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DIMENSIONI NUMERO DI OPERATORI N E NT

2. AFRICA E COOPERAZIONE: VITTIMA DELLA PROPRIA RICCHEZZA?

2.3 Una malattia africana?

2.3.3 Una questione di corruzione e di mancanza di democrazia?

Un tema che ricorre di frequente quando si parla di sottosviluppo e povertà in Africa è quello della corruzione e, più in generale, della debolezza e della inefficienza delle istituzioni africane nel riuscire a generare sviluppo, costruire degli Stati solidi e instaurare regimi democratici e giusti.

«Il colossale fallimento della leadership continua a essere l‟ostacolo principale allo sviluppo del continente. Dopo l‟indipendenza ottenuta negli anni Sessanta, i leader africani, salvo rare eccezioni, hanno creato sistemi economici e politici la cui fragilità ha posto le base della rovina dell‟Africa postcoloniale. Un sistema economico di stampo statalista o “dirigista” […] ha sostanzialmente distrutto la base produttiva. Nel frattempo, il sistema politico a partito unico e le dittature militari sono degenerati in tirannia. E l‟enorme concentrazione di potere

281

CÉSAIRE 2010, p. 47.

282 BOTTAZZI 2007, p. 74. 283 CÉSAIRE 2010, p. 55.

284 «Tre secoli di commercio degli schiavi, dal 1500 ai primi anni dell‟Ottocento, seguiti da un secolo di brutale

dominazione coloniale. […] Alla fine del periodo coloniale l‟Africa passò immediatamente alla condizione di pedina sulla scacchiera della guerra fredda» (SACHS 2005, p. 202). Considerazioni simili le fa anche, tra gli altri, lo stesso Sen: «Il continente africano ha sofferto terribilmente per il dominio dell‟autoritarismo e del governo militare nella seconda metà del XX secolo, dopo la fine ufficiale degli imperi britannico, francese, portoghese e belga. L‟Africa ha poi avuto anche la sfortuna di trovarsi intrappolata nel pieno della guerra fredda, quando ogni superpotenza coltivava l‟amicizia di capi militari in cambio della loro ostilità verso i propri nemici» (SEN 2005, p. 13).

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«Anche in passato, al di là delle sue reali responsabilità, la colonizzazione non è stata causa di tutti i mali dei paesi ex colonizzati. Le carestie esistevano anche prima; la corruzione non risale alla colonizzazione europea» (MEMMI 2006, p. 30).

politico ed economico nello Stato lo ha trasformato in Stato “vampiro” o “illegale”. Il “governo”, inteso come istituzione, ha cessato di esistere per diventare ostaggio di un manipolo di banditi e di criminali incalliti, che usano la macchina dello Stato per arricchire se stessi, i loro compari e le tribù a cui appartengono. […] In Africa, i cittadini più ricchi sono i presidenti, i capi del governo e i loro ministri. Molto spesso, il criminale numero uno è anche il capo dello Stato»286.

È innegabile che un certo pregiudizio nei confronti dei politici africani incontra le storie di molti leader del continente: «finora, se una nazione voleva progredire, o abbandonare delle politiche inefficaci, era costretta ad aspettare malinconicamente la morte del suo leader. Ma qualcuno di loro è così tenacemente attaccato alla vita che sarebbe piuttosto blasfemo suggerire alla gente di riunirsi nella pubblica piazza a pregare per una rapida conclusione della sua esistenza»287.

E così, come scrive la Moyo, «Se si pensa a un uomo di Stato africano, la prima immagine che viene in mente è quella di una corruzione sfrenata su scala strabiliante. Sembra quasi che non esista leader che non si sia incoronato d‟oro, non si sia impadronito di terre, non abbia affidato le imprese statali a parenti e amici, dirottato miliardi su conti bancari esteri, e in genere trattato il proprio paese come un gigantesco distributore personale di denaro»288.

Eppure, la corruzione da sola non basta a spiegare il sottosviluppo africano; diversi Paesi non africani, per quanto presentino livelli di corruzione elevati, sono cresciuti e crescono a ritmi sostenuti. Come ricorda la Moyo, la stessa Cina, per quanto presenti un livello di corruzione percepita decisamente significativo289, riesce ad attrarre ingenti investimenti esteri diretti che contribuiscono in maniera decisiva alla sua crescita.

Che la corruzione – in termini generali – non aiuti la crescita è chiaro, che sia però il motivo del sottosviluppo è invece un‟affermazione probabilmente eccessiva. La corruzione si collega al discorso più generale del bisogno di istituzioni democratiche e giuste. In Africa, con decisione, a partire dagli anni ‟90, molti Paesi hanno conosciuto importanti cambiamenti politici che hanno portato all‟apertura al multipartitismo e ad elezioni democratiche.

I Paesi occidentali hanno chiesto a più riprese e con insistenza ai Paesi africani di aprirsi alla democrazia ma in realtà i cambiamenti sono stati spesso cambiamenti di facciata. «La democrazia liberale (l‟elettoralismo partitico) che […] ha conquistato l‟Africa alle soglie del terzo millennio, non è servita a mitigare le storture prodotte nelle società e nelle nazioni africane dal mercato libero e dalla globalizzazione. In assenza di una diversificazione economica e allo stesso tempo in presenza di una spesa pubblica ai minimi storici, le ineguaglianze sociali sono aumentate, assieme a quelle di genere e tra gruppi culturali diversi»290.

Non sono le elezioni a portare la democrazia, non bastano a creare Paesi più giusti, non bastano a creare condizioni favorevoli alla crescita e allo sviluppo.

286 AYITTEY 2005, pp. 76-77. 287 SOYINKA 2006, p. 4. 288

MOYO 2010, p. 89.

289 La Moyo si riferisce all‟indice di corruzione percepita (CPI) misurato da Transparency International. 290 BELLUCCI 2010, p. 57.

«Le elezioni sono solo un modo – benché sicuramente uno dei più importanti – per dare un‟efficacia concreta ai dibattiti pubblici, ammesso che la possibilità di votare si accompagni a quella di parlare, e di ascoltare, senza paura. Il significato e il valore delle elezioni dipendono in modo sostanziale dalla possibilità di una discussione pubblica aperta. Le elezioni da sole possono essere disgraziatamente inadeguate, come è stato più volte dimostrato dalle stupefacenti vittorie elettorali dei tiranni al potere nei regimi autoritari»291.

Democratizzazioni di facciata non hanno creato regimi più stabili e sicuri; le elezioni non hanno necessariamente portato ad un rafforzamento del dibattito pubblico e non si sono sempre svolte nel rispetto delle regole democratiche292, per quanto soprattutto una certa politica europea le ritenga imprescindibili. «L‟Africa è in tumulto, a causa delle elezioni, la cui garanzia democratica – quando si tratta dei nostri paesi – sembra ridursi alla loro buona organizzazione. L‟Europa, che contribuisce generosamente al finanziamento di queste elezioni, ne approfitta per darci delle istruzioni e per mettere a punto dei meccanismi di controllo delle riforme neoliberiste. E naturalmente ci sanziona, qualora ci siano delle

défaillances nell‟attuazione del suo progetto, del suo ideale di società. Le nostre elezioni sono

assolutamente inutili, poiché non hanno niente a che fare con i nostri veri bisogni. Ma basterà che ne escano dei governanti docili, graditi a Washington, a Bruxelles e alle altri capitali europee in cui imperano i padroni del mondo»293.

Porre eccessiva enfasi e riporre eccessiva fiducia sul ruolo delle elezioni rischia di indebolire i processi di sostegno allo sviluppo e alla crescita. La relazione tra democrazia (come assetto politico) e sviluppo è, del resto, fonte di confronti accesi. «Nelle prime fasi dello sviluppo, a una famiglia africana affamata importa poco se può votare o no. Potrà preoccuparsene in seguito, ma prima di tutto ha bisogno di cibo per oggi, e per i giorni futuri, e questo può garantirglielo solo un‟economia in crescita»294.

Moyo è particolarmente critica riguardo la relazione tra crescita economica e democrazia. «La scomoda verità è che, lungi dall‟essere un prerequisito per la crescita economica, la democrazia può ostacolare lo sviluppo perché i regimi democratici hanno difficoltà a far approvare leggi economicamente vantaggiose a causa della rivalità fra i partiti e degli interessi truffaldini»295. A sostegno della sua tesi, Moyo cita il caso di alcuni paesi asiatici nei quali a fronte di una crescita economica sostenuta e poderosa, non vi è stata un‟apertura alla democrazia quanto semmai sistemi di potere forti e autoritari.

Dalle posizioni della Moyo si discosta decisamente il pensiero di Amartya Sen. Il Premio Nobel riconosce che «alcuni Stati in cui vige una disciplina piuttosto rigida e severa (come la Corea del Sud, la stessa Singapore e la Cina dopo l‟avvio delle riforme) hanno mantenuto un ritmo di crescita economica più rapido rispetto a quello di molti paesi con un governo meno

291 SEN 2005, p. 8. 292

«Elezioni truccate o tattiche di eliminazione dei rivali attraverso espedienti di tipo legale sono state rilevate nella quasi totalità delle democrazie africane. Quando i partiti e i movimenti d‟opposizione non erano palesemente banditi, si utilizzavano strumenti legali come, per esempio, lo “stato d‟emergenza”, di cui si è abusato e si continua ad abusare in Africa, per dare pieni poteri agli esecutivi» (BELLUCCI 2010, p. 122).

293

TRAORÉ 2006, p. 154.

294 MOYO 2010, p. 83. 295 Ivi, p. 81.

autoritario (come l‟India, la Giamaica o il Costa Rica)»296

ma non crede nella validità di quella che è talvolta definita l‟«ipotesi Lee»297, l‟idea che sistemi non democratici – in Paesi poveri – siano più efficienti nel garantire sviluppo economico. Tale ipotesi, scrive Sen, «si basa esclusivamente su ricerche sporadiche e informazioni assai particolari e limitate, anziché su analisi statistiche generali che tengano conto dei numerosi dati a nostra disposizione»298.

Proprio a partire dagli esempi già citati, Sen arriva a conclusioni opposte a quelle di Moyo: «non possiamo considerare l‟elevata crescita di Singapore o della Cina come “prova definitiva” del fatto che i regimi autoritari favoriscano di più la crescita economica, così come non possiamo trarre la conclusione opposta sulla base del fatto che il paese con il miglior tasso di crescita economica in Africa – anzi, uno dei migliori in tutto il mondo –, vale a dire il Botswana, rappresenti da decenni un‟oasi di democrazia in questo continente»299

.

Sen fondamentalmente invita a non generalizzare e a non trarre conclusioni affrettate a partire da singoli casi, per quanto importanti possano sembrare (o essere)300. Comunque, «nessuno nega che la democrazia sia un valore fondamentale»301, neppure Moyo. In fondo, sulla validità della democrazia i due autori concordano, come concordano sul fatto che le elezioni, da sole, non si traducano automaticamente in democrazia, giustizia e libertà302 – né in Africa, né altrove.

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