Il mondo della cooperazione è estremamente vario ed eterogeneo, come testimonia del resto la sua evoluzione. Il suo assetto odierno – lontano dal potersi definire compiuto – è il risultato di un comporsi progressivo di motivazioni, scelte politiche, fermenti della società civile.
Sono diversi i modi di fare cooperazione così come sono diversi gli attori coinvolti e i canali di erogazione dell‟aiuto.
Una prima grande distinzione è quella tra cooperazione bilaterale e cooperazione multilaterale. La bilaterale è quella tra due Paesi, uno donatore e l‟altro beneficiario. Troppo spesso tutt‟altro che disinteressata, la cooperazione bilaterale è stata e continua ad essere uno strumento di politica estera, maggiormente orientata verso fini diversi dallo sviluppo – il ché ha avuto e continua ad avere conseguenze rilevanti. «Anzitutto la connessione stretta tra aiuto allo sviluppo e interessi politici del donatore, perché si usa il primo come merce di scambio nell‟orientare le decisioni del paese beneficiario, o addirittura si offre l‟aiuto in un tutt‟uno con l‟assistenza militare. E in secondo luogo la spinta dichiarata o implicita a rendere il beneficiario – e in particolare il suo sistema economico e sociale – dipendente dal donatore»115.
La cooperazione multilaterale è invece quella attuata dalle organizzazioni internazionali. Le principali sono quelle che fanno parte del sistema delle Nazioni Unite116, il cui grande sviluppo si è avuto con la decolonizzazione. Immobilizzati dalle tensioni della guerra fredda e dalla divisione del mondo in due blocchi e quindi incapaci di agire sui temi della sicurezza, l‟ONU e le sue Agenzie hanno trovato una ragion d‟essere e uno spazio operativo nel campo dello sviluppo, relativamente meno politico (se non altro rispetto a quello della sicurezza). E in questo campo, pensate per promuovere lo sviluppo, sono sorte e si son consolidate «delle strutture operative almeno in parte terze rispetto agli interessi degli stati nazionali. Certamente sulle decisioni strategiche e sulla conduzione dei programmi si avverte anche nel sistema ONU il peso dei paesi industrializzati che ne sono i principali finanziatori. Emerge però uno spazio multilaterale dove tali interessi devono per lo meno confrontarsi con quelli espressi da altri paesi e culture»117.
Tra i grandi finanziatori dell‟aiuto internazionale, di particolare rilievo sono le cosiddette Istituzioni di Bretton Woods ovvero il Fondo Monetario Internazionale e il gruppo della Banca Mondiale, all‟interno del quale si trovano, tra le altre, l‟IBRD118
e soprattutto l‟IDA119.
115
CEREGHINI, NARDELLI 2008, p. 52.
116 Tra le altre: lo UNDP (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo), la FAO (Organizzazione per
l‟Alimentazione e l‟Agricoltura), l‟OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), l‟UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l‟Infanzia), l‟Acnur (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati – noto maggiormente come UNHCR, l‟acronimo inglese).
117 CEREGHINI, NARDELLI 2008, p. 54.
118 La Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (IBRD) concede prestiti ai governi di Paesi con
redditi pro-capite relativamente elevati.
119 L‟IDA (Associazione internazionale per lo sviluppo) è tra i maggiori donatori a livello globale; concede
Banca Mondiale e FMI nascono per e con scopi precisi: «in termini molto generici, la prima era destinata a facilitare gli investimenti di capitali per la ricostruzione, e nella scia della guerra il secondo doveva gestire il sistema finanziario globale. Negli anni successivi entrambe le organizzazioni sarebbero state al centro della scena nella questione dello sviluppo, anche se il mandato originale mirava alla ricostruzione più che allo sviluppo in sé»120.
Un ruolo importante è giocato anche dalle diverse Banche regionali di sviluppo121, da diversi fondi specifici122 e, chiaramente, dall‟Unione Europea123.
Diversa è la cooperazione multibilaterale, il «ricorso da parte di un singolo paese donatore, per la gestione di un‟iniziativa concordata con il paese ricevente, a un organismo internazionale»124. Fondamentalmente un Paese finanzia una determinata organizzazione per sviluppare un determinato progetto o programma: è una forma ibrida. Il donatore, piuttosto che finanziare l‟organizzazione – lasciando che sia questa a decidere cosa fare e dove, seguendo la propria missione e le proprie priorità – finanzia l‟organizzazione perché realizzi un‟azione precisa.
Il donatore può influenzare l‟impostazione e lo svolgimento con le proprie indicazioni e infatti, come sottolinea Carrino, questa modalità di cooperazione generalmente «presenta gli stessi inconvenienti della cooperazione bilaterale e tende a snaturare la funzione super partes della cooperazione multilaterale»125. L‟influenza però non è sempre e non deve essere necessariamente esercitata in mala fede: un singolo Paese può scegliere il canale multibilaterale per raggiungere degli obiettivi e implementare delle azioni che da solo non riuscirebbe a sviluppare. In questo modo, ricorrendo al multibilateralismo, cerca partenariati e alleanze, offre il suo sostegno a un progetto nel quale crede o stimola un‟organizzazione a rispettare meglio il proprio mandato.
Soprattutto a partire dagli anni ‟60 emerge con forza una nuova forma di cooperazione, quella non governativa126, che nasce sulla scia di diverse istanze e di movimenti culturali che vedono come protagonista la società civile.
Il terzomondismo, il non allineamento, le grandi trasformazioni sociali, la critica ai poteri dominanti, il ‟68, la decolonizzazione, la presa di coscienza dell‟opinione pubblica del grande squilibrio tra Nord e Sud del mondo e il racconto che i mass media ne fanno: sono tanti i
120 MOYO 2010, p. 38. 121
Tra le altre: la Banca africana di sviluppo, la Banca asiatica di sviluppo, la Banca interamericana di sviluppo, la Banca di sviluppo caraibica, Banca islamica di sviluppo e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo.
122 Tra gli altri: il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (IFAD), il Fondo nordico per lo sviluppo e il
Fondo Arabo per lo sviluppo economico e sociale.
123
La Commissione Europea attraverso la DG Sviluppo, DG Relex ed ECHO ma anche la Banca Europea degli investimenti. Sulla cooperazione dell‟Unione Europea si torna più avanti, in un paragrafo dedicato.
124 MELLANO, ZUPI 2007, p. 17. 125
CARRINO 2005, p. 267.
126 L‟aiuto proveniente dalle risorse del settore non governativo – «più difficile da contabilizzare ma spesso
fattori che contribuiscono al fermento nel campo della solidarietà e dell‟aiuto umanitario. È la società civile che si organizza: nascono le ONG, le organizzazioni non governative127.
«Si tratta di un fenomeno nuovo nelle relazioni internazionali: associazioni, gruppi, movimenti d‟ispirazione laica o religiosa, ma comunque privati, irrompono come nuovi attori in uno spazio fino ad allora competenza esclusiva di governi e organismi sovranazionali. Le ONG sono portatrici di forte politicità e insieme di una critica anti-istituzionale e talvolta antisistemica, da cui la sottolineatura di “non” governativo. In più introducono la novità dell‟impegno personale sul campo, reso possibile dalla crescente facilità di spostamento e dalla disponibilità per molti giovani occidentali di tempo e risorse. Uno sporcarsi le mani che diventa filosofia di fondo delle ONG, ed esperienza di vita per migliaia di volontari andati a operare nei paesi impoveriti»128.
Il desiderio di esserci e di dare il proprio contributo, al di là della politica estera del proprio Paese o delle scelte delle Organizzazioni internazionali. Anche questa è comunque politica e infatti, come sottolinea Calvi-Parisetti, «sarebbe scorretto dire che la cooperazione non governativa non abbia una sua valenza politica. Essa é infatti l‟espressione del crescente coinvolgimento delle comunità – i semplici cittadini – alla vita sociale e civile sia nel nord che nel sud del mondo. Questa forma di cooperazione é “non politica” nel senso che risulta slegata da priorità ed interessi politico-economici particolari»129. Un impegno diretto, non rapporti tra Stati (o tra Organizzazioni Internazionali e Stati) ma rapporti tra persone, «comunità in Paesi più sviluppati che vengono in aiuto a comunità in Paesi meno sviluppati»130.
La cooperazione non governativa ha saputo conquistarsi spazio e credibilità; è cresciuta nella forma e nella sostanza. «Grazie alla loro indipendenza, conoscenza diretta del terreno e capacità di arrivare laddove i donatori tradizionali non possono o non sono in grado di arrivare, le ONG sono state riconosciute dai governi e dall‟opinione pubblica quale strumento importante per attuare interventi umanitari e di cooperazione»131.
Dalla buona volontà di privati cittadini si è arrivati a organizzazioni strutturate ed efficienti che lavorano con la base e sono spesso più indipendenti e credibili delle istituzioni pubbliche. Non mancano comunque i problemi e i difetti di un sistema che, del resto, è addirittura difficile da descrivere nella sua totalità – essendo estremamente ampio e variegato.
«Alcune ONG sono ormai delle vere e proprie multinazionali dell‟assistenza allo sviluppo, con bilanci di centinaia di milioni di dollari, e sebbene il contributo all‟assistenza allo sviluppo dei fondi raccolti direttamente dalle ONG sia vicino al 10% del totale dei paesi OECD, una quota consistente dei loro bilanci viene da fondi assegnati dai governi o dalle
127 Organizzazione Non Governativa è «una denominazione importata dal mondo anglosassone e utilizzata
ufficialmente per la prima volta nella Carta delle Nazioni Unite del 1945 per indicare il ruolo consultivo di quegli attori che non erano né governi né stati membri. Oggi la sigla sottolinea, da un lato, la presenza di una struttura e, dall‟altro, la sua supposta indipendenza dalla politica estera del paese di residenza» (MELGARI 2007, p. 16). 128 CEREGHINI, NARDELLI 2008, p. 56. 129 CALVI PARISETTI 2006, p. 20. 130 Ibidem. 131 BONAGLIA, DE LUCA 2006, p. 40.
istituzioni internazionali: in questo modo, si perde una parte di quella autonomia e di quella indipendenza che costituisce la ragion d‟essere delle stesse ONG»132
.
Troppe ONG si contendono fondi di donatori spesso distratti e superficiali; legandosi ai fondi pubblici molte organizzazioni dimenticano la base e diventano esecutori di politiche (estere) altrui. Per fare presa sui cittadini e convincerli a donare, le ONG si appiattiscono su strategie di marketing, preferendo la forma alla sostanza. Per la necessità di far quadrare il bilancio, anche l‟ONG rischia di convertirsi alla peggiore cooperazione possibile. «Quando sopravvivere è il primo punto nell‟agenda dell‟organizzazione, quando la base sociale non è più un movimento popolare ma poche decine di tecnici divenuti cooperanti di mestiere, quando promuovere il proprio logo è più importante del cambiamento sociale da produrre, quando la competenza principale risulta saper scrivere un progetto e mantenere buoni rapporti con i finanziatori…allora è arrivata la crisi»133
.
Diversa, in parte, da tutte le forme precedenti ma con diversi punti in comune con ognuna è la cooperazione decentrata che «non sostituisce la cooperazione attuata dai soggetti tradizionali (governi, organizzazioni internazionali, ONG, ecc.) ma piuttosto si aggiunge a questa, coinvolgendo in maniera sistematica nuovi soggetti e seguendo modalità di attuazione in parte differenti»134.
Fenomeno relativamente recente, è nel 1989, all‟interno della quarta Convenzione di Lomè – l‟accordo di cooperazione tra l‟Unione Europea e i cosiddetti Paesi ACP135
– che compare ufficialmente per la prima volta: si parla di mettere a disposizione di azioni di sviluppo rivolte agli Stati ACP le competenze e le risorse di attori pubblici e privati di un territorio.
Fondamentalmente si tratta di una cooperazione estesa al più ampio numero possibile di attori; un territorio che nella sua estrema complessità – economica, sociale e culturale – si mette al servizio della causa della cooperazione. «La cooperazione decentrata estende, in modo del tutto inedito, i soggetti dello sviluppo: autorità locali, associazioni professionali, cooperative, sindacati, università, centri di ricerche, associazioni ambientaliste, associazioni di donne, gruppi di quartiere, associazioni rurali, associazioni di piccoli e medi imprenditori vengono tutti riconosciuti come attori importanti di cooperazione internazionale, al nord e al sud»136.
I modi di intendere la cooperazione decentrata sono diversi: nella legislazione italiana l‟enfasi è posta sul ruolo delle Autonomie locali. Quella della Commissione Europea è una visione più ampia: i protagonisti possono essere di ogni genere ed è il modo in cui si opera a fare la differenza e a rendere la cooperazione decentrata una forma nuova ed originale di operare. Altre organizzazioni, come lo UNDP, la definiscono come il «collegamento tra comunità locali organizzate dei Paesi in via di sviluppo o in transizione e dei Paesi industrializzati, nell‟ambito di accordi di cooperazione bilaterali o multilaterali, programmi-
132 BOTTAZZI 2007, p. 382.
133 CEREGHINI, NARDELLI 2008, p. 61. 134
BIGNANTE, SCARPOCCHI 2008, p. 71.
135 Africa, Caraibi e Pacifico. 136 IANNI 2004, p. 145.
quadro»137. Tutte e tre le visioni, al di là delle specificità, concordano su un punto fondamentale: l‟enfasi sugli attori.
«La cooperazione decentrata è espressione di un nuovo modo di concepire lo sviluppo equo e sostenibile tra i popoli, fondato sulla partecipazione, sulla promozione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, sul rafforzamento delle capacità e dei poteri degli attori decentrati e in particolare dei gruppi svantaggiati. L‟obiettivo di questa cooperazione è quello di favorire uno sviluppo migliore perché considera in misura maggiore (rispetto alle tradizionali politiche tra Stati) i bisogni e le priorità delle popolazioni nei loro luoghi concreti di vita»138.