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DIMENSIONI NUMERO DI OPERATORI N E NT

2. AFRICA E COOPERAZIONE: VITTIMA DELLA PROPRIA RICCHEZZA?

2.4 Nessun destino ineluttabile

«Sia chi critica la corruzione degli apparati statali africani, sia chi punta il dito sulla violenza e l‟intromissione dell‟Occidente, sbaglia. La politica, in fin dei conti, semplicemente non basta a spiegare la prolungata crisi economica dell‟Africa. L‟affermazione che la principale causa dei problemi del continente è la corruzione dei governanti e dei funzionari statali non regge al vaglio dell‟esperienza o di un‟analisi equanime. […] Nello stesso modo, il duro retaggio della dominazione coloniale e la predazione occidentale delle risorse africane in epoca postcoloniale non bastano a spiegare da sole una così duratura crisi di crescita»316.

Non interamente riconducibile al passato coloniale o all‟invadenza occidentale (e quindi a soli fattori ed agenti esterni), né alla debolezza delle istituzioni locali: il sottosviluppo non ha una sola ragione e non necessita di un rimedio unico.

«Non tutti i problemi del mondo povero sono di natura interna, né tutte le soluzioni possono essere ricondotte a una buona prassi di governo, a una politica di sacrifici sociali, a ulteriori riforme liberiste»317.

Ogni Paese ha la sua Storia, l‟eredità del suo passato, la sua geografia, le sue tradizioni, determinati assetti sociali e culturali. Proporre indirizzi economici «impone un profondo impegno nella ricerca della risposta giusta. […] È necessaria una profonda immersione nella storia, nell‟etnografia, nella politica e nell‟economia del paese per cui si lavora»318

.

Lavorare per lo sviluppo, quindi, richiede un impegno estremo, competenze e conoscenze. Dal sottosviluppo, però, si può uscire. L‟Africa può farcela o comunque non è condannata a non farcela. La crescita economica moderna è raggiungibile; il divario da colmare non è un dato immodificabile. L‟Africa non è solo un continente disperato o il “Paese” di Nelson

314 BEURET, MICHEL 2009, p. 11.

315 «[…] il commercio bilaterale tra le due aree si è moltiplicato per cinquanta tra il 1980 e il 2005, è

quintuplicato tra il 2000 e il 2006, passando da 10 a 55 miliardi. […] Ci sarebbero già novecento imprese cinesi sul suolo africano e, nel 2007, la Cina avrebbe preso il posto della Francia come secondo maggior partner commerciale dell‟Africa» (Ibidem).

316

SACHS 2005, pp. 203-204.

317

Ivi, p. 86.

318 (SACHS 2005, p. 86). Sui precedenti non esaltanti della liberalizzazione degli anni ‟80, è netto il parere di

Stigltiz: «La liberalizzazione aprì i mercati alle merci provenienti dal resto del mondo, ma i paesi africani avevano ben poco da esportare. L'apertura dei mercati dei capitali non favorì l'afflusso di capitali e gli investitori sembravano più che altro interessati a depredare l'Africa delle sue immense risorse naturali» (STIGLITZ 2006, p. 43).

Mandela. Ha enormi ricchezze e grandi potenzialità – non distribuite uniformemente, a riprova che un discorso unico, per certi aspetti, lascia il tempo che trova.

È sicuramente importante che l‟economia riesca a crescere e che si creino le condizioni perché possa farlo; è auspicabile che lo faccia attraverso processi virtuosi che trasformino la crescita in sviluppo e in maggiore benessere per le popolazioni locali. È altrettanto importante che, oltre alla crescita economica, si lavori a favore della libertà: «Lo sviluppo richiede che siano eliminate le principali fonti di illibertà: la miseria come la tirannia, l‟angustia delle prospettive economiche come la deprivazione sociale sistematica, la disattenzione verso i servizi pubblici come l‟intolleranza o l‟autoritarismo di uno stato repressivo»319

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Le istituzioni devono rafforzarsi e promuovere maggiore giustizia sociale: «la libertà politica e i diritti civili hanno un‟importanza diretta, tutta intrinseca, e non necessitano di una giustificazione indiretta che invochi i loro effetti sull‟economia. Anche quando godono di un‟adeguata sicurezza economica (e si trovano in una situazione economica favorevole), coloro che non hanno libertà politica o diritti civili sono privati dell‟importante libertà di scegliersi la vita che vogliono e della possibilità di partecipare a decisioni cruciali su questioni di pubblico interesse. Si tratta di privazioni che limitano il vivere sociale e politico e devono essere considerate oppressive anche quando non generano altre sofferenze (come una catastrofe economica). Poiché le libertà civili e politiche sono elementi costituitivi della libertà umana, il vedersele negare è di per sé uno svantaggio»320.

Bisogna agire a sostegno di un aumento della partecipazione delle popolazioni locali nei processi decisionali e bisogna contrastare – più in generale – le diverse forme di esclusione sociale e di marginalizzazione di parte della popolazione, a partire dalle donne. «Non si può – semplicemente non si può – eliminare il 50% della potenziale forza-lavoro, sia intellettuale che manuale, di un popolo e sperare di progredire. […] La vera questione è il manifestarsi di un pregiudizio primitivo, di quel senso del potere che si esprime soggiogando la popolazione femminile; un atteggiamento che si fa scudo della religione ed è oggetto di disputa tra i suoi seguaci. La conseguenza è la riduzione del potenziale produttivo di una nazione, dovuta alla relegazione delle donne – in buona parte del continente africano, certo non in un tutto, ma in aree particolarmente critiche – al ruolo di cittadini di seconda classe, improduttivi, se si eccettua ovviamente la produzione di bambini»321.

È fondamentale che tutti gli attori coinvolti in questa sfida estremamente dura facciano il proprio dovere: «I paesi poveri devono prendere sul serio la lotta alla povertà, dedicandole più risorse nazionali di quante ne impieghino per la guerra, la corruzione e la lotta politica interna; i paesi ricchi devono abbandonare il proprio atteggiamento passivo riguardo all‟aiuto ai paesi poveri, e mantenere le promesse ripetutamente fatte di aumentare l‟assistenza allo sviluppo»322. 319 SEN 2001, p. 9. 320 SEN 2001, pp. 22-23. 321 SOYINKA 2006, pp. 12-13. 322 SACHS 2005, p. 282.

Al di là della cooperazione – considerando non solo che i numeri attuali non sono ritenuti sufficienti, ma soprattutto che non c‟è consenso unanime rispetto alla sua utilità – la battaglia dello sviluppo e la riduzione della povertà coinvolgono tutti, direttamente o indirettamente.

Una maggiore consapevolezza rispetto a questi temi non è solo auspicabile; è necessaria. Avere una visione d‟insieme è funzionale all‟azione.

È poi doveroso cercare di raccontare l‟Africa in modo più articolato, rendendone la complessità, nel bene e nel male – ma evitando facili stereotipi che rischiano di scivolare verso sentieri pericolosi. «L‟Africa gode della pessima reputazione di “continente corrotto”. Per quanto queste idee non siano nel loro intento razziste, sopravvivono nella nostra società, e diventano luogo comune, a causa del diffuso razzismo»323.

Un bel passaggio di Aminata Traoré racconta di questo e di molto altro: la necessità di guardare l‟Africa in modo più onesto, con meno pregiudizi; la realtà di un continente che soffre ma che non è solo dolore e sofferenza; la volontà di cambiare un destino tutt‟altro che ineluttabile.

«L'Africa muore, annaspa, è incapace di muoversi con le proprie gambe. E la colpa di chi è? Anche dei governi africani, ma soprattutto del fallimento della globalizzazione. L'immagine dell'Africa che viene proiettata da voi, in Europa, e in tutto il mondo, è quella di un continente malato. È questa l'immagine che viene data in pasto. Ma nessuno parla di quella felice, di quella che funziona, che vuol vivere e prosperare. Noi, in realtà, non siamo poveri, ma vittime della nostra ricchezza. L'Africa ha bisogno di aiuti umanitari, ma soprattutto di umanità. Ci portate cibo, medicine e acqua, ma senza pensare alle conseguenze di questo. In realtà, sono le nostre ricchezze a far gola al mondo globalizzato. Donne e bambini, oltre ai più vecchi […] sono le persone che sopportano maggiormente le conseguenze di questa situazione drammatica. Lo sguardo che il mondo ci rivolge è uno sguardo di pietà. Vorrei uscire da questa visione nei nostri confronti. Questa immagine di fallimento è il frutto del fallimento della globalizzazione voluta dai potenti dal mondo»324.

323

Ivi, pp. 221-222.

324 Il brano è tratto dall'intervento di Aminata Traorè al Meeting di San Rossore, dal titolo I bambini, le Donne,

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