessione che permette di riconoscere queste occasioni, quando si presentano e imparare da esse. L’esperienza è analizzata, scomposta, riorganizzata in funzione di un processo nuovo, non è più solo memoria di quanto fatto o accaduto ma patrimonio culturale: l’esperienza ha

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prodotto conoscenza. Di fronte a un processo nuovo si associano le conoscenze acquisite nel corso di esperienze precedenti alle diverse operazioni che il processo richiede6. E a seguito di quanto appena

detto, la competenza diventa la capacità di applicare un sapere in un contesto dato riconoscendone le specifiche caratteristiche e adottando comportamenti funzionali al conseguimento del risultato7. È

proprio l’esercizio della riflessione sull’esperienza che distingue l’apprendere dal fare dal semplice fare. Il confronto con altre persone, inoltre, produce un ampliamento e una modifica del campo cognitivo di coloro che sono coinvolti nell’attività formativa, ma anche accresce la competenza relativa al lavorare insieme ad altri, insegnando il rispetto e il riconoscimento degli altrui punti di vista. Quindi le competenze che si acquisiscono con le attività di formazione sul campo non sono solo utili nello specifico professionale, ma promuovono quella crescita personale che si rende utile a operare a ogni livello in un mondo di ruoli che cambiano e di necessità di competenze sempre più diffuse, flessibili, ampie e al contempo sottili.

Alcuni aspetti critici che caratterizzano la FSC sono la definizione degli obiettivi e la valutazione degli apprendimenti. Occorre: inquadrare le attività entro una cornice formativa, ovvero strutturare le stesse predefinendo specifici obiettivi formativi; differenziare (e quindi individuare) gli obiettivi legati agli apprendimenti rispetto agli obiettivi organizzativi in senso stretto; individuare modalità di verifica dell’apprendimento diverse dalle consuete.

Nel definire un obiettivo di apprendimento occorre rispettare alcune regole fondamentali.

L’obiettivo deve essere espresso nei termini di quali conoscenze, abilità, comportamenti il partecipante acquisirà (che prima non erano posseduti o non del tutto), perciò deve essere incentrato sui partecipanti e non su altro. Si potrà quindi dire “il partecipante saprà riconoscere…” o “il partecipante sarà in grado di…”, o ancora “il partecipante saprà applicare, mentre non si potrà esprimere un obiettivo in questi termini: “Trasmettere ai partecipanti le conoscenze…”, oppure “fornire al partecipante gli strumenti…” o “illustrare ai partecipanti il metodo…”. La differenza, che può apparire solo formale, in realtà indica una sostanziale centratura sull’evento o sul docente piuttosto che su chi apprende. Uno degli errori più comuni, che può condizionare anche la valutazione rispetto a metodi, tecniche, strumenti, risultati, è proprio quello di definire l’obiettivo utilizzando verbi che pongono i partecipanti in posizione passiva. Un altro è quello di esprimere non gli obiettivi di apprendimento, ma i risultati organizzativi attesi che, siano essi troppo concretamente ridotti (“aggiornare la procedura X...”) o troppo astrattamente estesi (“migliorare la qualità dell’assistenza…”, non entrano nel merito degli apprendimenti effettivi.

L’obiettivo deve essere in qualche modo condiviso da chi partecipa al progetto, poiché parliamo di formazione di adulti che devono consapevolmente partecipare ai percorsi di apprendimento che li riguardano, dalla progettazione alla verifica. Questo è ancor più vero per le attività di FSC, spesso attivate e condotte dagli operatori sanitari stessi senza mediazioni al solo fine di migliorare se stessi, la propria professionalità, la propria organizzazione del lavoro.

L’obiettivo deve essere verificabile. Chiaramente può rivelarsi più semplice verificare un apprendimento se espresso in termini di obiettivo organizzativo: se la procedura viene prodotta l’obiettivo è raggiunto. Ugualmente, se l’obiettivo è trasmettere conoscenze è raggiunto dal punto di vista della mera trasmissione, ma se invece è che una conoscenza sia acquisita, a volte neppure un buon questionario lo garantisce… Assai più arduo verificare il miglioramento della qualità dell’assistenza: obiettivo talmente ampio e multifattoriale, che, così espresso, non consente alcuna valutazione. Ma se ciò che qui ci si propone è produrre un apprendimento e non solo un risultato organizzativo, tale apprendimento deve essere definito nel modo più chiaro e preciso possibile, anche se sussistessero difficoltà di verifica del medesimo. Non occorre allora definire obiettivi altisonanti o particolarmente ambiziosi. Invece è opportuno definire obiettivi di apprendimento semplici, limitati, ben definiti. Una scelta di questo tipo consentirà di concentrare l’attenzione su alcuni aspetti rilevanti rispetto ad altri, permetterà di evitare delusioni rispetto al raggiungimento effettivo dell’obiettivo.

Si vuole offrire, quale spunto, una gamma di possibili obiettivi collegabili alle attività di FSC, principalmente per sottolineare la necessità di distogliersi dagli obiettivi solitamente pensati per la formazione tradizionale e aprirsi a apprendimenti più complessi e articolati.

Ad esempio nelle attività di ricerca possono essere acquisite una o più delle seguenti capacità: interrogarsi sui problemi, tradurre i quesiti in protocolli operativi di ricerca che siano logici e rigorosi, consultare le banche dati e la letteratura, lettura critica e interpretazione dei dati e dei risultati di uno studio, utilizzare strumenti strutturati per l'accertamento e il monitoraggio, misurarsi con il consenso dei pazienti, trasferire i risultati ai propri pazienti.

Ma altri spunti per definire gli obiettivi (e talora gli strumenti) nella varianza delle attività di FSC possono essere derivati da queste considerazioni: la FSC può consentire di acquisire capacità metodologiche (pianificare, sperimentare, strutturare, standardizzare, problem solving, PDCA, valutare), di ampliare le prospettive (confrontare i punti di vista, vedere possibilità nuove, ricercare,

brainstorming, riconoscere il cambiamento come valore), di potenziare creatività e ideazione (creare strumenti nuovi, individuare soluzioni innovative, creare reti), di allenarsi a collaborare (aprirsi al confronto, suddividere il carico, rispettare i ruoli, sapersi valorizzare reciprocamente, creare squadra, valorizzare la diffusione del sapere), di coltivare l’identità professionale e personale (valorizzare il proprio agire professionale, individuare nuove aree di competenza, attingere da altre competenze trasversali, sviluppare il senso di appartenenza, accrescere l’autostima, agire in un’ottica tesa alla qualità, esercitare le competenze).

Riferimenti bibliografici

5Agenzia Sanitaria Regionale dell’Emilia Romagna

2005 Educazione Continua in Medicina in Emilia Romagna – Rapporto 2004, Bologna, p. 46., Dossier 113/2005

3Bruscaglioni, M.

2002 La gestione dei processi nella formazione degli adulti. Milano, Franco Angeli pag. 23.

6Knasel, E., Meed, J. e Rossetti, A.

2002 Apprendere sempre – L’apprendimento continuo nel corso della vita. Milano, Raffaello Cortina Editore, pag. 104.

4Loiodice, I.

2006 La specificità dell’educazione degli adulti nel campo del lifelong learning. Lifelong Lifewide Learning Riv on-line di Edaforum 4

1Marenzi, C.

2003 Apprendimento facilitato “during the job”. FOR Rivista per la formazione, Milano, Franco Angeli, 57: 11-16.

2Pantani, M. T. e Ruozi, C.

2006 Com’è bello l’imparar facendo. Janus - Roma Zadigroma, 24:29-35.

7Vairetti, U.

2005 Le mani nella testa – il rapporto tra sapere e fare nel lavoro e nella formazione, Medicina I, Milano, Franco Angeli, pag. 34

INDIRIZZO COMPLETO DEL PRIMO AUTORE Cognome e Nome Pantani Maria Teresa

Ente di appartenenza AUSL di Reggio Emilia

Luogo e CAP Reggio Emilia - 42100

Via/C.so/P.zza Via Liguria, 2

Tel. 0522-335980

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Formazione sul campo nell’ambito del Corso

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