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Tutoring e affiancamento: presupposti culturali, appunti metodologici e strument

Valerio Dimonte* e Lorenza Garrino**

* Professore Associato in Scienze Infermieristiche Università degli Studi di Torino ** Ricercatore in Scienze Infermieristiche Università degli Studi di Torino

… L'apprendimento non è solo frutto di un'acquisizione proveniente dal mondo esterno, ma è mediato dal mondo interno del soggetto che apprende. L'apprendimento autentico nasce solo

dall'esperienza" (Blandino, Granieri 1994)

Abstract

La funzione tutoriale si pone come azione di guida, sostegno ed accompagnamento nei processi formativi ed è finalizzata ad aiutare il soggetto ad assumersi una progressiva responsabilità del proprio apprendimento. Presenta caratteristiche peculiari in rapporto ai modelli di riferimento ed alle figure tutoriali che assumono una valenza specifica nei differenti percorsi formativi. Si avvale di metodologie e strumenti quali l’utilizzo dei contratti di apprendimento, pratiche di riflessione sull’esperienza, sviluppo delle competenze cliniche ed abilità gestuali in setting di tipo altamente interattivo. Le caratteristiche della funzione di tutorship descritte portano a sottolineare come tale ruolo sia altamente finalizzato alla formazione sul campo ed ai processi di apprendimento all’interno dei contesti organizzativi.

Introduzione

L’aspetto che contraddistingue la funzione tutoriale da qualsiasi altro tipo di insegnamento/apprendimento risiede nella particolare natura della relazione interpersonale tra singolo discente o un piccolo gruppo di discenti ed il tutor. L’origine della parola tutor deriva da tutus, participio passato di tueri che significa proteggere, difendere. La relazione educativa tutoriale è orientata ad una formazione individualizzata, che mira ad aiutare il soggetto ad assumersi la responsabilità della propria formazione. Tale relazione attiva e presidia i processi di apprendimento che coinvolgono non solo la sfera cognitiva, ma anche quella emotiva ed affettiva, pertanto richiede a chi la esercita atteggiamenti di disponibilità, ascolto ed intenzionalità (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003). Il tutor si pone come facilitatore dell’apprendimento per condurre lo studente ad essere consapevole del proprio stile di apprendimento. I processi di apprendimento si concretizzano nella trasformazione delle informazioni in una interconnessione e reti di conoscenze, utili alla comprensione e alla risoluzione di problemi che diventano in tal modo un vero e proprio sapere, ed in trasformazioni del sapere in competenze professionali spendibili nei contesti organizzativi. La tutorship si caratterizza quindi come una attività di facilitazione dell’apprendimento “esperienziale”, in un setting altamente interattivo. In tale contesto la funzione educativa e di insegnamento non è tanto quella di trasmettere, modificare o immettere qualcosa, ma di accompagnare il discente al sapere, ovvero predisporre e presidiare le condizioni per cui nella sua mente possa accadere qualcosa, cioè si realizzi un apprendimento (Blandino e Granirei, 1995). Accogliere, avviare, accompagnare, facilitare, sostenere, favorire l’autoapprendimento sono i verbi che meglio caratterizzano e connotano l’azione tutoriale. Ascoltare, orientare, consigliare, rendere consapevoli ed aver cura sono i verbi che meglio esplicitano la relazione educativa tutoriale. Il setting pedagogico tutoriale si realizza, dunque, come un sistema di comunicazione intersoggettivo entro il quale le parti in gioco procedono nel rendersi progressivamente disponibili ad uno scambio fondato sull’insegnare e sull’imparare (Salomone, 1997). Nella relazione educativa tutoriale è presente una asimmetria che comporta nel tempo un progressivo avvicinamento tra le parti. Si realizza all’interno di un progetto formativo basato su una pedagogia che pone al centro il discente in un percorso progettato e scandito da obiettivi chiari e definiti. Si gioca all’interno di una dimensione spazio/temporale fisica, ma soprattutto mentale. Il tutor attraverso un atteggiamento maieutico mette in grado il discente di attivare tutte le conoscenze e capacità in suo possesso rispetto ad una determinata situazione da analizzare o risolvere e dall’altro di individuare autonomamente i bisogni di apprendimento che tale situazione lascia intravedere (Zannini, 2005).

Il modello tutoriale è, dunque, orientato alla tensione verso la crescita, l’autonomia, il potenziamento del soggetto che è stato affidato. Privilegia l’apprendimento dall’esperienza e pratiche di tipo riflessivo. Utilizza il gruppo come luogo di apprendimento e sviluppo. Utilizza modalità di apprendimento diverse,

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dalle quali derivano metodi e tecniche tutoriali specifici. Ha come finalità di aiutare/facilitare chi apprende a transitare nel progetto formativo. Favorisce lo sviluppo della consapevolezza dei saperi pratici che costantemente si producono nelle organizzazioni nell’ottica del cambiamento organizzativo. Le nuove logiche formative sottolineano l’importanza dei processi di supporto per lo sviluppo delle competenze all’interno dei contesti organizzativi. Viene qui sottolineata la convergenza verso una concezione di formazione connessa a processi di pensiero e di elaborazione, verso una ipotesi di apprendimento dall’esperienza come valorizzazione dei contesti e delle situazioni operative all’interno delle quali i soggetti si trovano a costruire il loro rapporto con la realtà e la loro storia personale e lavorativa (Kaneklin e Scaratti, 1998). Ruoli professionali e competenze maturano all’interno di situazioni organizzative che, per produrre beni o fornire servizi, hanno bisogno di investire risorse in attività di apprendimento (Demetrio, Fabbri e Gherardi, 1994). La formazione agita nei contesti lavorativi mette in campo metodologie di tipo più tradizionale, quali analisi dei casi, esercitazioni guidate, addestramento a tecniche specifiche fino a strategie didattiche più innovative quali l’action learning e l’outdoor training. In ognuna di queste risulta evidente, anche se in forma più o meno accentuata, la caratteristica peculiare della funzione di tutorship che, a partire dall’ambito esperienziale, interviene per attivare costanti pratiche di tipo riflessivo.

Le figure del tutorato

La centratura della formazione sul discente presuppone una sua diretta implicazione e partecipazione nei processi formativi a partire dalla definizione degli obiettivi di apprendimento all’interno di un contratto formativo specifico, sino ai tempi ed ai metodi per raggiungere le mete identificate (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003). La tutorship favorisce lo sviluppo di questo processo e delle varie modalità per realizzarlo. In questo scenario formativo si evidenziano differenti modalità e modelli di tutorship. Nella formazione universitaria delle professioni sociali e sanitarie la funzione tutoriale è stata attribuita a soggetti variamente denominati cui corrispondono funzioni diverse per ampiezza e qualità e per metodologie utilizzate (Castellucci, Saiani e Sarchielli, 1997).

In particolare, in ambito clinico la funzione tutoriale si esplica attraverso una serie di attività estremamente diversificate e con ruoli diversi che vengono qui di seguito esaminati.

Il tutor clinico opera per favorire lo sviluppo delle competenze specifiche del profilo professionale, per implementare lo sviluppo delle metacompetenze finalizzate allo studio ed all’esercizio professionale, risponde ai bisogni di assistenza didattica personalizzata ed ai bisogni di orientamento e di counselling. Le funzioni peculiari del tutor clinico sono relative al progettare percorsi di tirocinio coerenti con il progetto formativo complessivo e con i modelli assistenziali di riferimento, facilitare i processi di apprendimento orientati allo sviluppo di competenze professionali, guidare lo studente nei processi di rielaborazione dell’esperienza professionale stimolandolo ad acquisire nuove conoscenze da tale esperienza (Zannini, Saiani e Renga, 1998). Il tutor clinico interviene favorendo l’integrazione tra modelli teorici e modelli di azione sperimentati in campo assistenziale e la sua azione è finalizzata ad incoraggiare lo studente ad autoapprendere. Si adopera per presidiare i processi di apprendimento utilizzando efficaci modalità didattiche e offrire sostegno allo studente in difficoltà di apprendimento o a situazioni problematiche anche personali, intervenendo per quanto di competenza o indirizzando verso altre figure o servizi. Interviene nel predisporre un contesto formativo adeguato, negoziando con le sedi di tirocinio condizioni favorevoli ed attivando processi di accoglienza ed integrazione degli studenti. Si propone come punto di riferimento per l’infermiere qualificato dei servizi che guida lo studente nella sede di tirocinio. Interviene nella valutazione dei processi formativi, stimolando l’autovalutazione e concorre alla valutazione certificativa dello studente.

La funzione di interfaccia tra studente e contesto organizzativo viene garantita, oltre che dal tutor, anche dalla funzione di affiancamento o guida di tirocinio.

Le guide di tirocinio operano in stretta collaborazione con i tutor clinici per l’inserimento e l’orientamento degli studenti, sostenendoli nell’integrare gli obiettivi formativi con gli obiettivi assistenziali ed organizzativi. La guida di tirocinio è una figura ad alta valenza formativa sul campo, allestisce situazioni di apprendimento in concomitanza con l’assistenza ed ha al contempo anche un rapporto diretto con lo studente. È una figura cruciale per la trasmissione di un “esempio” professionale. Per questa funzione vengono selezionati operatori esperti di analogo profilo professionale presenti nei servizi che guidano lo studente all'acquisizione graduale dell'autonomia dell'esercizio professionale che passa da una pratica svolta sotto diretta supervisione ad una pratica professionale indipendente, che lo incoraggi a considerare l’assistenza prestata all’interno di un contesto più ampio e a riflettere costantemente prima e dopo l’esperienza pratica. Le principali azioni educative delle guide di tirocinio sono in parte simili a quelle del tutor clinico, di cui è stretto collaboratore, e sono relative a creare un ambiente formativo, favorire l’accoglimento ed inserimento dello studente, informare e coinvolgere tutti gli operatori del servizio nel progetto dello studente,

selezionare le attività da far sperimentare allo studente in coerenza con gli obiettivi educativi del corso, partecipare alla progettazione dei tirocini, offrire allo studente occasioni per sperimentare una progressiva, ma graduale responsabilizzazione (Zannini, Saiani e Renga, 1998). Le guide di tirocinio contribuiscono in modo significativo nello stimolare lo studente ad esplicitare le conoscenze scientifiche e tecniche al momento della loro applicazione, motivare ed esplicitare i processi decisionali che sottendono l’azione di un infermiere esperto durante gli interventi assistenziali, addestrare lo studente in manovre specifiche, far riflettere sull’errore ed offrire allo studente la possibilità di confronto. Nella loro azione formativa intervengono nello stimolare lo studente all’autovalutazione, fornendo nel contempo costantemente un feedback, e contribuiscono alla valutazione dello studente. Nei servizi e nelle strutture complesse le figure “guida” svolgono attività specifiche di orientamento professionale dirette ai neo assunti, all’interno di specifici ed articolati progetti di accoglienza ed inserimento.

Il vantaggio di un processo di inserimento accuratamente monitorato, consiste nella possibilità di evitare che i neoassunti siano costretti a inserirsi facendo unicamente ricorso alle capacità personali, imparando da soli e prendendo a riferimento i modelli che appaiono loro più idonei, senza che lo siano necessariamente. Tale processo favorisce una graduale acquisizione dell’autonomia dei professionisti in termini anche di qualità delle prestazioni erogate e della sicurezza per gli utenti e per gli stessi operatori.

Apprendere attraverso i progetti (Forti e Masella, 2004) è utile per sviluppare la capacità di applicare, adattare, contestualizzare metodologie e tecniche a problemi reali, accrescere il senso di responsabilità, le capacità di programmazione, la proattività, acquisire modelli di lettura di un certo contesto organizzativo, applicare tecniche di problem solving e project management. Il tutor di progetto supporta nell’adottare una impostazione metodologica pertinente agli obiettivi del progetto, favorisce la riflessione sul materiale prodotto, orienta e accompagna nell’affrontare situazioni nuove, sostiene l’apprendimento dall’azione in un contesto specifico nella prospettiva dell’Action Research di Kurt Lewin (Trombetta e Rosiello, 2000).

Il coaching è un termine utilizzato in ambito sportivo ed è legato all’assegnazione di un ruolo specifico sulla base delle qualità e caratteristiche del singolo soggetto. In tal senso viene definito un programma personalizzato legato ad obiettivi personali da raggiungere. IIll ttuuttoorr ccoommee ppeerrssoonnaall ttrraaiinneerr//ccooaacchh p

promuove nel discente il pieno sviluppo della sua persona, lo aiuta ad investire nel miglior modo possibile le sue capacità, gli insegna a gestire i momenti di tensione e di stress, lo aiuta a risolvere in modo autonomo i suoi problemi, prendendo opportune decisioni (Borgogni, Petitta, 2003).

Il mentoring è un rapporto individualizzato tra un esperto ed un novizio che consente al soggetto informazione di sviluppare le proprie potenzialità e le competenze richieste dal ruolo che andrà a ricoprire. Il mentore fornisce non solo uno stimolo per l’acquisizione di competenze professionali, ma anche il necessario supporto psicologico. Ciò che caratterizza il rapporto mentore-discente è la volontarietà del rapporto, che deve essere completa per entrambi i soggetti. Senza di essa sarebbe infatti impossibile una genuina accettazione reciproca di se stessi, con la conseguente mancanza di quell’investimento emotivo che è il carburante della relazione e che renderebbe inerte la relazione stessa (Ferrario, 1996).

Metodologie e setting tutoriali

Le metodologie didattiche tutoriali si differenziano a seconda degli spazi, dei tempi e delle regole che si decide di assumere. Ciò che tali pratiche hanno in comune riguarda la condivisione di un campo di esperienza come presupposto per attivare processi di riflessione. La funzione tutoriale infatti si orienta in modo preciso nel facilitare i processi di conoscenza a partire dall’esperienza individuando le strategie più adeguate che possano aiutare il discente a attribuire senso e significato a quanto è stato vissuto e sperimentato. Le metodologie didattiche tutoriali che più abitualmente vengono messe in atto nei nostri contesti formativi riguardano il briefing/debriefing, l’apprendimento dall’esperienza (experential learning), gli strumenti di tipo narrativo legati a pratiche di tipo riflessivo, l’apprendimento a partire da casi e problemi, il laboratorio gesti o skillslab.

La pratica del briefing/debriefing (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003), (Zannini, 2005), (Zannini, Saiani e Renga, 1998), (White e Ewan, 1994) riveste una rilevanza particolare nell’apprendimento clinico e si concentra nel mondo reale della pratica. Il termine briefing è solitamente associato a brevi e precise indicazioni che coinvolgono attivamente lo studente preparandolo alla pratica clinica. Nella fase di briefing si crea una atmosfera a “basso rischio”, confortevole e serena, utile agli studenti ad esprimere le proprie preoccupazioni ed aumentare la loro sicurezza. La fase di briefing diventa una strategia fondamentale nel processo formativo poiché l’apprendimento clinico è una attività complessa che richiede una sintesi dei contenuti di diversi ambiti, la conoscenza dei problemi dei malati, la capacità di trasferire e mettere in atto le competenze e le abilità di soluzione dei problemi. Nella fase di debriefing, che segue la pratica clinica, vengono riesaminate le performance degli studenti per capire

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se gli obiettivi di apprendimento sono stati raggiunti e viene fornito loro un feedback efficace utile a comportamenti futuri. Il debriefing offre inoltre la possibilità di fare chiarezza nel rapporto tra teoria e pratica risalendo al razionale ed ai principi che sottendono le azioni assistenziali. La fase di debriefing nella tendenza attuale include riflessioni mirate di apprendimento dall’esperienza.

L’experential learning o apprendimento attraverso l’esperienza si basa sulla valorizzazione dell’apprendimento sul campo attraverso la selezione di strumenti e metodi appropriati. Numerose teorie e modelli (Kolb 1985, Boud 1986) sono stati proposti per guidare i tutor e gli insegnanti clinici nel processo di riflessione che consente ai discenti di apprendere dall’esperienza. Kolb propone quattro fasi: il ritorno all’esperienza concreta, l’osservazione e la riflessione su ciò che è accaduto, la concettualizzazione astratta e la sperimentazione attiva. Bound (in Cox ed Ewan) (Cox e Ewan, 1989) esplicita un modello che a partire dall’esperienza attiva un processo di riflessione tendente a utilizzare i sentimenti positivi ed a allontanare quelli negativi rivalutando l’esperienza, proporre nuove prospettive, un cambiamento dei comportamenti ed un impegno operativo nell’azione. L’apprendimento riflessivo (Schon, 1993) può consistere nel pensare a ritroso a quello che abbiamo fatto, scrive Schon, oppure possiamo arrestarci nel mezzo della pratica per fermarci e pensare (stop-and-think). O ancora possiamo riflettere nel mezzo della pratica, senza per questo interromperla (reflection-in-action). In tal caso la nostra riflessione serve a rielaborare ciò che stiamo facendo mentre ancora lo stiamo facendo. Imparare ad apprendere dall’esperienza è fondamentalmente apprendere a conversare con se stessi. Apprendere dalla propria storia è un processo ulteriore, che deriva dal mobilizzare le capacità di retrospezione, introspezione, attenzione. La costruzione del nostro senso di identità è legato alla capacità di narrarsi, a partire dall’immagine che noi siamo, multipla, relazionale e discontinua (Formenti, Gamelli, 1998). Sempre nell’ambito dell’apprendimento riflessivo il tutor gestisce dunque strumenti formativi di tipo autobiografico che costituiscono dei momenti utili per imparare a guardarsi, nel senso di ripensarsi, ricordarsi di sé, interrogarsi sul proprio vissuto, sviluppare una propria progettualità. In tal senso la scrittura dei diari di bordo o diari riflessivi per narrare e trattenere l’esperienza, acquistano una forte valenza formativa poiché accompagnano e documentano l’agire quotidiano e consentono di divenire più consapevoli di sé, non solo sul piano cognitivo, ma anche rispetto alle proprie emozioni e sentimenti (Mortari, 2003). La scrittura del diario consente di porsi in una posizione percettivo-riflessiva diversa rispetto a quella abituale, e di riconsiderare, così, aspetti dell’esperienza professionale solitamente abbandonati alla routine di un lavoro forse troppo spesso risolvibile nel “compito da assolvere” (Madrussan, 2007). Dai numerosi studi ed esperienze riportate in letteratura l’utilizzo dei diari aiuta lo studente nel suo sviluppo personale e professionale e contribuisce ad incentivare le sue competenze cliniche e relazionali, la sua personale consapevolezza e sensibilità nei processi di cura. Un importante ruolo è rivestito dal tutor come guida e supporto allo studente negli aspetti di utilizzo della pratica diaristica e di analisi dei testi prodotti (Garrino, 2007). Tra queste competenze tutoriali la riflessività, la capacità di formare una coscienza professionale critica, che si interroghi costantemente su quanto avviene, è elemento fondante ed acquistano in tal senso valore tutte quelle forme di apprendimento, di conoscenza, di formazione che fanno riferimento all’analisi del proprio “essere-in-situazione” (Gregorino, 2007). È importante dunque che lo sviluppo delle competenze tutoriali in tale ambito si avvalga di una formazione specifica e che il metodo narrativo e riflessivo possa essere sperimentato in prima persona dai tutor e dalle figure guida per recuperare ed attivare la riflessione critica anche rispetto ai modelli educativi con cui sono stati formati (Gargano, Garrino e Lombardo, 2002).

Nella didattica tutoriale il metodo dei casi è utile per rinforzare l’apprendimento di concetti e conoscenze, risolvere dubbi applicativi, applicare le conoscenze a situazioni reali, analizzare situazioni e problemi complessi, sviluppare le capacità di analisi e di decisione, prendere coscienza del processo mentale sottostante la diagnosi e/o la decisione, innescare un dibattito, una discussione tesa a favorire l’apprendimento (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003), (Colombo, Gandini, Garrino, Gioia, Malinverno e Rodriguez, 2003). Nella discussione del caso nel piccolo gruppo il tutor pone domande per facilitare l’apprendimento invitando a soffermarsi sui termini poco chiari, cogliere gli elementi del contesto per definire la situazione, evidenziare le informazioni da ricercare, identificare le possibili cause, identificare le possibili conseguenze o ricadute sull’organizzazione o sull’assistenza ed ipotizzare possibili interventi risolutivi o migliorativi. Una competenza specifica del tutor riguarda l’apprendimento a partire da problemi attraverso la gestione del problem based learning (PBL). L’apprendimento per problemi mette i discenti in una situazione in cui essi attivano le conoscenze pregresse, lavorano sulle conoscenze attraverso l’acquisizione di nuove informazioni inerenti il problema, creano una rete semantica perchè ristrutturano le conoscenze in modo adeguato al problema, apprendono in un contesto professionale, poiché il problema descritto è molto “vicino” a quelli della vita reale professionale e quindi consente di archiviare le informazioni in modo da recuperarle facilmente quando si presenteranno simili nella realtà professionale (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003) (Sasso e Lotti,

2007). L’organizzazione e la gestione delle sessioni di apprendimento pratico riguardanti il laboratorio gesti riguarda tradizionalmente l’ambito tutoriale (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003), (Zannini, 2005), (White e Ewan, 1994). Il laboratorio è un’aula dove gli studenti si esercitano nelle tecniche, ad un livello prestabilito, prima di procedere alla pratica clinica. Lo scopo del laboratorio gesti o skillslab consiste nel coinvolgere gli studenti nella attività pratica attraverso l’analisi del loro retroterra teorico, la sperimentazione di presidi ed attrezzature, l’interpretazione della teoria che sottende l’azione, lo sviluppo di abilità pratiche. Il setting di laboratorio per l’insegnamento di abilità cliniche può comprendere anche l’utilizzo di complesse strumentazioni computerizzate, con manichini e tecniche di simulazione di realtà virtuali o scenari simulati, e può essere anche impostato in forma di self-learning con tecniche di autogestione delle risorse. Nel progettare e gestire i processi formativi sul campo la funzione tutoriale si avvale dell’utilizzo di contratti di apprendimento che consentono di responsabilizzare tutti gli attori dell’apprendimento clinico circa il loro ruolo, esplicitando in modo chiaro le competenze da raggiungere nel tempo prestabilito (Sasso, Lotti e Gamberoni, 2003), (Zannini, 2005) (Tannini, Saiani e Renga, 1998). Nei contratti di apprendimento il tutor dovrà favorire attraverso una sorta di co-progettazione con il discente, le esperienze di apprendimento relative ad un dato contesto, individuando insieme a lui le metodologie, gli strumenti e le risorse presenti potenzialmente più idonei al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento. Il formando potrà contrattare con il tutor anche le modalità di valutazione ed esprimere il proprio giudizio sulla qualità dell’apprendimento. La funzioni tutoriale nella gestione dei contratti di apprendimento consiste nell’aiutare il discente a valutare il suo livello di competenza iniziale ed esaminare le aspettative alla

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