PARTE TERZA
7. INCONTRI E PERCORS
7.1 Convergenze e divergenze
7.1.4 Indipendenza e dipendenza da bando
Entrambi i progetti, sia il PPT che Turismo e Qualità Ambientale, hanno trovato un seguito, in altri progetti. Se questo fatto, da un lato, può essere visto come una prova della validità del lavoro svolto, soprattutto – e lo si è già detto – nel caso di Turismo e Qualità
Ambientale (visto che le nuove idee progettuali hanno trovato il consenso di donatori più
esigenti della Regione Sardegna), dall‟altro racconta della tendenza e del rischio che si passi da un progetto a un altro.
È il famigerato progettismo, di cui si è già detto: «la proliferazione dei progetti che procedono a pioggia, segmentando processi, semplificando la complessità sociale e alimentando azioni di ridotta efficacia che finiscono per produrre esse stesse circoli viziosi, intervenendo solo a valle dei problemi cui vogliono offrire risposta concorrendo così alla loro riproduzione»635.
Dei progetti nati anche attraverso il lavoro fatto per Turismo e Qualità Ambientale si è già scritto. Per quanto riguarda invece ACRA e Zanzibar, va detto che nel 2010 è partito un nuovo progetto triennale, ancora una volta co-finanziato dalla Commissione Europea: Pro
Poor Tourism Strategies in Burkina Faso, Ecuador and Tanzania. La prima novità è già
chiara dalla dicitura: il progetto è realizzato contemporaneamente, oltre che a Zanzibar, anche in Burkina Faso e in Ecuador. A Zanzibar, si tratta evidentemente del naturale proseguimento delle attività svolte dall‟ONG negli ultimi anni; l‟esperienza pregressa è stata capitalizzata e messa al servizio di un nuovo progetto nel quale sono confluiti i risultati del primo PPT. Nella continuità e nel rinnovo dell‟impegno, si rafforzano le azioni già adottate e si mettono a fuoco nuovi fronti sui quali lavorare. Si procede, con maggiore consapevolezza e cognizione di causa.
Gli obiettivi sono simili – anche se negli obiettivi generali c‟è un richiamo diretto agli Obiettivi del Millennio, a dimostrazione di una convergenza verso strategie condivise dai grandi donatori e da numerosi attori della cooperazione – ma il raggio d‟azione si estende, sia a livello geografico (sono più numerose le comunità coinvolte) che in termini di beneficiari diretti e indiretti.
I progetti servono, sono uno strumento fondamentale della cooperazione. «L‟introduzione dell‟ottica progettuale cercava di superare l‟approssimazione caritatevole della beneficienza, chiedendo di ragionare prima di agire»636.
Servono i progetti ed è necessario investire in una progettazione valida ed efficace. Allo stesso modo, la cooperazione non può e non deve limitarsi a sfornare progetti. Non devono essere i progetti a fare la cooperazione, quanto semmai il contrario; dalla cooperazione – all‟interno di strategie precise, studiate con competenza e col coinvolgimento del più alto numero possibile di portatori di interesse, nel rispetto dei principi che devono caratterizzare la sua azione – devono nascere e realizzarsi progetti.
Il progetto non è il punto di partenza e non può diventarlo. Il progetto è uno strumento che, a seconda di chi lo usa e di come lo si usa, può diventare tante cose diverse. Estremamente interessante, a proposito dei progetti, la riflessione – e il monito – che propone Schunk.
«fantastici strumenti catalizzatori delle forze sociali locali, utili a creare le vere premesse di uno sviluppo autoctono e pericolosi congegni in grado di depotenziare queste forze e rallentare il vero sviluppo. Possono rappresentare semplici strumenti della burocrazia progettuale mondiale e quindi il propellente di una macchina autoreferenziale per le agenzie di cooperazione o essere lo strumento operativo di soggetti sprovveduti, benché pieni di buone intenzioni. Possono servire a prevenire una crisi, essere utili ai dittatori per “farsi belli” davanti alla propria popolazione, essere utilizzati dai governi locali per far compiere alla cooperazione internazionale azione che essi stessi dovrebbero prendere in carico, tenere distratte e sotto controllo le forze sociali dei paesi donatori, diseducare le popolazioni rendendole “non protagoniste” del proprio futuro. E molto altro ancora in positivo e negativo. Dipende. Dipende dalle capacità progettuali, dalle intenzioni, dall‟onestà intellettuale, dalle risorse e dagli spazi di manovra glocale di cui dispongono gli attori che adoperano questo strumento pieno di potenzialità ma anche di rischi e che può diventare la “culla” o la “tomba” dello sviluppo locale»637
.
Se la cooperazione pensa esclusivamente ad autoalimentarsi, a tenersi in vita passando da un progetto a un altro, prigioniera di una vera e propria “dipendenza da bando”, è lecito pensare che si siano persi di vista gli obiettivi fondamentali.
L‟autoreferenzialità è uno dei grandi difetti di molta cooperazione che si riduce ad essere «una pratica specialistica di pochi addetti ai lavori, sorvolando i territori in modo autoritario e autoreferenziale»638.
In effetti uno degli argomenti che ricorre più spesso tra i detrattori degli aiuti è proprio il fatto che questi siano diventati un‟industria che ha bisogno di fondi non per promuovere sviluppo ma principalmente per tenersi in piedi.
E se i Governi occidentali, sostiene per esempio la Moyo, continuano a investire denaro pubblico è anche perché vengono esercitate pressioni affinché si concedano prestiti ai PVS, in
636
CEREGHINI, NARDELLI 2008, p. 62.
637 SCHUNK 2008, pp. 161-162.
modo che i cooperanti possano continuano a lavorare. Del resto, sono migliaia le persone che lavorano nella cooperazione: la sola Banca Mondiale ha diecimila dipendenti, per non parlare di quante persone lavorano nelle ONG, nelle agenzie governative o all‟ONU639
. «Anche il sostentamento di questi lavoratori dipende dagli aiuti. Per la maggior parte delle organizzazioni per lo sviluppo il successo di un prestito si misura quasi interamente in base all‟entità della cifra ottenuta dal donatore, e non in base alla quantità di denaro effettivamente investita per gli scopi cui era destinata: questo spiega perché si continua a concedere prestiti perfino ai paesi più corrotti»640.
Risulta più facile tenere in vita un sistema inefficiente, secondo la Moyo, piuttosto che lavorare concretamente a sostegno di iniziative che incidano realmente sullo sviluppo dei PVS. «I donatori occidentali hanno un‟industria degli aiuti da alimentare, agricoltori da placare (vulnerabili quando le barriere al commercio vengono rimosse), elettori liberal con intenzioni “altruistiche” da tenere a bada, e, dovendo affrontare le proprie difficoltà economiche, assai poco tempo per preoccuparsi della morte dell‟Africa. Per i politici occidentali che vogliono mantenere lo status quo degli aiuti è più facile limitarsi a firmare un assegno»641.
L‟autoreferenzialità di troppi attori della cooperazione, più interessati a mandare avanti la baracca piuttosto che a promuovere processi di sviluppo, è un vero macigno che pesa sulla missione stessa della cooperazione, oltre che la sua reputazione, e la compromette inevitabilmente. La risposta migliore a un certo genere di critiche è indubbiamente un lavoro serio, onesto e trasparente, da opporre a chi sostiene che il cooperante pensi innanzitutto al proprio benessere, piuttosto che a quello dei beneficiari delle azioni che promuove.
Soprattutto chi vuole salvare la cooperazione deve capire che ogni gesto, ogni azione e ogni progetto raccontano della credibilità del sistema.
Allo stesso modo, chi guarda e giudica la cooperazione deve saper distinguere: certi orrori governativi non devono offuscare l‟impegno di chi invece lavora con serietà e con risultati; così come le mancanze, ad esempio, della Regione Sardegna non devono pesare sulla credibilità di chi, finanziato dalla stessa Regione, porta avanti seriamente un buon lavoro di cooperazione.